L'artigianato figulo in Terra d'Otranto: una lotta contro il tempo.




Marcello Favale



"Ucale", "ozze", "mbili", "ursuli", capase, "taieddhre", "cucume", "pignate". Sono questi i termini che si sentono riecheggiare frequentemente nei caratteristici mercati settimanali, che si organizzano in tutti i centri salentini. Appartengono ad uno dei settori più tipici dell'artigianato, quello dei fìguli, dei vasai, cioè, di coloro che continuano a lavorare la creta, l'argilla, con tecniche vecchie di secoli. E questi settori dei mercatini paesani sono quelli che più resistono all'incalzare del tempo e del progresso, sono quelli che meglio conservano certe tradizioni di mestiere che fanno di questa parte dell'artigianato salentino un'oasi in mezzo allo straripante modernismo.
Ma la lotta è impari, e per questo forse più bella, contro lo strapotere delle macchine. E' più bella, in quanto gli artigiani salentini comprendono di essere forse l'ultima generazione capace di fare gli "mbili" e gli "ursuli" in un certo modo, e lavorano con una passione e con un amore che fa crescere i livelli artistici degli oggetti che escono dalle loro mani. Veder lavorare qualcuno dei pochi figuli salentini superstiti - saranno poco più di 50 - è una cosa che riporta lontano, ai ricordi della fanciullezza e de 'Ii cunti", le favole delle nonne sedute con tutti i nipoti intorno alla "bracela", il vecchio braciere capace di sostituire il riscaldamento centralizzato. E' la stessa atmosfera. Il vecchio artigiano curvo sul suo arnese a pedale che serve a far girare vorticosamente la massa d'argilla che, man mano, sotto le sue sapienti dita, prende forma, diventa un oggetto quasi con una sua propria anima, un'anima che il creatore riesce a trasfondergli mentre lo plasma, lentamente, quasi accarezzandolo. Il tutto in un silenzio, rotto soltanto dal ritmico movimento del pedale del telaio mosso con perizia dal maestro, ''lu mesciu", come lo chiamano ancora i bambini di otto, nove anni, che le madri mandano a bottega dopo i compiti, un pò per toglierseli davanti, un pò anche perché imparino qualcosa, forse anche soltanto la pazienza, da questi anziani personaggi, conosciuti da tutti in paesi come S. Pietro in Lama, Cutrofiano, Ruffano, Lucugnano, i centri più famosi dell'artigianato figulo salentino. Sicuramente da questi bambini non usciranno altri artigiani, soprattutto perché il mestiere del figulo non rende, "non paga", come dicono i diretti interessati. La gente è sempre più frettolosa e distratta, non ha tempo di soffermarsi e apprezzare, (e quindi a comprare), gli oggetti che con tanta maestria vengono creati. E quindi l'artigiano è costretto ad attrezzarsi per produzioni maggiormente legate alla realtà del momento. Scompaiono quindi, i vecchi forni di pietra, nei quali, con il calore che aumentava gradatamente, venivano cotti vasi, piatti e "cucume"; al loro posto vengono utilizzati i più funzionali forni elettrici che in brevissimo tempo raggiungono temperature di 1.500 - 1.600 gradi, adatte a far cuocere i vasi di creta, fatti con le forme, a produzione di serie, che servono per i vivaisti di piante, per i fiorai, non solo salentini, ma di tutta la regione.
E' sempre la solita storia. Le professioni ed i mestieri scarsamente remunerativi scompaiono con il tempo perché manca il ricambio che soltanto i giovani possono dare. Ma i giovani cercano occupazioni più redditizie; ed inoltre mancano le scuole, le sole istituzioni che potrebbero dare linfa nuova all'artigianato figulo. Eppure le possibilità di rivitalizzare il settore ci sono. E se n'è avuta la riprova proprio durante il più grosso avvenimento sportivo dell'estate salentina: i Campionati Mondiali di ciclismo su pista, svoltisi a Monteroni di Lecce nel settembre scorso. I turisti, giunti nel Salento richiamati dall'avvenimento sportivo, hanno notevolmente apprezzato i prodotti dei nostri figuli. Piatti, servizi da cucina, vasi decorati e tutti gli altri generi che la mano degli artigiani salentini aveva creato sono andati a ruba, nella Mostra-Mercato che la Camera di Commercio di Lecce aveva organizzato per l'occasione. Quindi il binomio turismo-artigianato può rilanciare veramente i figuli, come già è successo in altre regioni d'Italia. Un'adeguata campagna di pubblicizzazione può far diventare veramente l'artigianato figulo il simbolo del Salento. Un matrimonio, quindi, quello tra turismo e artigianato figulo, dal quale potrebbero emergere nuovi motivi di interesse per i forestieri con un diretto, innegabile beneficio per tutte le popolazioni salentine. Questo discorso non sembra essere ancora molto chiaro per gli operatori pubblici e gli Enti che si interessano dei due settori. La Camera di Commercio, Industria ed Artigianato solo da qualche anno ha iniziato a portare gli artigiani figuli di Cutrofiano, di S. Pietro in Lama, di Ruffano alle mostre internazionali dell'artigianato. Per vedere e per far vedere. Per iniziare a mostrare i prodotti salentini ai visitatori di tutto il mondo, ma anche perché gli artigiani salentini possano conoscere le altre esperienze, osservare le opere delle altre scuole italiane ed estere. Firenze e Parigi sono le città che hanno influenzato di più gli artigiani salentini. Le conseguenze si sono notate quasi subito. E' diventata più elegante, infatti, la decorazione degli oggetti, tutti dipinti a mano, con motivi floreali e non. La produzione, inoltre, si è orientata verso i grandi piatti. Si tratta, in pratica di un ritorno alle origini. Tanti anni fa, proprio in grandi piatti del genere le famiglie, le grandi famiglie salentine composte da 10-12 persone, consumavano, insieme, il pranzo. Ora questi grandi piatti sono tornati di moda. Ci si fanno le spaghettate per le grosse comitive, visto che di famiglie con una dozzina di persone, ormai, si è perduta completamente la consuetudine. Ma i piatti possono anche essere ornamentali: da muro, per arredamento, insomma. Quello dell'arredamento, poi, è un altro settore che da qualche tempo si è indirizzato verso l'artigianato figulo. Le case di campagna, le villette, si indirizzano sempre più verso l'arredamento rustico, con oggetti che richiamino alla mente atmosfere ed ambienti perduti o dimenticati. Ed in questo modo le "capase" diventano portavasi, le "lucerne" si animano d'incanto, non più con la fiamma dello stoppino ad olio, ma con la luce chiara della lampada elettrica, le "cucume" e le "pignate" fanno bella mostra di sè sulle mensole di caminetti, come se fossero in attesa di conservare l'olio d'oliva, o pronte per cuocere improbabili "minesce" di legumi. Immagini di un tempo trascorso, che rivive solamente grazie alla maestria di un gruppo sparuto di uomini che, proprio attraverso questi oggetti, riesce a prendersi la più bella e la più significativa rivincita sul tempo e sulla società moderna che troppo presto, forse, li ha messi da parte.

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