§ Le inchieste della Rassegna

CAMPANIA dopo il Regno




Realizzazione
ALDO BELLO
Testi e statistiche
GUGLIELMO TAGLIACARNE
Hanno collaborato
Ricerche letterarie
Ada Provenzano
Ricerche storiche
Pino Orefice
Ricerche economiche
Claudio Alemanno
Sezione grafica
Sandro Gattei
Sezione fotografica
Folco Quilici
Giuliana Calabrese




Napoli é un mondo che fa impazzire l'ago della bussola di urbanisti, sociologhi, economisti, con la sua immensa miseria, con la sua disperata condizione umana, con la quotidiana guerriglia per la sopravvivenza. L'altra Campania è tagliata in due: quella costiera, con l'immediato hinterland, pianeggiante e riordinata, è in grado di darsi, in futuro, uno sviluppo autonomo; l'altra, interna, fragile e sconvolta, preannuncia, dopo le oasi di Benevento e Avellino, il caos idrogeologico della Calabria e della Basilicata.


Lunga 200 chilometri, dalla foce del Garigliano a Sapri, nel Golfo di Policastro, e larga 130 chilometri, da Pozzuoli a Rocchetta S. Antonio, si divide in quattro zone: pianure costiere, isole, preappennino vulcanico, massicci calcarei dell'interno. Metà del territorio è collinoso; la parte restante è montana al 35 per cento. Divide col Lazio il corso del Garigliano. Massimo fiume regionale, il Volturno, che conta notevoli affluenti: il Calore, che bagna Benevento; il Tanagro e il Sele, che alimentano l'Acquedotto Pugliese. Tre laghi: quello costiero del Fusaro, quello carsico del Matese, e l'ultimo - caro alla mitologia - dell'Averno.

