Il Consiglio dei
ministri ha lungamente discusso i dati della situazione economica italiana
per definire le linee della Relazione previsionale e programmatica e per
approvare il bilancio per l'anno 1978. Ecco le principali indicazioni:
1) la Relazione calcola l'aumento del prodotto nazionale lordo (p.n.l.)
nel 2 per cento circa nel 1977; per il 1978 la previsione oscilla fra
il due e il tre per cento. Il tasso d'inflazione è calcolato quest'anno
intorno al 18 per cento; per il 1978 dovrebbe scendere intorno al 12 per
cento. la bilancia dei pagamenti dovrebbe rientrare in equilibrio e poi
chiudere con un attivo alla fine del 1978. l'impegno del governo: "Ripresa
senza inflazione".
2) Bilancio 1978: entrate 47.832 miliardi; spese 60.406 miliardi. Disavanzo
complessivo di 12.574 miliardi
(comprese anticipazioni dello Stato alle Ferrovie, alle Poste, ecc., per
1.790 miliardi): il disavanzo dello Stato risulta
quindi di 10.784 miliardi.
3) Il fabbisogno di cassa del settore pubblico allargato viene stimato
in 16.900 miliardi: ma è necessario, per ottenere questa cifra
contenuta, tagliare alcune spese.
4) Modifiche alla legge sull'occupazione giovanile, per estendere l'applicazione
anche alle imprese artigiane.
Deficit: 10.784
miliardi
Il bilancio dello
Stato si può riassumere nelle seguenti cifre: entrate, 47.832
miliardi di lire; spese, 60.406 miliardi di lire. Ne deriva un disavanzo
di 12.574 miliardi di lire. Le cifre che abbiamo indicato comprendono
le anticipazioni dello Stato alle Ferrovie e alle Poste, a copertura
dei previsti disavanzi di gestione, anticipazioni che, per il 1978,
ammontano a 1.720 miliardi di lire, con un aumento di 179 miliardi rispetto
al 1977.
Il disavanzo dello Stato - osserva un comunicato della Presidenza del
Consiglio - viene quindi a risultare, di fatto, pari a 10.784 miliardi
di lire. Le entrate presentano, rispetto alla previsione iniziale 1977,
un aumento di 12.126 miliardi di lire. Di questa cifra, 10.595 miliardi
riguardano maggiori entrate tributarie.
Le uscite si accrescono, sempre rispetto alla previsione iniziale 1977,
di 13.323 miliardi di lire, che per 9.435 miliardi riguardano le spese
correnti, per 2.256 miliardi il conto capitale, e per 1.632 miliardi
il rimborso di prestiti.
Si tratta - e anche questo aspetto è sottolineato dalla Presidenza
del Consiglio - di cifre riferite alla competenza dell'esercizio 1978:
una valutazione di larga massima delle operazioni di cassa del Bilancio
e della Tesoreria - pur con le necessarie riserve dovute al periodo
in cui tale valutazione si colloca - fa attualmente stimare in 16.900
miliardi di lire il fabbisogno di cassa del settore statale, inteso
come aggregato complessivo del bilancio dello Stato, delle Aziende Autonome,
della Cassa Depositi e Prestiti e della Tesoreria, ivi compresi, gli
effetti di cassa delle spese da coprire con il ricorso al mercato finanziario.
E' un saldo che riflette - sempre secondo la Presidenza del Consiglio
- l'opera di severo contenimento, effettuata per la riduzione della
spesa, e per l'avvio di un concreto processo li razionalizzazione e
di qualificazione della spesa dell'intero settore pubblico allargato.
Il governo ha anche approvato, contemporaneamente, un disegno eh legge
concernente disposizioni per la formazione del bilancio di previsione
dello Stato. Il provvedimento contempla un primo gruppo di norme dirette
a pendere più aderente alle possibilità effettive di spesa
e alle disponibilità del sistema la gestione finanziaria dello
Stato e delle Aziende Autonome.
E' stata inoltre disciplinata in modo permanente l'emissione di certificati
di credito del Tesoro, come strumento per migliorare la struttura del
debito pubblico.
Ci sono alcune considerazioni da fare, anche sulla scorta degli echi
che si sono avuti subito dopo che le cifre essenziali del bilancio dello
Stato, vale a dire dei conti di tutti gli italiani, sono state rese
note. La prima, quella che non può trovarci tutti concordi, è
la seguente: i lussi che il nostro Paese non può più permettersi
sono molti, in molti settori; quindi, c'è parecchio da rivedere
e da riproporzionare alla effettiva disponibilità delle nostre
risorse. Fino a quando quest'opera di revisione non conseguirà
risultati incisivi, non sarà possibile coltivare l'illusione
di poter conciliare la lotta all'inflazione con uno sviluppo del reddito
sufficiente a finanziare l'ampliamento delle attività produttive,
e, con esso, la creazione di nuovi posti di lavoro, le dunque di occasioni
di lavoro per il mondo dei giovani. La seconda constatazione è
questa: è necessario, direi vitale, riorganizzare i servizi sociali,
che costano all'intera comunità più di quanto, allo stato
attuale delle cose, siano in grado di dare; prestazioni e servizi, ancorché
resi da amministrazioni pubbliche, incidono in modo determinante sulle
voci di spesa, e se non si rivede razionalizzandolo, costi quel che
costi, l'importante è avere la volontà politica di incominciare
da qualche parte, e possibilmente non da quella sbagliata - l'intero
mosaico lei settori che ne sono coinvolti, si rischia di trovarsi di
fronte a un pozzo senza fondo, a due passi dalla bancarotta.
Se queste azioni fossero state avviate più tempestivamente, oggi
non ci troveremmo di fronte ad una relazione previsionale che sconta
per il 1978 - come ipotesi ottimale, si badi bene - un aumento del reddito
nazionale attorno al 2,5 per cento, una percentuale che, evidentemente,
non offre spazio - come ha ricordato anche la Confindustria, con Guido
Carli - ad alcuna soluzione del problema della disoccupazione: un problema
fin troppo grave, la cui persistenza sta a dimostrare quanto sia stata
impropria la definizione di "conquista sociale" data a tante,
forse a troppe leggi, e a tantissime norme che hanno così profondamente
deteriorato l'economia e la finanza del Paese, da imporgli il più
assurdo degli sprechi: quello della manodopera e dell'ingegno umano.
Al di là dei dati e delle cifre, dunque, è il valore politico
dell'insieme dei provvedimenti adottati che deve essere sottolineato.
Se il Parlamento terrà conto di tutto questo, e asseconderà
questo sforzo, gli italiani saranno in presenza dei primi interventi
specificamente indirizzati alla rimozione di alcuni degli squilibri
patologici che soffocano e comprimono il nostro tutt'altro che rilevante
potenziale economico. In caso contrario, quella italiana sarà
un'economia in permanente stato di crisi, e il nostro Paese sarà,
in bilico tra l'ultimo posto nella graduatoria dei Paesi industrializzati
e il primo posto in quella dei Paesi in via di sviluppo. Ipotesi, questa,
tutt'altro che peregrina, visti gli scompensi cardiaci che contraddistinguono
la nostra vita economica e politica, e constatata la nostra cronica
incapacità di anteporre problemi ed esigenze dell'"economia
reale" alle improprie, spesso convulse, molto più spesso
improduttive spese per presunte politiche sociali.
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