§ Le campagne del Salento

Japigio e Africo per terra e per mare




Luciano Milo



L'influenza dei venti nell'economia agraria e nei traffici marittimi. La presenza dell'acqua trasformerà una mentalità contadina e muterà metodi e sistemi di conduzione? Occorre un'età media per ordinare cifre comparative.

Fu Plinio il Vecchio, poligrafo, storico, naturalista, il primo ad osservare che i venti meridionali sollevavano onde marine di maggiore altezza, che non i venti settentrionali, proprio perchè le agitazioni provengono da acque più profonde. Del resto, c'era tutta una letteratura in merito. A Virgilio, che si apprestava ad attraversare il mare per recarsi in Grecia, Orazio augurò che spirasse il vento Japigio (ovest-nord-ovest), adatto a chi veleggiava; mentre tutt'altro che propizio era ritenuto il vento Africo (ovest-sud-ovest), portatore di tempeste, che col primo si alternava improvvisamente, con tristi conseguenze, molto spesso, per le fragili navi che solcavano i mari del Mediterraneo.
Il nostro De Giorgi, il Marciano, l'Ariosto, e Lord Byron conobbero questo vento; il poeta inglese lo paragonò ai pastori albanesi, noti - in quel tempo - per essere più feroci delle stesse fiere. E. il Blandamura, descrivendo le tarantine isole Cheradi, affermò che nella regione salentina, "specialmente nell'epoca degli equinozi (settembre-ottobre e marzo-aprile) predominano, a, causa del passaggio di pressioni barometriche dal Mar Ligure al Mare Egeo, attraverso il Tirreno e poi per la bassa Italia, delle burrasche che si iniziano nello Jonio, dapprima, con violente sciroccate, che deviano, a mano a mano che la depressione scende sul Tirreno, verso libeccio e verso ponente."
"Queste burrasche - prosegue - sono assai temute dai nostri marinai, poiché sono i venti più pericolosi alla navigazione. I natanti a remi o a vela, colpiti da questi venti, sono costretti a girare lungo la costa e a trovare rifugio nelle numerose anfrattuosità che rappresentano dei porti naturali sullo Jonio, specialmente in quella insenatura presso la Torre dell'Ovo, vicinissima all'altra di Borraco, che è anche oggi il rifugio naturale di molte barche da pesca sospinte dalla tormenta".
Dunque, è nello Jonio che si possono notare le onde di maggiore altezza, al cadere degli sciroccali, proprio perché in questo mare si rilevano le massime profondità marine. E questo fenomeno dei venti ha riflessi non solo sull'erosione, ma anche sulle colture agrarie. Il moto ondoso, infatti, trasporta sabbie ferrose (il pirosseno nero, che abbruna gli orli dei nostri arenili), miste ad augite, provenienti dal Vulture, convogliate dall'Ofanto e poi trascinate dalle maree verso le coste satentine. Si ha così una "accumulazione" che, calcolata in tempi medi, determina la variazione costante delle coste, con "terreni avventizi" che emergono, o con avanzamenti del mare (che ingoiano interi complessi, come il Molo di Adriano. nel mare di fronte a Lecce, o come la "Chiesa sommersa", a torre San Giovanni). Lo studio della "terra che muore" è assai antico, si praticava già ai tempi della Magna Grecia. Terra che muore; anche per colpa degli uomini; perché se i bradisismi sono incontrollabili, nel senso che non è possibile porvi rimedio, l'influenza negativa esercitata invece dagli indiscriminati disboscamenti è solo opera degli uomini, un'opera che ha mutato un volto regionale, ne ha trasformato la geografia.
Si è trattato, spesso, di uno stato di necessità. Popolazioni autoctone o immigrate avevano bisogno di terra da coltivare, qui dove si prolunga una delle rare pianure italiane. Si disboscò, dunque, per creare un'economia agricola. Scrive Raffaele Congedo: "La Magna Grecia splendeva di civiltà nel seno tarentino. sul mare japigio, dove in un clima costantemente primaverile fiorivano agrumeti e frutteti. Il giardino d'Europa era qui, sui mari del Sud, aperti in seni tranquilli.; fiumi dalle acque limpidissime richiamavano nel golfo tarentino le genti più evolute del mondo allora conosciuto".