Felix

Aldo Bello

Nel 1904, con la "Risorgimento Economico", lo Stato assegnò a Napoli un prestito per aiutarla a risolvere i suoi problemi.
La "Risorgimento Economico" fu la prima (e la più lunga, con ben quaranta articoli) di una serie di leggi speciali, nessuna delle quali è riuscita, come dicono i partenopei, "a risolvere il resto di niente". Si è perpetuata la storia delle magniloquenti e inutili leggi speciali italiane. Perché? Perché ciascun intervento straordinario parte affermando che il comune conta, press'a poco, un milione e duecentomila abitanti. Poi si scopre che la metropoli incomincia a Cuma e finisce a Castellammare.
Ad esser cauti, son due milioni e mezzo di uomini. Le leggi parlano di un centro e di una periferia. Niente del genere.
Si passa da un marciapiede all'altro, in qualsiasi via della città, ed è come trasferirsi di colpo da un agglomerato urbano ad un altro; da una società, da un tipo di economia ad un'altra. Sono isole che si alternano all'interno del tessuto urbano. E' un arcipelago di società fisse. La situazione non muta se dai quartieri del cuore di Napoli si passa agli agglomerati esterni: i comuni che da una quarantina d'anni in qua sono entrati a far parte della città non hanno mutato se non in peggio la loro condizione.
Alcuni erano comuni agricoli; l'insediamento urbano ha lasciato senza lavoro gli agricoltori, ha tolto loro la terra. Tutto ciò vuol dire che nella provincia lo spostamento verso l'esterno del sottoproletariato napoletano non ha modificato affatto la situazione. Anche le industrie, rispetto alla dimensione della metropoli, sono trascurabili. Eccezion fatta per l'Italsider e per un manipolo di altri impianti che assicurano un minimo - ma proprio minimo - di occupazione, le altre sono attività che servono la città. Il porto, anch'esso, tolti i carichi per gli stabilimenti di Bagnoli e per le raffinerie, fornisce merci che, nella massima parte, restano a Napoli. Ma allora, di che vive questa città? Facciamo un calcolo sommario: tolte quindicimila famiglie che attingono le risorse agli impianti industriali, ci sono tra dipendenti dell'amministrazione comunale, impiegati ai trasporti, alle comunicazioni, e alle aziende di luce, acqua e gas, poco più di centomila addetti. Questi costituiscono il grosso del reddito. Aggiungiamo settemila funzionari degli istituti di credito e dell'assicurazione; ci sono cinquantamila edili; pochi altri sono produttori di un reddito, la cui fonte è fuori città. Il resto commercianti, avvocati, strozzini, magliari, professori, geometri, ambulanti, contrabbandieri, medici, maghi, giocatori del lotto, esorcisti, e i trecentomila disoccupati perpetui di Napoli - vivono dei primi. Ossia, in buona parte Napoli campa attingendo ai fondi che usa per amministrarsi. Quando aveva un Regno la cosa era fattibile. Ma il Regno non c'è più. E' rimasto solo il meccanismo; anzi, in qualche modo è cresciuto e si è perfezionato: mentre si moltiplica, Napoli si divora. E' la sua specialità, ed è il suo dramma più antico, che può avere un giorno o l'altro ripercussioni da cataclisma.
Qualche tempo la, in un bel saggio sulla storia del Mezzogiorno, Giuseppe Galasso ricordò la sostanziale dipendenza di alcuni principali aspetti progressivi di questa storia da un "aiuto esterno": la monarchia spagnola nella lotta contro i particolarismi baronali alla fine del secolo XV; la potenza francese durante la repubblica del 1799 e nel periodo muratiano; l'intervento garibaldino-piemontese nel 1860. Sulla necessità di interventi "nordici" per la soluzione dei problemi meridionali era giunto a concordare nel secondo dopoguerra anche Salvemini, ("L'Italia meridionale non può fare da sé"). Poi venne il tempo degli interventi straordinari nel Sud. Ha beneficiato Napoli in misura adeguata alla politica meridionalistica svolta? Rispondere a questa domanda richiederebbe un esame assai accurato. Si potrebbe osservare, anzitutto, che la posizione economica relativa di Napoli nel Mezzogiorno è peggiorata dal 1951 ad oggi. In quell'anno, il reddito medio della provincia partenopea superava del 39,2 per cento quello medio del Mezzogiorno; nel 1963, il dislivello si era ridotto al 26,7; nel 1973 era sceso al 4,5; oggi, forse è pari, e forse è un pò sotto. Il fatto, di per sé, non è negativo, rientra in un salutare processo di redistribuzione di beni e risorse fra l'antica capitale e il resto del "Reame".
Questo processo è stato favorito da fattori geografici o da deliberati indirizzi di politica delle nuove localizzazioni industriali, che spiegano largamente lo sviluppo e la crescita di numerose aree meridionali. Tuttavia, dove il ritmo di progresso dell'area napoletana diventa un fenomeno del tutto negativo, è quando lo si valuta non come "decadenza relativa" di Napoli rispetto al Sud nel suo insieme, ma come insoddisfacente sviluppo dell'economia napoletana in rapporto all'enorme addensamento demografico che questa città rappresenta. La densità provinciale per chilometro quadrato di Napoli (2.067 abitanti) è pari a circa quattro volte la densità provinciale di Roma (519), quasi due volte quella di Milano (1.145), sette-otto-nove volte quelle di Torino (267), Bari (246), Palermo (222). In questo gran calderone ribolle e si agita un'umanità promiscua, ottimistica e depressa, fatalistica e affamata, che non è quella dei palazzi di Foria, del Vomero, di via Toledo, o delle ville di salita Tasso; è quella dei vicoli e dei bassi: sono i sottocittadini della sottocittà, che si riforniscono ai loro sottomercati: per i vestiti a Ponte di Casanova.
Per le scarpe alla Duchesca e alla Maddalena per i viveri ai Vergini e a Pignasecca, per le sigarette e gli elettrodomestici a Forcella. L'itinerario dell'"economia da vicolo" è lungo e tortuoso, ma non conduce in alcun luogo. I problemi di Napoli sono, in parte, anche queste isole brulicanti e chiuse, inespugnabili.
