§ Viaggio lungo le coste

Da marina a marina




Romana Turchini



Alle spalle, macchie di pini d'Aleppo; poi le colline digradano, si scende al mare: lo Jonio, da Porto Cesareo a Leuca, e l'Adriatico, da Leuca a Casalabate. Si scopre così un itinerario suggestivo, vario, e ricco di memorie storiche e artistiche.
"L'architettura solare delle giornate perfette..." - che ispirò il più delicato poeta salentino, Girolamo Comi - si svela nelle mattinate di calmo ponente.
Ritornano le ultime barche, (niente più vele, ormai si va solo a motore), dalla pesca tra gli "ovadi", Porto Cesareo si stende bianca tra le dune bianche del suo lungo arenile che va a sfociare nella terra di Taranto.
Si scoprono già da qui le altre marine, quelle sorte intorno alle leggendarie torri di vedetta, dalle quali prendono il nome Torre Chianca, Torre Lapillo, Torre Sant'Isidoro. Le case si sono raccolte intorno a questi ruderi isolati quasi all'improvviso: poche case di pescatori; per lo più, son residenze (preferibilmente estive) della piccola e media borghesia, villette e cottages che si ripetono nelle strutture, nelle forme e nelle linee architettoniche, come vuole la legge dei mass media; senza lo spontaneismo che ci ha dato splendidi esempi di un'urbanistica residenziale forse irripetibile: il comfort standardizzato prevale.
Porto Cesareo sfugge, in buona parte, a tutto questo: è la prima grande marina salentina che si apre sullo Jonio, ricca di fondali bassi, agevoli. Sant'Isidoro è più a sud, quasi a picco su una ripida scogliera, il mare ha riflessi verdi e viola, vi si pesca anche sottocosta. Qui le casette dei pescatori sono incastonate nel calcare bruno, sono quasi una dentro l'altra, in un gioco di scatole cinesi: bianche, rosa, rosse, colori quasi impossibili nella loro totale crudezza: ma anche colori che si sciolgono dentro l'acqua, fondendosi e stemperandosi, assumendo altre dimensioni, indefinite, mobili.
La costa si allarga, poi; alle spalle crescono le macchie, sopra Porto Selvaggio il pino d'Aleppo copre la più vasta zona verde del Salento. Giù, lo Jonio rivela tutte le sfumature dello zaffiro orientale, (quelle "nuances profondes de saphir" di cui parlò, visitando la penisola salentina, Paul Bourget), dove acquistano pieno risalto i colori ocra e ruggine delle barche da pesca. Case e ville immerse nel verde, macchie bianche sparse fin sopra i dorsi che si elevano senza scarti, con continuità, eppure con dolcezza, e ne fanno quasi una terra dal timbro inconfondibile, con un ritmo diverso.
Porto Selvaggio preannuncia Santa Caterina, il suo porticciolo, le sue acque trasparenti: quasi non c'è arenile, porto e spiaggia coincidono, tutto in scala ridotta, come per un rifiuto del turismo di massa, allora i bagnanti devono spargersi sulla tortuosa scogliera che va da qui a Santa Maria, e oltre ancora, fra innumerevoli cale e rade, fino al Lido delle Conchiglie e alle soglie di Gallipoli: è una roccia grigia, sotto il mare si indovinano banchi di ricci, la sera le luci dei paesi sono a vista d'occhio nei gran semicerchio che culmina, poi, con gli isolotti gallipolini, che precedono, facile guado, isola e faro di Sant'Andrea. E' il mare in cui si incontrano superstiti cernie branchi di zerri e vope che arricciano l'acqua al tramonto; il mare degli ultimi tonni, dei saraghi, dei cefali. Le vie alimentari dei mari salentini, Jonio e Adriatico, sono le vie del pesce azzurro, solo Porto Cesareo si consente il lusso del pesce rosa, con le triglie, le aragoste, i lutrini, i gamberi, gli astici.
Notò uno scrittore girovago che Gallipoli sembra galleggiare sulle acque, come una fortezza ridotta a un giardino d'infanzia, su un mare tenero, basso, trasparente, (ma da allora, la sua skyline è stata interrotta da un grattacielo del tutto simile - lo notò per primo Rosario Assunto - a uno di Shanghai). La costa rocciosa si interrompe qui, alla mano della Purità e poi verso Lido Piccolo: ricompaiono le sabbie abbaglianti, ricchissime di silice, che d'agosto sembra prendano fuoco; le roventi sabbie che accolgono una vegetazione di pini bassi, che resistono alla salsedine e ai venti marini.