Plinio elencava i fiumi navigabili del Sud: il Simeri, il Crocchio, il Tacina, mentre Strabone riferisce che navigabili erano pure l'Ofanto, il Siri, il Volturno, il Liri, il Sangro. Ricco d'acque era il Salento. Il suo nome, nel significato etimologico di "sala" o "canale", e, nel periodo messapico, in quello di "mare", richiama l'acqua. Città di mare era Vereto, presso Santa Maria di Leuca, dalla radice indo-europea "var", che significa "acqua". E qui si era in pieno sviluppo, mentre nel resto della penisola ci si affacciava appena agli albori della civiltà.
Corsi e ricorsi fisiografici; decadute le nostre acque, trasformati in fiumare violente e micidiali i nostri fiumi, si radicò la difformità sociale ed economica tra il Nord e il Sud.
L'Italia delle acque regimate e sane, dei canali irrigui, divenne anche l'Italia delle industrie e dei traffici; mentre il Mezzogiorno si trasformò in una vasta campagna riarsa, impervia, malsana, rotta dalle calanche argillose, dalle acque brade, dagli stagni malarici, con i tratturi fra le montagne frananti, con l'artigianato che consentiva una stentata sopravvivenza, con i rurali spinti all'emigrazione, con le colture condizionate, come scriveva un economista classico, dal buon Dio e dai capricci del tempo, quando non erano distrutte dalle malattie parassitarie.
Non è causale che nel Salento l'economia agricola si sia fondata essenzialmente sulle culture aride; vite, olivo, tabacco, mandorlo, fico.
I brevi appezzamenti orticoli erano chiamati (fino a poco tempo la, lo ricorda chi ha trenta o quarant'anni), "giardini": le "verdure" erano brevi tappeti di verde, appunto, in terreni protetti dai pozzi scavati a mano., con poca acqua disponibile, e pure questa tirata a braccia. Perché? perché il nostro è sempre stato il contadino del calcare e del cretaceo. ben diverso dal contadino delle argille mioplioceniche e dei calanchi grigi e bianchi; il coltivatore accanito dell'olivo. "libero" (nel Barese si raddrizzano tronchi e rami con improvvisate colonne di tufi, nel Salento l'albero cresce secondo il capriccio della natura), e della vite ad alberello, a volte protetta da un muro a secco, nelle "chiuse": viti basse, torve quando perdono pampini e tralci, alte quanto basta per sentir passare sulle proprie cime i venti del Sud. Ecco che ritorna il vento, protagonista dei traffici antichi, e dell'economia agraria dei nostri giorni. Spalliere e tendoni sono invenzioni delle condotte irrigue. La vite ad alberello è il prodotto della "mottura", della "serena", della rugiada mattutina che ammantando i campi ha, per secoli, dissetato piante di poche esigenze e di notevole reddito. Così, il vento nemico dei naviganti, lo scirocco, in realtà ha tenuto in vita, grazie all'umidità che portava con sé, un'economia e un popolo.
E' venuta, ora, l'acqua. E con l'acqua è cominciata un'altra epoca. L'olivo resta qual'è, pianta eterna, con caratteri inalterabili. Cambia invece la vite, e forse è giusto che sia così. King scrisse che il castoro inventò i canali e le dighe, quando l'uomo non ne aveva neppure acquisito l'idea; e aggiunse che, dopo, lo stesso uomo non ne seppe sviluppare i princìpi, copiò soltanto tecniche e forme, e si bloccò a quel punto. Ecco, l'introduzione delle viti alte smentisce, almeno in questo campo, il concetto. Ma a far paragoni c'è tempo. Occorre vedere "per età medie" se la resa e la gradazione di tendoni e spalliere saranno maggiori e migliori di quelle della vite di Magna Grecia, la vite ad alberello; se l'esposizione ai venti èquiparerà la vita dei diversi tipi di colture; se la presenza a volontà di acque irrigue non toglierà vigore ai nostri vini. Abbiamo bisogno di mezzo secolo per tirar fuori cifre comparative.
E' stato scritto che acqua e civiltà, nel Salento, hanno proceduto di pari passo. Dunque, è probabile che le condotte del Pertusillo siano destinate a creare un benessere sconosciuto nel passato, che debbano essere alla base della trasformazione di una mentalità e di sistemi e metodi di azione economica e produttiva. In fondo, sono i conti quelli che fanno la storia: se tornano, e segno che si son fatti passi in avanti, vuol dire che si è nel giusto. Allora l'acqua sconfiggerà il vento, le reti antigrandine e i tetti di plastica proteggeranno le nuove colture. Qualcosa sta morendo, nel nostro paesaggio. E non è solo la terra delle coste. E' il volto della campagna, quale fu dai tempi dei coloni venuti dall'Egeo.


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