Napoli ha sempre sintetizzato tutte le contraddizioni del Sud. Ebbe, in Italia, la prima ferrovia, la prima società di navigazione e la prima metropolitana, Ha un Istituto per gli Studi Storici, fondato da Croce, e due fra le Accademie più celebri dal lontano 1700; un Istituto di Fisica Nucleare; la migliore Scuola italiana di specializzazione in Economia e Agraria, a Portici; il più celebre centro di lingue straniere. E su Napoli pesa un pauroso indice di non-scolarità; Si diserta la scuola dell'obbligo, che altrove segna il limite del nuovo analfabetismo. Ha una delle migliori, e più articolate Università del Centro-Sud, ma si preferisce "andare a legge", a prendere l'avvocatura, perché Napoli è la terra del cavillo e del gesto ciceroniano, la patria di Porzio e De Nicola.
La metropoli ha un'area agricola unica in Europa, con una produzione media per ettaro uguagliata solo dall'hinterland di Imperia, ma registra la maggiore frantumazione terriera del vecchio continente, con mezzo ettaro per abitante. Ha risorse umane di primo piano, fantasia, inventiva, capacità intellettuali singolarissime, destrezza, ma spreca tutto nel circuito dell'individualismo e dell'improvvisazione, o, al massimo della cooperazione, nel giro familiare e tribale. E' un mondo che la impazzire l'ago della bussola degli urbanisti, dei sociologhi, degli economisti, con la sua immensa miseria, con la disperata condizione umana, con la quotidiana guerriglia per la sopravvivenza: nelle strade, nei giardini, nei vicoli, nelle salite, nei bassi, negli ammezzati, nei quartieri, nei circondari: in tutta Napoli. Dappertutto è un bianco sertao su cui gli uomini incidono trame intricate e inimitabili vicende, bizzarri scorci di vita. avventure umane fuori d'ogni logica, al di sopra d'ogni razionalità, cioé privi d'ogni comune principio scientifico, ad quale - bene o male - tenta di attenersi qualsiasi altro comunità umano.
In questo, io credo, Napoli è tutta orientale: negli uomini e nelle donne, nelle case e nelle piazze, nelle seduzioni che offre, nelle poesie che canta, nella fame che vive, negli affari che invento, nei lutti che piange, nell'aria che respira, nei pensieri che esprime, nei sogni in cui muore, nel sole in cui brucia. Nel coro di voci che, qui, ha cantato per millenni le sue nere sventure, le dominazioni, il servilismo, le rivolte, il sangue e l'amore, la forca e l'alcova.
Napoli era città ricca. Sotto i Borboni e dopo, sotto i Piemontesi. Poi venne il protezionismo, e venne la regressione. Napoli diventò allora profondo Sud. E c'è rimasta anche quando avrebbe potuto fare grandi cose, mentre ha visto "passare a nord" Salerno e Caserta, Bagnoli e Pomigliano. Qui si chiamarono i grandi ingegneri, i Tocchetti, i Beguinot, i Mazzuolo, li si fece lavorare giorno e notte, dovettero tirar fuori piani per insediamenti industriali che guardassero lontano e respirassero aria di futuro. A Napoli si son fatti piani per un domani che è già oggi, mentre il porto invecchia, la città si sfascia e sprofonda, la demografia prorompe, i servizi si intasano, il settore terziario (anche illegale) ha cifre da vertigine. Napoli arretra, mentre la Campania avanza. Napoli incancrenisce, mentre intorno si decolla. Napoli muore impazzendo di gioia, con un veicolo ogni sei abitanti (indice d'incremento superiore alla media nazionale), con decine di miliardi in cambiali protestate (indice superiore a quelli di Milano e Torino messi insieme), con Piedigrotta, con un paio di inutili Fiere, con le Case dello Scugnizzo, con i palazzi in bilico sulle creste delle frane, con i santoni, con gli ispirati, con i sognatori di numeri, con i miracoli. Napoli va morendo con la sua amara scienza, un poco alla volta: resta una città sempre più sola, con i suoi sogni traditi, con i suoi fantasmi esiliati, con i suoi canti spenti. E' il silenzioso, triste epilogo d'una Capitale che troppo a lungo ha covato la speranza del privilegio politico, geografico, storico, con le sue classi verticalizzate, i suoi padroni intoccabili, le sue camorre inattaccabili, i suoi vizi inalienabili. Neapolis, la nuova città dei greci migratori, è un vecchio groviglio di cimiteri su cui scende, a volte, di notte, un lamento di luna.
L'altra Campania, quella che non ha il fascino leggendario di Napoli, ma che in compenso è ritenuta più attiva, in grado cioè di ricevere il più alto indice di industrializzazione, comprende tutta la piana, dal Garigliano a Castellammare di Stabia, con la ricca Valle del Sarno, i comuni di Battipaglia, Capaccio-Paestum, Eboli, Pontecagnano, e con Caserta, Salerno e la Valle del Sete. Inoltre. vi sono comprese la Penisola Sorrentina, Ischia. Procida e Capri, inadatte alt' industria manifatturiera, ma economicamente attive in quella turistica. Tutta quest'area costituisce il 21,2 per cento della regione, e ha solo qualche tratto corrugato nelle zone interne. Tutte le altre fasce sono collinari o montane.
Quali sono i vantaggi di questa Campania piatta e costiera? Innanzitutto, è il primo comprensorio economicamente attivo che si incontra nei confini fissati per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno; è il più vicino ai mercati del Centro-Nord; ha gli sbocchi marittimi che fronteggiano in Nord Africa e l'Europa sud-occidentale; infine, comprende l'inesauribile mercato partenopeo. Il rovescio della medaglia è costituito da una innaturale crescita demografica: in vent'anni, la popolazione è aumentata di circa un milione di unità, compensando i vuoti delle regioni sannita, irpina e cilentana. Lo squilibrio fra territorio e demografia è evidente la Campania conta il dieci per cento della popolazione italiana, su una superficie pari soltanto al 4,51 per cento di quella nazionale. Ebbene, tre quarti della popolazione regionale si addensano sulla lascia costiera da Salerno a Pozzuoli e nell'immediato entroterra. Alle spalle di Caserta si apre il deserto, interrotto dalle oasi di Avellino e Benevento.
