Lettera del Presidente




Il Presidente Dott. Giorgio Primiceri



Signori Soci, Egregi Amici,
l'anno che sta per finire è stato caratterizzato, oltre che da instabilità e insicurezza, dalla persistenza di tensioni economiche rilevanti, che hanno creato preoccupazioni e difficoltà specialmente ai Paesi meno forti. Fra i più deboli, noi. La nostra economia, stremata dalle intense e ripetute perturbazioni generate da tali tensioni, è colpita da una crisi gravissima. Essa, sovrapponendosi a una situazione sociale e morale già precaria, continua a determinare in ogni campo effetti così deleteri da far temere per il Paese un vero e proprio collasso. La sua soluzione è difficile e lontana nel tempo; di conseguenza il futuro, soprattutto quello prossimo, è gravido di incognite inquietanti.
In tale situazione, il divario fra Nord e Sud del Paese va continuamente crescendo e minaccia di diventare incolmabile. Il Nord - meglio strutturato, molteplice, efficiente - resiste e riesce a tirare avanti, sia pure a strappi e con qualche scarto. Il Sud - insieme di frammenti mai connessi e afflitto da fortissimi squilibri - non riesce a trovare forza interna per accelerare di sua volontà e darsi uno sviluppo, subisce le decisioni altrui, dissipa energie soltanto per resistere su posizioni acquisite da tempo e rischia di assestarsi in una condizione di permanente arretratezza rispetto a quelle regioni che reggono il passo dei tempi.
Alcuni sostengono, con ragione, che il Meridione sta pagando l'illusione della foresta di ciminiere, dell'industrializzazione diffusa, dell'opificio in ogni contrada. L'industria meridionale attuale, nata per spinte politiche e clientelari, appena temperate da evidenti esigenze di ordine sociale, è andata avanti senza il supporto di una ricerca di mercato, senza comparazioni econometriche. Figlia dell'improvvisazione, è un doppione dell'industria del Nord, spesso la sua controfigura. C'è da meravigliarsi se va improvvisamente in crisi appena l'industria del Nord vacilla?
E' fuor di dubbio che il Mezzogiorno deve disporre di un contesto industriale sufficiente ed efficiente per emergere da una condizione di costante sottosviluppo; è però altrettanto vero che, per indurre concreto progresso, ogni sistema industriale deve essere espressione della realtà sulla quale produce i suoi effetti e insieme frutto della capacità e della preparazione di ogni componente sociale. In tali condizioni anche i trapianti industriali possono attecchire, senza creare eccessivi squilibri.
Attività primaria di capitale importanza per qualsiasi economia, l'agricoltura è trascurata da decenni nel nostro Paese. L'errore colossale commesso nel Mezzogiorno è stato quello di perderla di vista troppo spesso e di abbandonarla talvolta a sè stessa per inseguire il sogno di un'industrializzazione in tempi brevi. Le carenze più vistose e più sofferte sono quelle connesse al sostegno di una politica coerente, al conforto di scelte chiare e tempestive, al riferimento ad obiettivi costanti, alla difesa intransigente delle esigenze e degli interessi fondamentali del settore. Troppi sono stati i compromessi e i cedimenti. Quante volte si è incoraggiata in un primo tempo la diffusione di colture o allevamenti e poi si è incentivata l'eliminazione degli stessi? Quali e quanti accordi internazionali sono stati conclusi a spese degli agricoltori? I risultati non si sono fatti attendere troppo: disorientamento e poi disaffezione degli operatori più attivi e meglio preparati; incrementi insufficienti nei diversi comparti; deficit alimentare nazionale di proporzioni enormi; importazioni crescenti, che pesano in modo intollerabile sulla nostra bilancia dei pagamenti.
L'agricoltura salentina non è certo fra le più avanzate e, in generale, permane in una stasi mortificante. Due colture che risalgono alla colonizzazione magno-greca, vite e olivo, ne costituiscono a tutt'oggi la struttura portante. Polverizzazione della proprietà, senilizzazione e femminilizzazione delle forze di lavoro, meccanizzazione e industrializzazione scarse, difficile commerciaIizzazione dei prodotti, redditi modesti, promozione e informazione insufficienti: questi i fattori locali che, insieme a quelli di carattere generale, condizionano negativamente la situazione e allontanano le possibilità di un profondo rinnovamento.
L'altra faccia della medaglia. La qualità e gli incrementi delle produzioni tradizionali, ottenuti a prezzo di grossi sacrifici e compressi soltanto dalle avversità naturali, testimoniano dell'abilità e dell'inalterata capacità degli agricoltori salentini. Vocazione all'agricoltura, intraprendenza e attitudine ad acquisire tecniche nuove sono documentate tanto dal successo di colture altamente specializzate introdotte negli ultimi anni, ma ancora diffuse in aree ristrette, quanto dal ricorrente sorgere di iniziative personali tese al miglioramento di metodi e attrezzature, per diretto confronto con le più progredite realizzazioni estere.
Son tutti sintomi inequivocabili dell'esistenza di un substrato tanto fertile e vivo da non poter essere ulteriormente negletto. Da ciò la nostra convinzione che nel Salento il settore agricolo rimane potenzialmente capace di grandi progressi e di moderni sviluppi. Occorre però adeguare le strutture ai tempi per assicurare agli agricoltori migliori condizioni di vita e una più giusta remunerazione del loro lavoro, per arrestare l'esodo degli elementi più attivi, per favorire in tutti i modi il miglioramento dell'imprenditorialità agricola e la sua proiezione verso livelli propri degli altri settori produttivi.
Ciò posto, è lecito chiedersi: cosa ci riserva l'avvenire? Come il resto del Paese, abbiamo di fronte una prospettiva di sacrifici, forse più duri per noi perché peseranno su strutture meno salde; un prelievo fiscale pesante ma necessario; la riduzione dei consumi; la crescita della produttività; la necessità di una tregua nelle rivendicazioni salariali; l'urgenza di esportare più che si può di tutto ciò che produciamo. Condizioni che, malgrado ogni apparenza, sono drammatiche. Esse impongono di dedicare tutte le nostre risorse a produrre in primo luogo ciò che sappiamo realizzare meglio di altri connazionali, lasciando a questi ultimi ciò che indubbiamente producono meglio di noi. E' appunto questo che ci aspettiamo che venga compreso. E' in questa direzione che speriamo di essere concretamente aiutati a procedere poichè, se è fin troppo evidente l'insufficienza dei nostri mezzi, lo spirito di sacrificio non fa difetto: quello spirito, appunto, che trasforma le stesse preoccupazioni in energia vitale e creativa.
Con queste speranze ci congediamo, augurandoVi un Anno 1977 di fervida attività e di crescente ricostruzione economica e sociale.

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