§ Riscoprendo il paesaggio

Le "Serre" salentine




Eloisa Malagoli



In cima a queste colline non ci si sente mai soli come in un deserto, le tracce dell'uomo sono per tutta la campagna, per secoli è stata sua. sottomessa, mansueta, umanizzata.

Sono cerniere di dorsi verdi. Le "serre" minori salgono per sessanta o settanta metri; le maggiori vanno più su, alzano creste più ardite, superano i centocinquanta metri: è la montagna del Salento, che come tutte le montagne che increspano una pianura, e per di più una pianura peninsulare, sono in scala ridotta. La Serra dei Cianci è l'Everest di questo sistema micro-orografico: una. gran gobba sopra Alessano, a guardia dei vigneti che si stendono nella campagna laminata dal sole. Sotto, il paesaggio è dominato dai suoi abitanti: essi hanno coltivato ogni palmo di terra coltivabile, le loro case sono disseminate fittamente nella piana. In cima a questa serra, come in cima a ogni altra serra salentina, non ci si trova mai soli come in un deserto: le tracce dell'uomo sono per tutta la campagna, per secoli essa è stata sua, sottomessa, mansueta e umanizzata. La vita vegetativa delle piante e delle cose è aliena e ostile alla vita umana. Gli uomini non possono vivere riposatamente, se non là dove hanno dominato ciò che li circonda, o là dove le loro vite accumulate superano in numero e in importanza le vite vegetative all'intorno. Riordinato, piantato, disegnato in terrazze, e coltivato fin sulla cima, il paesaggio delle serre è, appunto, umanizzato; è sicuro. Non ha l'acredine del paesaggio appenninico; non lancia sfide come quello alpino. Ha una sua propria dolcezza, e più che semplici colli, le serre sembrerebbero insellature o piccole valli capovolte.
Da quando, nella lontananza dei secoli, questo paesaggio è stato addomesticato dall'uomo? C'è una grotta - di dimensioni ridotte - sullo spigolo della serra di Sant'Eleuterio, affaccia verso lo Jonio, sopra Matino; una grotta sghembata, stazione abitativa intermedia, con tutta probabilità, ce lo confermeranno gli specialisti, quelli che leggono i millenni sulle schegge di pietra, sulla selce lavorato, sugli ossi a punta di freccia. Una volta c'erano graffiti, qualcosa forse sopravvive (al radioscopio?) ancora oggi, non la rivedo da anni: fu dunque un uomo evoluto, quello che la frequentò; un uomo pienamente storico. Com'era il paesaggio intorno? Il Salento fu terra di ghiacci, è stato accertato. Finite le glaciazioni, vinse una primavera mediterranea, e vennero gli anni della felce, gli anni dei carpini e dei lecci nani, gli anni della quercia macedonica e della vallonea. La civiltà si dato col primo giorno in cui fu lavorata la terra, quando nacque la prima attività umana, l'agricoltura; il secondo giorno l'uomo inventò la pastorizia e la pesca. Allora il paesaggio agreste si combinò con quello marino: la rusticità e l'umiltà dei campi venne a contatto con la gloria del mare.
