Responsabilitą dell'economia pubblica (2)




Giuseppe Petrilli



In molti paesi industriali, ad esempio in Italia, uno sviluppo industriale squilibrato ha generato situazioni di disagio sociale e sempre rinnovate spinte inflazionistiche, su cui hanno influito in larga misura il peso della rendita fondiaria, la penuria di abitazioni e la conseguente onerosità dei fitti, la crisi del sistema dei trasporti collettivi, e il congestionamento dei servizi sanitari e scolastici. Ciò vale a darci li misura della reale urgenza del problema, in ordine al quale sono manifeste le preminenti responsabilità dell'economia collettiva. Si tratta in questo caso di responsabilità che hanno per destinatari tanto i consumatori quanto i lavoratori, essendo largamente noto che le carenze e le disfunzioni verificantisi a livello delle cosiddette dotazioni civili, si traducono, oltre che in un fattore di tensione sociale generalizzata, in un incentivo all'inasprimento della conflittualità aziendale. Queste stesse tensioni sono obiettivamente di stimolo ad un profondo rinnovamento dell'economia collettiva, nel senso indicato in precedenza, di pari passo con una più equilibrata distribuzione territoriale delle nuove iniziative. Ed è significativo, in quest'ordine di idee, che la stessa imprenditoria privata tenda oggi ad articolare le maggiori aziende in una molteplicità di stabilimenti, di dimensione idonei a consentire al loro interno la formazione di condizioni sociali maggiormente partecipative. C'è del resto una chiara correlazione tra il problema della qualità della vita entro e fuori dell'azienda, tra il superamento dei modelli consumistici fondati sullo spreco delle risorse e sull'obsolescenza programmata dei prodotti, e l'adozione di un tipo di organizzazione del lavoro capace di meglio valorizzare l'accresciuto livello culturale medio delle maestranze. Da questo punto di vista, l'adozione di parametri imprenditoriali da parte dell'economia pubblica, sociale e cooperativa - che ha sempre valore strumentale e non mai finalistico - non esclude una funzione pilota delle imprese di questo tipo, attraverso l'orientamento dei propri investimenti in funzione delle nuove prospettive aperte agli scambi internazionali, con particolare riguardo ai Paesi in via di sviluppo, e con l'intento di favorire una maggiore solvibilità della domanda per consumi collettivi.
Il tema della partecipazione è ovviamente connesso a quello delle relazioni industriali. E' questa una sfera nella quale le responsabilità dell'economia pubblica nei confronti dei lavoratori appaiono, ancor più che altrove, inseparabili da quelle relative agli utenti e consumatori. Così inseparabili che non è sempre facile conciliarle tra loro in modo soddisfacente. Alle iniziative di questo settore si richiede infatti il più delle volte di essere al tempo stesso "esemplari" e competitive, mentre è evidente che un comportamento fortemente innovatore sul piano delle relazioni industriali tende ad addossare alle imprese oneri di natura particolare, col rischio implicito di peggiorarne la posizione agli effetti della concorrenza. Nel caso di imprese che esercitino servizi di pubblica utilità, potrebbe derivarne un maggior onere per gli utenti attraverso un inevitabile inasprimento delle tariffe, mentre in altri casi una politica di questo genere potrebbe tradursi, in ultima analisi e in diversa forma, in un accresciuto peso contributivo per l'intera collettività. Nè si può tacere del rischio che i lavoratori occupati presso aziende di questo tipo finiscano col diventare un'area di privilegio corporativo all'interno della massa dei lavoratori salariati. Vi è quindi motivo di ritenere che, almeno per quanto riguarda la politica retributiva delle imprese operanti nell'ambito dell'economia collettiva, i suoi criteri di comportamento non possano discostarsi sensibilmente da quelli del settore privato e che le condizioni fatte ai lavoratori debbano rispecchiare nei singoli casi la realtà economica delle aziende interessate.
Si è già visto come l'economia collettiva tenda ai nostri giorni ad assumere sempre più largamente modelli di comportamento imprenditoriali. Ciò non significa peraltro che le sue iniziative debbano, solo per questo, risultare indifferenti rispetto agli obiettivi perseguiti nelle diverse situazioni dai pubblici poteri.
Io credo infatti che, tra i due estremi rappresentati rispettivamente dalla totale burocratizzazione dell'economia collettiva e dalla sua riduzione a un fatto puramente finanziario, privo di significato politico, sussista una terza possibilità. Le imprese pubbliche, in particolare, possono in taluni casi promuovere iniziative tendenti a modificare deliberatamente le condizioni di mercato che risulterebbero dai meccanismi spontanei di quest'ultimo, e ciò al fine di perseguire obiettivi di interesse generale.