Riprende, il calcare, dalle parti di Torre Pizzo, dopo abitati minori, sorti da poco; e prosegue verso le marine di Alliste, di Racale e di Torre Suda, meno contaminate - queste - con i paesi alle spalle, paesi di case chiare, a un piano con i giardini dietro la cucina, secondo l'antica consuetudine greca: fiori e limoni, siepi di alloro, ogni tanto si innalza un ulivo, più spesso dominano il rosso e il bianco dei fiori degli oleandri, dal profumo pastoso, pianta bella, resistente, velenosa (non si vedrà mai un nido su un oleandro). Più a sud, Ugento e Torre San Giovanni, col suggestivo verde-acqua della marina, con la pesca abbondante; e, alle spalle, una ricca area archeologica. Leuca, la bianca, scende al mare dalle cime sassose delle sue serre, quasi mette le fondamenta nell'acqua, sembra che un'improvvisa alta marca debba sommergerla, in un gioco musicale che ricordi la "Cathedrale éngloutie" di Debussy.
Morciano si specchia a Torre Vado, mare fuso anche qui, né Jonio né Adriatico, ma un mare zebrato: la salsedine adriatica (trentatre per mille, la più alta dei Mediterraneo) prorompe in lunghe striscie, crea una scacchiera di correnti che si insinuano tra le crespature del meno prepotente Jonio. Le rabbie del Canale d'Otranto sono improvvise e micidiali, è la forza del suo sale che irrompe come un ariete nella gola euro-balcanica. Testa di ponte è Otranto, col mare che ha macinato la più bella e tragica storia salentina: un mare all'ombra delle mura poderose del Castello, ma anche all'ombra degli esili palmizi, un poco d'oriente emerge da questa terra, e rivive nei visi bronzei dei pescatori, nelle fronti color del rame dei bambini, nei capelli lunghi, corvini, delle donne.
Occorre salire a nord per trovare un Adriatico meno fazioso: tra gli zolfi curativi di Santa Cesarea Terme, nelle acque di Novaglie, a Tricase Porto che occhieggia a Tricase città e alle campagne ricche di boschi, ai gioielli costieri di Roca, di Porto Badisco, dell'incredibile Castro: preziosa area messapica, certamente; ma Badisco offre, in più, il mistero dell'alba dei tempi, e il riposo estivo può essere anche una scoperta in cui confluiscono mito, leggenda, arte preistorica, antropologia, archeologia, scienze geofisiche, storia delle religioni, speleologia. Qui approdò, toccando il primo lembo di terra italica, Enea in fuga da Troia. E sulle pendenti scogliere di Badisco, ai lati del suo piccolissimo porto, ancora oggi svettano gli ulivi: come allora sorti per miracolo, come allora cresciuti con i venti salati, con le radici nelle connessure rocciose, senza altro humus che non sia quello della terra madre e matrice di tutta la vita e di tutte le forme.
Dirimpetto a Lecce, le marine riprendono i nomi - con maggiore frequenza, almeno - delle torri: Torre dell'Orso, Torre Sant'Andrea, Torre San Foca, così come vengono alla memoria, case e case coagulate intorno a lunghe spiagge, a nord e a sud di San Cataldo primo, mare dei leccesi, a nord e a sud di Casalabate, secondo mare dei leccesi.
Nell'immediato entroterra èMelendugno, più a settentrione si entra nella provincia di Brindisi, allora cambiano tutti i colori, quelli della terra e quelli del mare, quelli del cielo e quelli dei boschi e delle paludi costiere.
L'itinerario salentino va da Porto Cesareo a Casalabate, si può percorrerlo sulla panoramica costiera che cinge la penisola, seguendo i tornanti della costa. E' tanto a portata di mano, il mare, che se è in tempesta scavalca ripe e muri e viene in mezzo alla strada, lambisce i recinti delle chiuse a viti e ulivi. Quasi si viaggia fra le risacche, e ad ogni curva il mare si ripresenta di fronte, pare si debba finir dentro, invece tiene compagnia, sfiora, va e viene, muta colore, nel suo eterno gioco, nell'inarrestabile movimento da scogliera a scogliera, da marina a marina, lungo gli orli variabili del Salento emerso.

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