La nuova Caserta nacque intorno alla reggia. La Caserta più autentica è Casa Erta, in cima a una mezza montagna, splendido esempio di borgo arroccato, sospeso anche nel tempo, con case, chiese, stradine, armerie, archi, porte e muri merlati d'età medioevale. Ed è quasi un avamposto a difesa di decine di groppe cintate, di cocuzzoli merlati, di contadi infeudati tra le rocce e le argille alte, lontani dagli approdi pirateschi, al riparo dalle fulminee incursioni e dalle minacce provenienti dal mare. Massicci castelli sopravvivono a una remota architettura di guerra, isolati torrioni svettano sugli speroni appenninici, difendono memorie di storia locale, povera di fronte alla preponderante storia della Capitale, povera di fronte alla storia religiosa che si irradiò da un santuario austero e laborioso, quello di Montevergine. E' il regno del castagno, che preannuncia le nevi precoci e le improvvise interruzioni dei valichi.
Qui è il cuore della Campania interna, intorno al quale ruotano tre profondi Sud: Sannio, Irpinia e Cilento, fragili terre antiche, sconvolte dai terremoti e dalle frane. I paesi hanno bisogni elementari, e alle spalle non hanno vicini più fortunati: devono guardare avanti, verso la pianura e verso il mare. Sono contrade così povere, che la camorra vi si estinse spontaneamente. Le ha divise la storia, non la miseria, né la fierezza. Roma rischiò di vedere infranta la sua potenza contro gli irriducibili Irpino-Sanniti: quando li vinse, senza poter mai dire d'averli sottomessi, dopo essersi piegata all'umiliazione delle forche caudine, ebbe aperte le vie della Magna Grecia. Costì, per un ricorso storico, Eboli fu la frontiera, che Levi mitizzò, per un'altra invasione, quella delle ciminiere, scarse e predatrici, né libere né liberatrici, cresciute - qui e altrove - in una ragionevole condizione di necessità neocoloniale.
Predomina un'agricoltura di rapina, distese a grano su campi mobili, giovani e morbide terre che piogge e straripamenti sommuovono come su una gigantesca scacchiera, con un gioco più forte di qualunque forza. E' l'argilla mobile che preannuncia quelle, infernali, della Calabria e della Basilicata, delle quali ha lo stesso colore grigio nelle calanche e brunastro nei botri; delle quali ha l'identica perfidia nel fingere di rattenere le radici di alberi vaganti come massi erratici, nel prospettare una debolezza che in realtà èforza brutale e distruttiva, cieca. E' l'insidia che ha costretto città come Avellino ad articolarsi sugli spuntoni scistosi, città né stellare né concentrica. com'è nelle tradizioni urbanistiche meridionali, ma quasi centrifuga, disarticolata e sfuggente: senza baricentro; o come Benevento, con le case addossate, incatenate, con i quartieri a macchia d'olio, bassi e torvi. Se si alza il vento c'è un colore d'Epiro, date storiche sono i giorni dei terremoti. E, quasi a contrappunto, paesi segreti su nascoste vallate, alte anche queste, e tanto più sicure quanto più in alto e fuori dal mondo sono: quasi a ricordare che anche qui ci fu, come vuole l'incredibile mitologia meridionale, una Campania felix.
L'itinerario archeologico è stupefacente: Castellammare prelude alla classica Stabia; Nola è di origine osca e di sviluppo, paleocristiano; Ischia e Capri ricordano i fasti imperiali di Roma; Pompei è una intatta città morta (città, ellittica, con mura a otto porte); Pozzuoli, che domina i Campi Flegrei, custodisce l'anfiteatro più vasto dell'antichità.: Ercolano riecheggia la tragica vicenda vesuviana che ebbe. vittima illustre, Plinio il Vecchio; Torre del Greco è sospesa tra Medioevo e Rinascimento; Caserta Nuova propone reggia e parco del Vanvitelli; Capua è l'antica Casilinum; Santa Maria Capua Vetere è l'antichissima e potente Capua degli ozii di Annibale; Salerno fu patria, nei secoli XII e XIII, del primo centro medioevale per lo studio delle scienze mediche; Amalfi fu la più antica repubblica marinara, raccolta intorno al suo duomo-gioiello; Sessa fu capitale degli Aurunci; Cava de' Tirreni crebbe all'ombra di una severa Abbazia; Benevento custodisce i reperti di civiltà autoctone, irpina e sannita; Napoli quelli di una civiltà importata, quella ellenica.
E Napoli, città ricchissima e miserabile, fu, matrice di storia, lettere e arti. Lo "Studio Napoletano" fu la più celebre università europea fin dal tempo degli angioini, Gli aragonesi accolsero umanisti di primo piano, dal Panormita al Valla, al Pontano. La monarchia borbonica, che incoraggiò lo sviluppo dell'architettura (con le regge di Caserta, Portici e Capodimonte, col Teatro San Carlo, con i Granili. con, l' Orto Botanico, con l'Albergo dei Poveri), volle - prima in Europa - lei cattedra di Economia Politica, affidata al Genovesi, e l'Accademia Ercolanense.
Crebbero a Napoli spiriti di cultura cosmopolita, dal Filangieri al Cuoco, da Spaventa al Vico e al De Sanctis, da Pisanelli al Settembrini, da Labriola a Croce, a Di Giacomo, a De Roberto. Una "Scuola Napoletana" ebbero pittura e musica, astronomia e diplomazia. Napoletana fu la prima repubblica
moderna d'Italia, quella del 1799; e con le giornate di Napoli, epopea di un popolo che emergeva dalle macerie del secondo sterminio mondiale, nacque la coscienza della nostra repubblica.
Contraddittorio destino di questa capitale del Sud; al primato civile e morale, culturale, scientifico e giuridico, che illuminò l'Europa, ha visto seguire una costante decadenza, cui non ha posto riparo alcuna lezione del passato. Una puntuale legge del contrappasso fa di Napoli una sintesi emblematica delle contraddizioni del profondo Sud.

