§ LA BIBLIOTECA DELL'OPERATORE ECONOMICO

Un libro sul Mezzogiorno




Guglielmo Tagliacarne



"Nemmeno il più superficiale degli osservatori potrebbe negare l'enorme portata dei mutamenti intervenuti nella realtà fisica e sociale del Mezzogiorno nel quarto di secolo trascorso dall'istituzione della Cassa. Le risorse e i consumi pro capite tra il 1951 e il 1974 sono più che triplicati; le forze agricole sono passate dal 57 per cento al 27 per cento del totale". Con queste affermazioni il nostro A. inizia l'analisi dello sviluppo economico nel Mezzogiorno, ch'egli spiega e documenta, passo per passo, integrando le cifre con considerazioni approfondite e delucidazioni che mostrano una perfetta conoscenza dei problemi e delle situazioni del Mezzogiorno. Che il Mezzogiorno abbia conseguito miglioramenti enormi non lo si può negare, e quindi il Cafiero ha fatto bene a riaffermarlo per rispondere alle delusioni che troppo spesso vengono manifestate dagli osservatori, dall'opinione pubblica, dalla gente del Mezzogiorno.
I motivi delle delusioni sono tuttavia comprensibili perché vi è stata troppa faciloneria nelle promesse e si è lasciato credere che la bonifica di un'area così vasta, così arretrata, così abbandonata e trascurati per lungo tempo si potesse compiere a tamburo battente. Miracoli non si possono compiere in situazioni come quelle a cui si doveva metter mano. L'errore è stato quello di creare troppe illusioni. Si sa che le delusioni sono figlie delle illusioni.
Quello che non si è verificato (ecco la ragione della delusione) è stata la "eliminazione" del divario economico-sociale fra il Nord e il Sud. Il distacco fra le due grandi aree, dopo un quarto di secolo, è rimasto tale e quale. Ciò si deve al fatto - che non può essere considerato negativo - che tutta l'Italia e anche il Nord si sono fortemente sviluppati. Pertanto il miglioramento del Sud, seppure notevole e innegabile, come si è detto, non è stato così spinto da superare il distacco di partenza; avrebbe dovuto migliorare molto di più che al Nord: è questo "super miglioramento" quello che è mancato.
E' mancato non perché il Governo abbia trascurato il Mezzogiorno, non perché la Cassa sia stata inefficiente, non per gli errori compiuti (seppure ve ne siano stati), non perché sia mancata la collaborazione di uomini illustri, veri missionari (basterebbe Pasquale Saraceno), che si siano impegnati a fondo con entusiasmo e capacità a prodigarsi, ma perché si tratta di un'opera che richiede tempi lunghi, come già lo aveva detto Luigi Einaudi, come lo hanno ribadito illustri economisti come Giuseppe di Nardi e come lo conferma anche Cafiero nel suo studio. I tempi lunghi sono indispensabili perché non basta creare strade e infrastrutture, non basta impiantare dieci o cento stabilimenti, ma occorre un complesso di economie esterne, di fattori di agglomerazione che si sviluppano gradatamente e lentamente.
Uno stabilimento creato in un'area nuova ha bisogno di altre aziende in campi diversi; deve fare ricorso continuamente a fornitori, a centri finanziari, a consulenti, a competenze, ad attrezzature, ad aziende intermediatrici, a una clientela, che non sorgono tutte assieme, ma sono il frutto di anni e anni di sviluppo. Senza una concentrazione complessa e varia di una miriade di attività, le imprese nuove non possono agire in pieno. In ciò consiste il problema della industrializzazione, che non può non inserirsi in una seria programmazione globale di industrie, di commerci, di attività sussidiarie e di infrastrutture. Da questa premessa nasce il problema dello sviluppo delle città, che agiscono come motori e acceleratori dello sviluppo industriale. Purtroppo, come giustamente rileva Cafiero, le città nel Mezzogiorno sono carenti, sono insufficienti ad innescare un processo autonomo di sviluppo. La mancanza di ampie città scoraggia l'esercizio della funzione imprenditoriale, che è essenziale per l'azione decisionale. Nel Centro-Nord la popolazione presente nei comuni con oltre 100.000 abitanti rappresenta il 33,3 per cento della popolazione complessiva, mentre nel Mezzogiorno essa costituisce solo il 23,4 per cento.