Quello che conta in casi come questi è valutare correttamente i costi aggiuntivi di queste iniziative, al fine di porre gli oneri specifici che ne derivano a carico dell'intera collettività, anziché delle imprese interessate. L'economia collettiva può così esercitare nei confronti dello sviluppo economico generale il ruolo condizionatore ed orientatore di cui già si è parlato, ciò che comporta in definitiva l'assunzione nei confronti degli individui, lavoratori e consumatori, e dell'intera collettività, di responsabilità assai più impegnative di quelle cui ci si è riferiti finora.
Se il sistema ad economia mista in cui si integrano dialetticamente gli interventi dell'economia collettiva rappresenta la fase più matura di un'economia di mercato, conviene aggiungere che nello stesso senso quest'ultima trova nella programmazione economica lo strumento della propria piena razionalizzazione. E' appunto la programmazione economica ciò che permette di conseguire ad un tempo due diversi obiettivi. A livello micro-economico, si tratta di ricercare come sempre la combinazione ottimale dei fattori di produzione, e a livello macro-economico si tratta di tendere alla migliore utilizzazione possibile delle risorse di cui dispone ogni singola comunità territoriale per il raggiungimento delle proprie finalità economiche e sociali. In questo senso la definizione di un programma economico non è altro che un tentativo di proiettare nell'ambito dell'economia nazionale e rispetto ad obiettivi di interesse generale i criteri di efficienza e di redditività che caratterizzano l'azione di un'impresa, o, meglio ancora, di un gruppo economico operante in un mercato concorrenziale.
L'evoluzione illustrata finora è stata comunque accentuato, dalle difficoltà ecologiche prima, e dalla crisi energetica poi. Soprattutto quest'ultima, con la quale lo spettro della penuria è tornato ad affacciarsi alla coscienza dell'umanità, contemporanea, ha fortemente incrinato la fiducia nella capacità del meccanismo di mercato e del Progresso tecnico-economico di risolvere spontaneamente tutte le contraddizioni della crescita civile. L'ondata inflazionistica senza precedenti e l'involuzione recessiva che le ha fatto seguito hanno ulteriormente diffuso ed esasperato questo stato d'animo. Per quanto i conflitti sociali siano stati resi più acuti in conseguenza delle generali difficoltà, mi sembra di poter rilevare che si sia un poco attenuata la frequente insofferenza per ogni forma di intervento dei pubblici poteri nella distribuzione del reddito tra i fattori di produzione.
Questo diffuso stato d'animo potrebbe creare condizioni favorevoli a un rafforzamento degli strumenti di intervento economico e sociale dello Stato, analogamente a quanto accadde a seguito della grande depressione verificatasi tra la fine degli anni Venti e il principio del decennio successivo. La forte stimolazione dei consumi Privati che ha sorretto per tanta parte lo sviluppo economico di anni recenti, e la generale tendenza ad una progressiva perdita di valore della moneta, hanno d'altra parte determinato una sempre minore propensione al risparmio, e, di conseguenza, una sempre maggiore presenza pubblica nel finanziamento delle iniziative economiche. Ovviamente, il ricorso al credito tende ad essere tanto maggiore, quanto minore è la capacità delle imprese di realizzare profitti e quindi di autofinanziarsi. Basterebbero queste considerazioni a dare il senso di una crescente interdipendenza tra i diversi soggetti dell'attività economica - pubblici poteri, imprenditori e sindacati dei lavoratori - la cui cooperazione è sempre più necessaria.
Le considerazioni svolte 6nora ci consentono di concludere col tentativo di individuare la novità storica dell'economia pubblica, sociale e cooperativa, quale abbiamo cercato di disegnarla sommariamente, collocandola su di una linea che rappresenta insieme lo spartiacque e il possibile punto di convergenza tra economia di mercato ed economia socialista. Nel corso di questa esposizione si è fatto costantemente riferimento all'impresa come alla struttura portante dell'economia collettiva quale noi la intendiamo. Non potremmo dimenticare tuttavia come la libertà di intrapresa apparisse in origine inseparabile da un assetto fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, data la stessa struttura originaria dell'impresa industriale, che faceva dell'imprenditore-proprietario il protagonista dell'attività imprenditoriale, sotto il profilo del rischio e del potere. La fiducia caratteristica del liberismo classico, in una sorta di armonia spontanea delle forze di mercato era inseparabile dalla consapevolezza della funzione decisiva svolta socialmente dall'attività imprenditoriale nel processo di accumulo di capitale necessario allo sviluppo industriale. Ciò spiega peraltro come l'intervento pubblico nella gestione di attività economiche potesse apparire giustificato solo nei casi in cui venisse meno l'obiettivo del perseguimento del profitto e pertanto la stessa natura imprenditoriale di tale attività. Ciò spiega anche come, per converso, la critica socialista di questo stato di cose tendesse a negare ad un tempo la proprietà privata del; mezzi di produzione e la stessa autonomia della funzione imprenditoriale, ritenuta inseparabile dall'appropriazione privata del plusvalore, cioè del profitto. Se non poteva venir meno, anche in questa visione, l'esigenza di perseguire lo sviluppo industriale attraverso il massimo accumulo di capitale, la funzione imprenditoriale si spostava dall'impresa agli organi della pianificazione economica centralizzata nella misura in cui il piano si sostituiva al mercato come strumento di valorizzazione ottimale delle risorse.