Letteratura di Campania

Ada Provenzano

Se una difficoltà incontra chi affronta lo studio della letteratura campana, è quella di ridurla - appunto - nello stretto àmbito regionale. Se ciò vale per tutte le regioni, ancor più si evidenzia per la Campania, la cui cultura già nell'Alto Medioevo si svolse in costante rapporto con molteplici elementi e con diversi centri, offrendo un quadro composito ed eterogeneo: influssi bizantini si incrociarono con l'impulso della nuova cultura latina, irradiata da Montecassino, mentre Benevento longobarda manteneva i contatti con la civiltà curiale e clericale dell'Italia del nord. Sulla scia di Paolo Diacono si mossero gli autori della cronaca latina e di quella salernitana, dei "gesta" dei vescovi napoletani, oltre allo storico Erchemperto, ai cronisti Romualdo e Pietro di Tuscolo, ai retori Alberico da Montecassino e Roffredo da Benevento, e gli scrittori di medicina della Scuola salernitana Campano di nascita, anche se culturalmente si forma a Parigi e Colonia, è il massimo sistematore della dottrina scolastica, Tommaso d'Aquino.
Alla Campania appartengono le prime testimonianze scritte del volgare italiano: le formule contenute nei celebri piaciti di Capua, Sessa Aurunca e Teano son di poco posteriori al secolo X; insieme col "Ritmo Cassinese", frammento di lauda mariana, attestano l'esistenza di un idioma già elaborato. Tuttavia, la Campania parteciperà tardi alla letteratura volgare propriamente detta: darà alla fase svevo-normanna della Scuola Siciliana due figure minori, Rinaldo e Jacopo d'Aquino; e, nell'età angioina, quando Napoli assurgerà alla dignità di capitale, sarà la Toscana ad assumere il primato letterario. Napoli resta centro di una cultura giuridica, didascalica, teologica, di sapore tradizionale, anche so non mancano manifestazioni dialettali ("Cronica di Partenope", "Bagni di Pozzuoli e di Ischia"), che già avviano un filone ingenuo e popolaresco, che giungerà ai nostri giorni. Eppure, in questa Napoli un poco torpida e apparentemente periferica Boccaccio elabora, fin dal 1340, la sua prima educazione sentimentale e poetica, e da questa città attinge motivi e forme congeniali al suo gusto turgido e alla sua fantasia articolata; e a Napoli viene il Petrarca, dove recluta un cenacolo di ammiratori (Barbato di Sulmona, Giovanni Battista Barrili, altri minori), che costituiscono il primo nucleo dì quella civiltà umanistica che esploderà nel secolo seguente e culminerà nel rigoglio di Napoli aragonese, quando l'Accademia promossa dal Panormita e l'insegnamento dei Lascaris e dei Valla allargheranno gli interessi culturali dei napoletani, e dei "provinciali" presenti o formatisi nel clima e nell'ambiente napoletano: da Tristano Caracciolo ad Antonio de Ferraris, detto il Galateo; dagli autori in volgare G. Maio e D. Carafa ai due fiori all'occhiello dell'umanesimo quattrocentesco Pontano e Sannazzaro.
Anche la letteratura in volgare comincia ad uscir d'impaccio, attenuando il dialetto e assumendo a modello i calchi toscani (F Galeota, P. J. de Jennaro, G. Pierleoni, B. Gareth detto il Cariteo, e, su tutti, Giannantonio Petrucci, conte di Policastro, morto sul patibolo. L'espansione del gusto classicheggiante nel Cinquecento troverà massimi cultori napoletani Bernardino Rota e Angelo di Costanzo, e una dotta cultrice in Laura Terracina avrà la restaurazione arcadica. La storiografia vanterà opere insigni (tra cui la "Congiura dei baroni", di Camillo Porzio), mentre sul finire del secolo si svilupperà il teatro, (Bruno, Della Porta, D'Isa). Tra la pleiade dei letterati emerge il poligrafo Luigi Tansillo di Venosa.
Si delineano, intanto, le due direzioni fondamentali, preannunciate nel secolo precedente, e che si svilupperanno dal Seicento in poi: quella idillica e musicale, nativamente sensuale, bizzarra, epigrammatica, ingegnosa, colorita ed esuberante; e, per converso, quella che richiede quasi un ripiegamento della coscienza, un'esigenza di approfondimento interiore, un'inquieta ricerca sui temi morali, filosofici, religiosi. Nella prima direzione, che è la più vistosa, sull'esempio di Tansillo e sotto il magistero formale di T. Tasso, si colloca la fortuna, non solo italiana, di G. B. Marino e del marinismo, che si svilupperà, prendendo diverse direzioni, con G. Fontanella, A. Muscettola, M. Macedonio, T. Stigliani, con lo spericolato teorico F. Meninni, col predicatore G. Lubrano, e rifiorirà col Metastasio, con la voce satirica di Salvator Rosa, con la vena dialettale di F. Sgruttendio e di G. C. Cortese, e soprattutto - in chiave barocca - con G. B. Basile e col poligrafo Pompeo Sarnelli. Sull'altro fronte, si va dalle rime calviniste del pensoso A. Caracciolo, ai trattati e ai poemi di Giordano Bruno. martire moderno. Già al tempo di Bruno Napoli è la capitale degli studi filosofici, e tale resterà fino ai nostri giorni. Fin dal Seicento, con L. Di Capua e gli aderenti alla Accademia degli Investiganti, si pongono le basi di un coraggioso e libero pensiero, che diffonde l'ideologia galileiana e propugna, in letteratura, una riforma nel senso che sarà poi ripreso dal Caloprese e dal Gravina. Napoli recepisce le conquiste del pensiero europeo, apre le porte a Cartesio, Gassendi, Spinoza, Grozio, Leibniz, ai teisti inglesi, all'esegesi biblica protestante. L'eccellenza della scuola speculativa napoletana in campo europeo è dimostrata da Pietro Giannone, che fonda i motivi dell'anticurialismo locale in una grandiosa interpretazione storica che troverà larga eco nei teorici dell'Illuminismo, e da G. B. Vico, che instaura una visione profondamente storicistica, illuminando il principio immanente del progresso umano, delineando il corso parallelo e crescente delle istituzioni, delle leggi, dei costumi, della cultura, riscoprendo - accanto alla ragione - il valore della fantasia, dell'intelligenza poetica, del mito. Crebbe una generazione di illuministi, dal Doria al Genovesi, dal Galanti al Caracciolo, al Filangieri, al chietino e appartato abate Galiani, compagni di strada dei giansenisti, con i quali prepararono lo sbocco rivoluzionario della Repubblica del '99, per la quale morirono Vincenzo Russo e Francesco M. Pagano e la ternana Eleonora Pimentel, mentre l'abruzzese V. Cuoco, il lucano F. Lomonaco, il cosentino F. S. Salfi, attraverso l'esperienza dell'esilio, ebbero il compito di consegnarne il messaggio ideale e la nuova coscienza della nazione alle generazioni risorgimentali.
L'Ottocento si aprì con l'esile poesia di A. Poerio, e con la robusta voce della cultura e della prosa scientifica e critica. P. Colletta, C. Troya, L. Tosti, L. Settembrini, gli abruzzesi Bertrando e Silvio Spaventa, A. Tari e C. De Meis, il calabrese F. Fiorentino, e V. Imbriani, S. Tomasi, Ruggero Bonghi, Antonio Labriola: uomini assai diversi fra loro, per statura e qualità d'ingegno, furono accomunati dal senso quasi religioso della cultura, padri e maestri aperti alle voci più varie del pensiero europeo. Emerse, gigantesca, la figura di Francesco De Sanctis, che insieme concluse e superò la fase eroica del Risorgimento. Il secolo declinò col romanzo sociale (A. Ranieri, F. Mastriani, F. Petruccelli della Gattina), e con la splendida esperienza di un poeta, Francesco Gaeta. La nuova letteratura mosse nell'ambito del verismo, (Serao,Verdinois, Lauria, Torelli, Bracco, F. Russo), e si colorò con la poesia di Di Giacomo, abbandonata quanto sottilmente tradizionale e quasi barocca, immediata nell'adesione alle cose, alle passioni, al paesaggio popolare. Poesia che fu lirica con Alfonso Gatto. La narrativa riprese vigore con una schiera di scrittori (Carlo Bernari, Giuseppe Marotta, Domenico Rea, Michele Prisco, Luigi Compagnone), mentre ancora riecheggiano i gusti classicheggianti dell'opera di F. Flora, della poesia di E. Jenco, del carduccianesimo di E. De Michelis, dell'ironia intellettuale di M. Venditti, del dialettale poeta R. Galdieri, del genuino N. Vernieri, del romantico L. Giusso, dell'altissirno L. Curci; e della schiera di "poeti stradali", da Murolo al Russo, a Postiglione, a Petriccione, a Ruocco, a Scarpetta; e, da ultimo, a Eduardo De Filippo, espressivo e malinconico poeta della scena.