Un'osservazione molto importante che Cafiero ha messo in luce - e non ricordiamo che sia stata mai presa in giusta considerazione da nessuno, - è la proporzione di quella categoria di dirigenti e impiegati (in maggioranza, personale di concetto), nota con l'espressione di "colletti bianchi". E' questa la categoria cui spetta normalmente la .funzione direzionale e decisionale che si svolgono nell'interno delle imprese industriali. Queste attività sono concentrate nelle maggiori città del Centro-Nord. I dirigenti e impiegati dipendenti da industrie manifatturiere sono in Ita1ia 750.000 di cui 690.000, pari al 92 per cento, si trovano nel CentroNord, di cui quasi la metà hanno il loro ufficio a Milano, Torino e Roma. A Milano i dirigenti e impiegati dell'industria sono oltre 230.000, il 30 per cento dell'occupazione industriale complessiva della città; a Torino, che pure è considerata la città operaia per eccellenza, sono quasi 90.000, a Roma sono 30.000. Nel Mezzogiorno la città con il numero di dirigenti e impiegati industriali di gran lunga maggiore è Napoli con appena 18.000 unità, quanti ne ha una piccola città come Bergamo; seguono Bari con 5.000 e Taranto con 4.000. In nessuna città meridionale, nemmeno a Palermo con i suoi 650.000 abitanti, i dirigenti e impiegati industriali raggiungono le 3.000 unità, valore raggiunto invece da tutte le città centro-settentrionali con almeno 100.000 abitanti.
L'arretratezza del Sud è manifesta attraverso altri indici: uno di essi è quello delle abitazioni. Alla data dell'ultimo censimento 1971 la popolazione in abitazioni affollate (da 1 a 2 persone per stanza) e sovraffollate (atre 2 persone per stanza) costituiscono il 37 per cento del totale nei capoluoghi settentrionali di oltre 100.000 abitanti.
Nel Mezzogiorno la percentuale saliva al 60 per cento. Si deve però ricordare che il fenomeno del sovraffollamento è in via di attenuazione. Nel Mezzogiorno sono inoltre numerose le occupazioni e i mestieri spesso Precari e socialmente improduttivi, talvolta addirittura illeciti.
Analizzando i servizi urbani, l'Autore rileva che le città meridionali non sono in grado di fornire in misura e qualità sufficienti, i servizi specializzati, le competenze di alto livello, le informazioni di difficile acquisizione, continuamente richiesti da quelle attività caratterizzate da un'esigenza permanente di tempestivo adeguamento alle occasioni offerte dalla tecnologia e dal mercato e in cui l'innovazione non è un atto isolato ma un processo continuo. Ma se l'insufficienza delle competenze e dei servizi tipicamente urbani impedisce la nascita e lo sviluppo industriale, l'assenza delle industrie a sua volta impedisce che si formi la domanda di quelle stesse competenze e servizi.
E' un tipico circolo vizioso del sottosviluppo, per rompere il quale non si possono avere soluzioni né semplici, nè rapide. Infine è di notevole interesse il rilievo del Cafiero circa l'esistenza nel Mezzogiorno di due distinte aree, quella Nord e quella Sud: con un'espressione originale il nostro A. le chiama la gamba e il piede dello stivale. Non è una questione di longitudine, ma di fluidità dei rapporti di integrazione con i maggiori poli metropolitani nazionali e, attraverso questi, anche europei. La distinzione fra Nord e Sud del Mezzogiorno risiede nelle differenti prospettive di industrializzazione, che nel nord del Mezzogiorno trovano condizioni meno sfavorevoli. Il Cafiero sostiene che i costi che la collettività ha sopportato per lo sviluppo delle produzioni di base sembrano essere stati molto maggiori dei benefici che il Mezzogiorno ne ha tratto in termini di occupazione. E' vero che i grandi impianti hanno fatto la parte del leone nell'utilizzare gli incentivi; ma è difficile credere che se non fossero stati favoriti i grandi impianti, si sarebbe avuto lo sviluppo di medie e piccole imprese, che è mancato e di cui si sente la necessità.
Concludendo la sua analisi, il Cafiero raccomanda di cogliere immediatamente le occasioni effettivamente disponibili di industrializzazione e insieme avviare le azioni dirette allo sviluppo dei servizi e delle funzioni di supporto dell'industria nelle città meridionali; di abbandonare il mito dei diplomi che certificano sempre meno il conseguimento di abilità e conoscenze e creano aspettative che poi non si realizzano; di considerare l'università specialmente come fonte di ricerca e di assistenza tecnica; di evitare che l'estensione degli incentivi al Centro-Nord finisca per annullare l'efficacia di quelli in vigore nel Mezzogiorno.
L'opera del Cafiero è corredata da un'appendice statistica ben selezionata, che rappresenta una documentazione di grande importanza, sul reddito, sui consumi, sugli investimenti, sull'urbanesimo, sul grado di "dipendenza" del Sud dal potenziale economico del Centro-Nord. L'apporto del nostro Autore alla conoscenza e ai problemi del Mezzogiorno è di altissimo valore. In fondo si tratta di un libro di piccola mole, come numero di pagine (meno di cento), ma è densissimo di cognizioni, di suggerimenti, di idee, di dati, che lo rendono prezioso e indispensabile per uno studio serio del Mezzogiorno.

Giuseppe Cafiero, Sviluppo industriale e questione urbana del Mezzogiorno
(SVIMEZ. Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno) - Editore Giuffrè, Milano 1976.


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