L'acqua non fu l'oro liquido che sarebbe diventata, in seguito, nella penisola salentina. Brevi, i fiumi c'erano; e forse non potevano che essere fulminei, dal momento che l'altitudine media del Salento era, ed e' minima; se il mare sale di trentacinque metri, la penisola si trasforma in un arcipelago; isole diventano le creste delle serre. L'acqua c'era, in superficie. Poi il gioco della natura coinvolse le leggi chimiche e quelle fisiche, si sviluppò un gigantesco ventre carsico che inventò cunicoli, grotte, caverne, meraviglie cristallizzate dai millenni, precipizi su sfondi di stalattiti e stalagmiti volte e corridoi e ramificati canali, slarghi inattesi di gelide acque con superstiti faune preistoriche, e tutta l'orrida bellezza del ricamo del tempo distillata secolo dopo secolo, aurea, bianca, diafana; e l'acqua andò capofitto, i fiumi si rinserrarono nel cuore di questa terra, dentro le sue aorte e vene e vasi, linfa perennemente filtrata attraverso le gobbe del tufo, setacciata da miliardi di pori calcarei: i fiumi divennero "uadi" in superficie, come se anche qui fosse Sahara, lasciarono il regno del sole, al quale lo restituiscono, oggi, le pompe meccaniche dei pozzi artesiani, che li piegano all'uso della terra, li riumanizzano. La cattura, ai piedi delle serre. La Serra di Sant'Eleuterio è una miniera senza fine. Forse perché è una serra a modo suo: in realtà, è il più grande "altopiano" della penisola salentina. Si alza bruscamente, con tornanti ripidi, poi si appiattisce, allargandosi da Alezio a Matino, a Parabita, a Casarano, a Collepasso: in cima al tronco di cono, boschi di ulivi tra la pietra viva e la terra rossa. Dai suoi spalti si allarga la vista, il mare di Gallipoli sembra uno stagno lontano, fulvo al tramonto; a sud, fronteggia un'altra serra contigua quella di Casaranello; a tramontana s'addolcisce, scende a terrazzi verso gli antichi "paduli" dell'agaro collepassese, che ricordano ancora storie di briganti predatori di diligenze e taglieggiatori di masserie.
Sull'altopiano c'erano stormi di beccacce che spiccavano improvvisamente il volo; e tordi, lepri, ricci, donnole, volpi. Sul cielo primaverile migravano frecce d'aironi, tagliavano corto dai vicini Laghi Alimini-Fontanelle e planavano verso i laghetti artificiali di Porto Cesareo, ricchi di Pesce azzurro.
Lo sterminio è stato una squallida epopea di cacciatori incolti, di mitragliatori della domenica, li ho visti "scendere", doppiette automatiche alla mano, in lungo semicerchio, distanti trenta o quaranta metri uno dall'altro, rastrellavano un territorio di sette, otto, nove chilometri, per la loro stupida guerra, per l'ignobile gioco al massacro: piombavano a terra miracoli di allodole librate in un cielo ormai spoglio: rari tordi precipitavano fra le braccia degli ulivi; tenere tortore finivano a picco tra i cespugli delle macchie Gli aironi, non passano più, anche le folaghe hanno abbandonato Alimini, le migrazioni seguono altre rotte, ho ritrovato queste memorie sugli stagni jugoslavi, gli uccelli hanno cambiato nazionalità, sulle serre sono rimasti i passeri, che hanno il volo corto, forse se ne andranno anche loro, emigreranno mettendosi in marcia, stormi appiedati, e i cacciatori dovranno minare, le strade e i ponti per raccontarsi la storia della strage festiva.
All'ombra della Serra dei Cianci, ad Alessano, si staglia la più bella Collegiata barocca, assediata da gentili palazzi. Al centro di Alezio, nel giardino di un mio amico e collega, vennero alla luce delle tombe messapiche. E messapica fu quasi certamente Veretum, a Patù, paese sdraiato alle falde della Serra di Vereto, ai cui margini sorge, misterioso, ambiguo quasi, e pur sempre d'un lascino che proprio dall'inesplicabilità geografica e funzionale deriva la più gran parte della sua forza, il Centopietre, il megalito per eccellenza dell'intera penisola satentina.
In "Pellegrino di Puglia". Cesare Brandi scriveva: così piatta com'è, con quelle strade diritte e i grossi borghi bianchi, fitti quanto un gregge di pecore nello stazzo, la Puglia non la venire il desiderio di percorrerne le strade, di entrare in quei borghi, di trovarsi a raso terra in tanta pianura, e così eguale. C'erano i monumenti (la sorprendente fioritura artistica) e quelli bisognava conoscerli, ma, oltre ai monumenti, non sentivo altra ragione di andare in Puglia... Avvenne dopo molto tempo che dovessi visitare Otranto: la Puglia bisognava infilarla tutta, per arrivare sin là. E allora cominciò la scoperta. Né s'arrestò a questo primo viaggio, né al secondo, né al terzo; la scoperta non finirà mai, perché è un paese, la Puglia, come il mattino, un mattino limpido, un mattino di cielo liquido: e il mattino, sarà sempre lo stesso ma non viene mai, a noia.