Storia di Campania

Pino Orefice

Storicamente, il nome Campania indicò dapprima il solo territorio di Capua e dell'Agro Campano; poi comprese anche altre aree confinanti. Forse il nome si deve agli storici greci; certo, per i latini, il primo ad usarlo fu Cicerone. La storia di questa regione è, in buona parte, la storia dell'intera Italia Meridionale. Ma anche la Campania ha una propria preistoria, con segni di attività dell'uomo nel paleolitico. Tracce di civiltà storica si hanno intorno all'anno 1000 a. C., quando immigrarono popolazioni etrusche, umbro-sabelliche, irpine e lucane. Napoli, Cuma e Pozzuoli furono colonie fondate dai greci, ed ebbero una lunga età di splendore, poi offuscata dalle pressioni dei sanniti e dalla conquista di Roma.
Il ricordo del periodo romano domina soprattutto nell'area partenopea, negli avanzi di Baia, nelle rovine di Ercolano, di Pompei e degli altri centri sepolti dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C., nei resti delle opere pubbliche e private, come le vie Appia e Traiana, l'arco traianeo a Benevento, i templi, i teatri, le numerose residenze per villeggiatura lungo la marina da Formia a Paestum. La tradizione fa morire a Cuma Tarquinio il Superbo, a Literno si ritira Scipione l'Africano, a Pozzuoli si ritira Silla, fra Pozzuoli e il Lucrino villeggia Cicerone, a Noia muore Augusto, a Miseno Tiberio, a Baia Adriano, a Stabia Plinio il Vecchio.
Il Cristianesimo fu introdotto assai presto in Campania, fioriva già quando Paolo di Tarso recandosi a Roma, sbarcò a Pozzuoli. Il primo segno della nuova civiltà cristiana è dato da San Benedetto, con la badia di Montecassino, costruita sul luogo dell'antico tempio di Apollo, cui seguirono quelle di Cava de' Tirreni e, di Montevergine. Nel corso del V secolo, la Campania subì le devastazioni dei Visigoti di Alarico; fu dominata da Odoacre e dagli Ostrogoti di Teodorico; fu saccheggiata dalle guerre gotiche, e i Goti vi si ridussero nell'estrema difesa contro i Bizantini di Belisario e Narsete. Ai Bizantini seguirono i Longobardi, che tennero il ducato di Benevento e i principati di Avellino e Salerno fino al 1077. Nel 1139 si affermò il dominio normanno. Le lotte intestine favorirono la nascita di comuni autonomi e della repubblica marinara di Amalfi; poi si ebbe l'età delle invasioni saracene, fino a che ci fu, con gli Altavilia, la Contea di Puglia, con capitale Melfi: trasformata in regno, comprese quasi tutto il meridione, ad eccezione del ducato di Benevento, che rimase alla Chiesa. Entrata nel regno normanno, Napoli cominciò ad avere importanza crescente, fino a diventare la capitale del Mezzogiorno. Gli ultimi svevi (che avevano preferito la Puglia) furono travolti dagli angioini, che dominarono sul Regno di Napoli fino al 1442; dopo di che, passarono la mano agli aragonesi. Dopo le vicende francospagnole, giunsero i Borboni, cacciati poi da Napoleone, e tornati dopo la caduta dell'imperatore francese, con Ferdinando I, re delle Due Sicilie. La conquista garibaldina del Sud si conclude a Gaeta nel 1860. Un anno dopo, si avviò quel brigantaggio che fu in parte determinato dalla sobillazione borbonica, ma in più gran parte dall'aggravarsi delle condizioni di arretratezza delle popolazioni meridionali. La prima guerra mondiale, che fu guerra essenzialmente di masse meridionali, servì, se non altro, a cementare un'unità che fino allora era stata piuttosto formale. La seconda, concludendosi, avviò da Napoli, capitale morale del Mezzogiorno, la coscienza di un'età nuova.

G. Dorso

Claudio Alemanno

Scrittore politico e meridionalista di rilievo. Nacque ad Avellino nel 1892, morì nel 1947. Laureatosi in giurisprudenza, esercitò, come civilista, l'avvocatura, e collaborò a vari giornali locali. Nel '23 fondò il "Corriere dell'Irpinia, soppresso due anni dopo dalle leggi fasciste. Collaborò a "Rivoluzione Liberale" di Piero Gobetti.
Frutto dell'intensissima attività di pubblicista fu la pubblicazione de "La rivoluzione meridionale", in cui, superando le tradizionali concezioni riformistiche che facevano capo a Giustino Fortunato, e criticando nello stesso tempo le forze politiche contemporanee, ritenendole inadatte a sanare la frattura Nord-Sud, indicava la possibilità di soluzione della crisi in un movimento autonomo meridionale: movimento, che avrebbe dovuto sciogliere i legami tra il grosso ceto proprietario e la media e piccola borghesia urbana che doveva essere indirizzata verso il mondo contadino, estraneo alla conquista "regia" nel Risorgimento. Borghesia e mondo contadino dovevano essere portati a maturità politica, dapprima; in seguito, alla lotta contro lo sfruttamento instaurato nel Mezzogiorno dalle classi dirigenti settentrionali con l'eliminazione dell'industria meridionale, con l'eccessivo fiscalismo, e infine con le protezioni doganali.
Per quanto in precarie condizioni di salute e sottoposto a sorveglianza speciale, si tenne in contatto con gruppi clandestini. Tra il '38 e il '39 preparò uno studio sull'avvento al potere di Mussolini; entrò poi nei gruppi di "Giustizia e Libertà", e quindi nel Partito d'Azione, dirigendo l'organo meridionale dello stesso partito, "L'Azione": gli articoli che pubblicò dal giugno al dicembre del '45 furono raccolti nel volume "L'occasione storica". A fine anno, si ritirò, disperando che la riscossa politica meridionale potesse partire da un movimento che non fosse espressamente meridionalista. Aveva presenti, in tal senso, le esperienze dei Partito Sardo d'Azione.
Fu candidato all'Assemblea Costituente per la Puglia e la Basilicata alle elezioni del 2 giugno 1946. Morì poco dopo, mentre attendeva a nuovi studi di critica e teorica politica.