Non è un caso che, nell'ambito stesso del liberismo classico, la costruzione di un modello capace di rendere ragione del meccanismo che presiede all'allocazione delle risorse, in regime di concorrenza di mercato, si sia venuta operando proprio nel momento in cui la raggiunta maturità dell'economia industriale modificava radicalmente la realtà studiata dai classici, attraverso l'aumento della dimensione media dell'impresa, l'avvio di un vasto processo di concentrazione aziendale e la costante sollecitazione e diversificazione dei consumi, indotti in maniera sempre più larga dalla stessa struttura produttiva. Tutta l'opera di indirizzo, coordinamento ed equilibrio svolta dai pubblici poteri all'interno di un sistema a decisioni decentrate - opera che coincide in larga misura con lo sviluppo dell'economia pubblica, sociale e cooperativa, quale la si è intesa in queste pagine, e che trova il suo compimento nell'introduzione di metodi di programmazione economica - ha il suo antecedente necessario in questo sforzo di razionalizzazione delle scelte a livello macro-economico. Va rilevato a questo proposito che il processo in atto verso un parziale recupero della funzione dell'impresa e del mercato, se apparentemente contraddice quanto sta avvenendo nei sistemi ad economia di mercato, ne rappresenta in realtà, per così dire, l'immagine speculare. Proprio perché nei sistemi socialisti la funzione dell'accumulo è affidata allo Stato, il raggiungimento di più alti livelli di sviluppo vi si traduce infatti nella crisi di un tipo di pianificazione rigidamente centralizzata e quindi burocratizzata.
Questa situazione storica dà ragione della tesi di fondo su cui abbiamo contato su queste pagine: che, cioè, nelle presenti condizioni storiche, il pieno assolvimento delle responsabilità incombenti all'economia pubblica nei confronti degli individui lavoratori e consumatori, postuli al tempo stesso la salvaguardia dell'autonomia della funzione imprenditoriale all'interno di un'economia di questo tipo, e la collocazione di tutto il sistema nella cornice di uno sviluppo economico programmato. La conciliazione tra queste esigenze è a mio giudizio possibile quando da parte dei pubblici poteri ci si sforzi di condizionare e orientare lo sviluppo, quantitativo e qualitativo, dell'economia nel senso ritenuto conforme all'interesse generale, attraverso interventi idonei a mutare le convenienze del mercato, senza tuttavia alterarne il funzionamento che deve rimanere parte essenziale del sistema, in quanto parametro e stimolo della validità delle scelte imprenditoriali. Si tratta ovviamente di una conciliazione dialettica, che non è mai conseguibile una volta per tutte e conserva quindi un carattere fortemente problematico, non potendosi negare che il libero esercizio dell'iniziativa imprenditoriale e la progressiva estensione del controllo pubblico al complesso dell'attività economica siano di per sé esigenze conflittuali tra loro. Le più recenti tendenze dell'evoluzione economica, che abbiamo sommariamente richiamato, e in particolare l'accresciuto ricorso al credito in conseguenza della caduta dei profitti e dell'autofinanziamento, nonchè la maggiore pressione del movimento sindacale e le politiche fortemente redistributive poste in atto dai Governi, tendono indubbiamente ad accentuare le responsabilità specifiche dell'economia pubblica., sociale e cooperativa. per la sua stessa collocazione nel cuore delle interdipendenze che oggi si manifestano tra impresa e società. L'insistenza con cui abbiamo parlato della necessità di salvaguardare anche nel nostro ambito la funzione permanente dell'impresa - che è quella di concorrere nel modo più efficace, attraverso il profitto, alla formazione del capitale necessario allo sviluppo ulteriore - ha senso soltanto se in essa si vede il presupposto necessario di ogni discorso relativo alla destinazione del nuovo reddito prodotto, cioè all'orientamento dello sviluppo futuro. L'economia pubblica, sociale e cooperativa, è in definitiva uno strumento di questo orientamento, attraverso cui si qualificano storicamente la società e le sue istituzioni.
2 - fine.

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