E ha sempre qualcosa di nuovo, uno spettacolo sempiterno.
La Puglia è un meraviglioso, austero paese arcaico. L'unico dove si assiste ancora allo spettacolo incontaminato, e per interminabili distese, di una flora anteriore alla calata degli indoeuropei: solo ulivi e viti, viti e ulivi, le piante che nel nome, tenacemente conservato e trasmesso, rivelano ancora di essere state trovate sul posto dagli invasori ariani... In realtà il severo passaggio della Puglia è in queste distese di mastodontici ulivi, in questi tappeti a non finire di viti basse, che si tengon ritte da sé. E non c'è minor fascino, per chi lo sa sentire, in tale elementarietà di paesaggio, che nei menhir, nei dolmen, nei trulli. Se si pensa che i trulli più antichi non rimontano oltre il Seicento. sembrerà noi, so sa più fatidico o fatale che la Puglia seguiti a esprimersi nei termini d'una civiltà neolitica, fino a ritrovare spontaneamente tecniche preistoriche come quella della copertura "a tolos" dei trulli.
Come non ricordare i cugini-germani dei trulli, i "caseddhri" sparsi sopra le serre, e lira serra e serra; e la loro umiltà accennata in quel Privarsi di tetti cimati, di pinnacoli, di doppie coperture a incastro? La nostra povera "Valle d'Itria" ènegli slarghi delle Serre Falitte, tra Morciano e Barbarano; a ridosso della Serra Magnone, verso Specchia, dove nitidi muri a secco dividono le campagne dietro la Serra di Tricase, lussureggiante per la sua folta vegetazione, col mare dirimpettaio; nelle mattinate d'aprile, qui, i colori - tutti - si confondono d'un colpo; quelli delle ville sparse tra le campagne, quello - invariabile - degli alberi di fico, e quelli delle superstiti vallonee, e quelli dei paesi e. tiro d'occhio che fumigano nel torpore del primo sole; i colori pastosi delle terre coltivate e quelli mimetici delle campagne brade e delle macchie e delle chiuse "scerze", abbandonate intonse inselvatichite, eppure vive e palpitanti anch'esse.
Ci si è chiesto a cosa servissero le "specchie": luoghi di avvistamento, s'è detto fra l'altro; colline di pietre, alture artificiali che sentinelle scalavano a turno, per scrutare il mare da cui venivano tutti i pericoli; microscopiche serre anch'esse, nelle accanite pianure costiere e dell'entroterra; alzate a formare un intelligente sistema di avvistamento e di comunicazione (si segnalava con i falò? col fumo? con i corni squillanti da specchia a specchia?). La specchia fu certo un desiderio di collina, un bisogno di dominio per lo sguardo.
Dalla parte dello Jonio c'è una serra, si chiama solo così, La Serra sta dietro la schiena di Gallipoli e dietro la schiena di Santa Maria al Bagno, dove si la roccia montagnosa, e poco prima della "Montagna spaccata" si apre quasi ad anfiteatro. in uno scenario da western; spoglia, qui; ricca di pini, verso Gallipoli, prima che s'inforri verso il territorio di Sannicola. Un'altra serra è verso Ugento, è la Serra delle Fontane, che accoglie una chiesetta del 1200 e una cripta del Crocefisso. Un desiderio d'altezza anche in questo alzar chiese lassù. Ci si deve recare, a Casarano, alla Madonna della Campana; si deve entrare nel tempietto, sentire il sapore antico che promana, avvertire l'improvviso silenzioso raccoglimento dell'ambiente: un miracolo si compie qui dentro, dopo quello -esterno - della sera percorsa da brividi di stelle issate in cima alle luci di cinque dieci o forse cento mille paesi raccolti sotto l'affaccio, quieti nell'estate, come seduti fuori della soglia di casa, a raccontarsi le semplici cronache di un qualunque giorno salentino: un miracolo che si ripete, a saperlo cogliere nei suoi momenti inaspettati, qui. più in là, o altrove, cima dopo cima. serra per serra, sopra e sotto le terre gradinate, dentro e fuori i borghi prima che se ne perda l'eco, e prima che tutti gli echi diventino memoria e nostalgia.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000