PROFILI DELLE REGIONI DEL MEZZOGIORNO

6. - Campania

Guglielmo Tagliacarne

La Regione più estesa ma fra le più povere del Mezzogiorno

Reddito prodotto: un terzo meno della media italiana

La popolazione della Campania con 5.256.000 abitanti a metà del 1975, è la più estesa fra le regioni italiane, dopo quella lombarda. Ma non è certo la più ricca. Il reddito prodotto da questa regione in media per abitante è di 966.000 lire, contro 1.420.000 lire ,per la media nazionale. Quindi, il reddito medio prodotto in Campania è il 32 per cento inferiore a quello del complesso nazionale. Altre regioni del Mezzogiorno, seppure povere come lo sono tutte le regioni di quest'area, superano la Campania: l'Abruzzo presenta una media per abitante di 1.176.000 lite, la Puglia 1.017.000 lire, la Sicilia 1.002.000 lire e la Sardegna 1.151.000 lire. La Campania, per questo riguardo, supera soltanto le tre regioni più povere di tutta Italia: Molise, Basilicata e Calabria.
Tutte le province della Campania sono povere, ma quella che occupa l'ultimo posto è Avellino, con un indice del prodotto lordo che è meno della metà di quello medio nazionale. Non solo questa provincia è la più povera della Campania, ma lo è anche rispetto a tutte le altre province italiane.
Fatto cento il reddito prodotto pro capite in Italia, i valori scendono a 72 per Napoli, 68 per Caserta e Salerno, 60 per Benevento, ed infine a 46 per Avellino che, ripetiamo, è la provincia che chiude la graduatoria decrescente di tutte le province italiane.

Forte proporzione agricola

L'attività economica della Campania è ancora caratterizzata da un'alta quota spettante all'agricoltura: infatti il 15,2 per cento del reddito ch'essa produce spetta all'agricoltura, contro il 9,5 per cento riguardante il totale dell'Italia. L'attività industriale in Campania conta per il 30,2 per cento del reddito regionale, contro la quota del 40,1 per cento del complesso nazionale.
Le produzioni agricole più notevoli in Campania sono quelle orticole, le frutta, gli agrumi, la vite e il grano.
Le produzioni industriali sono in gran parte quelle alimentari, oltre quella del mobilio e, da pochi anni, le produzioni chimiche e meccaniche, fra le quali è da annoverare quella degli autoveicoli.
Non può dimenticarsi l'esistenza del porto di Napoli che comporta un complesso di altre attività sussidiarie. E' questo il principale porto del Mar Tirreno, di importanza internazionale.
La Campania ha una grande metropoli, Napoli, che per molti anni è stata la più importante di tutta Italia, ma successivamente è stata superata dalle città di Roma e di Milano. Ora Napoli conta 1.224.000 abitanti contro 2.856.000 di Roma e 1.732,000 di Milano. Un indice del livello economico della Campania è fornito dalle spese familiari. Dall'indagine sui bilanci familiari curata dall'Istituto
Centrale di Statistica per il 1975, si desume che la media dei consumi complessivi per membro componente della famiglia è di lire 79.336 contro 110.208 lire per la media italiana. Fra le regioni del Mezzogiorno, quella della Campania è superata (di poco) solo dalla Calabria, dalla Basilicata e dalla Puglia.
Per meglio valutare non solo il livello, ma anche la struttura dei diversi consumi della Campania, riportiamo i dati di questa regione, confrontati con quelli della media italiana.

Come si vede, la spesa per tutti i generi in Campania è inferiore a quella media dell'Italia, con le sole eccezioni delle spese per il pesce e per gli olii e grassi.
Sono da notare le modestissime quote di spesa dedicate al vestiario, ai mobili, all'igiene, ai trasporti (automobili).


Popolazione campana di nascita

Abbiamo detto che la popolazione della Campania è di 5.256.000 abitanti, ma dobbiamo ricordare che molte persone nate in Campania hanno residenza in altre regioni italiane e all'estero.
Se vogliamo considerare le persone nate in Campania, possiamo presentare il prospetto seguente.

Non possiamo dimenticare neppure le persone nate m Campania e residenti all'estero, quali risultano da una statistica del Ministero ,degli Affari Esteri.

Pertanto il totale della popolazione campana di nascita ammonta a 5.908.972.

Pochi "colletti bianchi"

E' interessante considerare lo stato e il tipo del personale occupato nelle industrie manifatturiere, con particolare riguardo alle categorie di "Dirigenti e di impiegati", quelli che si usa chiamare "i colletti bianchi". Essi sono 750.000 in tutta Italia, di cui 690.000 (pari al 92 per cento) sono nel Centro-Nord; 230.000 si trovano a Milano, il 30 per cento dell'occupazione industriale complessiva; a Napoli se ne contano soltanto 18.000, tanti quanti ne ha una piccola città come Bergamo.
E' questo un dato che dimostra la grande carenza di personale direttivo e di concetto a Napoli, in confronto alle città del Centro-Nord.

Disagiate abitazioni

Il grado di affollamento in Campania è il più elevato riscontrato in Italia (una stanza in media per 1,2 persone); è anche elevatissimo il numero delle abitazioni improprie, costituite da cantine, grotte, eccetera.
La natalità è la più alta della penisola con 20 nati vivi su 1000 abitanti (15,7 per mille in tutta Italia). La mortalità non è alta, ma purtroppo è elevatissima la mortalità infantile, la più alta di tutta Italia. Anche l'analfabetismo presenta in Campania un quoziente elevato (9,6 per cento, contro 5,2 per la media italiana al 1971).

Terra di emigranti

La Campania è sempre stata una regione ,con un'alta proporzione di emigrati all'estero. Nel decennio 1901-1910 gli emigrati all'estero salirono a 700.000. Ancora in questi ultimi anni, durante i quali questo fenomeno è stato molto limitato, sino, talvolta, ad essere superato dai rimpatri, la Campania presenta una perdita demografica per gli espatri all'estero.
E' da notare che la Campania presenta la minore frequenza di suicidi (3,8 su 100.000 abitanti, contro 9,1 per la media nazionale.)

Criminalità

Sulle 20 regioni italiane, la Campania occupa il penultimo posto come indice di criminalità. Fatto uguale a cento l'indice di criminalità per l'Italia nel complesso, la Campania figura con l'indice 131. E' seguita a distanza dal Lazio che tiene l'ultimo posto con un indice 200. E' da notare che gli indici qui riferiti tengono conto della importanza dei delitti (commisurati alle pene) e sono stati calcolati dal Consiglio Superiore della Magistratura.
E' stato calcolato dal suddetto Consiglio anche un indice per la delittuosità minorile. Per 100.000 giovani in età da 10 a 18 anni, l'indice è risultato 443,6 per il complesso dell'Italia e 986,5 per la Campania. Quindi per la nostra regione l'indice di delittuosità dei minori è più del doppio di quello medio di tutta Italia (dati del 1973). E' questo indice per la Campania il più elevato di tutta Italia.

Il 20 per cento dei disoccupati di tutta Italia

Gli iscritti nelle liste di collocamento per la Campania sono ammontati nel novembre 1976 (ultimo dato disponibile) a 246.762, pari ad oltre il 20 per cento degli iscritti disoccupati di tutta Italia. Questa cifra rappresenta una sintesi dello stato di disagio nel quale si trova la Campania.
Anche per le ore concesse dalla Cassa integrazione guadagni, la Campania occupa uno dei primi posti fra le regioni del Mezzogiorno.

Carenze in tutti i servizi

Per i vari servizi si notano carenze notevoli: così dicasi per gli istituti di cura, gli asili infantili, i luoghi di ricovero per gli anziani, le attrezzature di assistenza pubblica. Fra tante depressioni e carenze, l'istituzione che si eleva per il numero degli iscritti e per il pregio degli insegnanti è l'Università di Napoli, che attira studenti da tutte le regioni del Mezzogiorno e gode di un alto prestigio anche fuori dei confini nazionali.

Credito e banche

In quanto alle aziende ordinarie di credito nella Campania, possiamo valerci di un accurato studio apparso nell'ottima rivista di Tancredi Bianchi "Banche e Banchieri".
Al 31 dicembre 1974 operavano 25 aziende ordinarie di credito con 121 sportelli dei quali 75 nella provincia di Napoli, 11 in quella di Caserta, 20 in quella di Benevento, 15 in quella di Salerno; nessuno sportello di aziende di credito ordinario esiste nella provincia di Avellino. In totale tutti gli sportelli bancari (aziende ordinarie e altre) sono 481, quindi quelli delle aziende ordinarie rappresentano un quarto del totale.
Per le aziende di credito ordinario, si constata che esiste uno sportello ogni 43.232 abitanti nel complesso regionale; ma le differenze di questo rapporto sono notevoli: 37.510 abitanti per sportello nella provincia di Napoli, 64.461 abitanti in quella di Caserta, 14.491 abitanti in quella di Benevento e 65.731 abitanti in quella di Salerno. Si consideri che per tutta l'Italia si hanno 21.813 abitanti per sportello.
I comuni della Campania sono 545, quelli serviti da sportelli bancari sono 201, dei quali 75 riguardano aziende di credito ordinario. In complesso gli sportelli in Campania sono come si ègià detto, 481 (265 a Napoli, 52 a Caserta, 37 a Benevento, 31 ad Avellino, 96 a Salerno).
Il rapporto fra impieghi e depositi in Campania per le aziende ordinarie di credito è del 60,2 per certo, contro il rapporto 64,8 per cento concernente tutta l'Italia. Il rapporto è molto diverso da provincia a provincia: 67,7 per cento nella provincia di Napoli, 35,6 per cento in quella di Caserta, 48,1 per cento in quella di Benevento e 52,9 per cento in quella di Salerno.

Considerazioni finali

La Campania è forse la più bella regione italiana, gode di un clima confortevole, vanta una storia gloriosa e una massa di opere d'arte grazie alle quali esercita un'attrazione su tutte le parti del mondo. Difatti, una delle maggiori fonti di reddito è costituita dai turisti stranieri.
Purtroppo, però, la Campania è povera e presenta una evoluzione discendente, in senso relativo; vale a dire l'incremento del reddito e il progresso economico presentano un tasso inferiore a quello del resto d'Italia: quindi, questa regione perde terreno rispetto al complesso nazionale. Disoccupazione, analfabetismo e criminalità costituiscono tre piaghe dolorose.
Non mancano segni di ripresa, settori promettenti di sviluppo, volontà di recuperare la ,posizione di elevato prestigio che un tempo la fece grande e prospera. Sono prospettive - ed anche possibilità reali - che la popolazione intelligente e di animo gentile di questa regione merita di conseguire.

 


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