Mondo bizantino,
mondo arabo e mondo cristiano fusi nello splendido Albero della Vita.
Le ipotesi sulle diverse influenze, e il valore dell'iconografia salentina
tra il secolo X e XIV.
Per chi, come me,
non è di nascita o di origine italiane, e le stesse origini europee
ha perduto dopo secoli di adattamento in terre ben lontane dal vecchio
continente, è più agevole cogliere taluni aspetti del
sincretismo mediterraneo. Più agevole rispetto a coloro che,
vivendo vita, storia e cronaca dell'area interessata, non hanno a portata
di mano l'immediatezza del giudizio critico e il distacco necessari
per filtrare (senza lasciarsi condizionare dal proprio passato e d'al
proprio presente) elementi di sintesi che, alla resa dei conti, sono
indispensabili per avere una visione articolata, sì, ma anche
unitaria della storia mediterranea, o euro-asiana, il cui philum è
innegabilmente continuo. Ed è straordinaria la conferma che ho
avuto - a proposito del sincretismo e dell'unitarietà culturale,
pur articolata, di cui ho detto - nel momento in cui ho "scoperto",
è proprio il caso di dirlo, il mosaico della Cattedrale di Otranto.
Le fonti storiche affermano che questo splendido esempio di arte musiva
è stato eseguito dal presbitero basiliano del cenobio di Casole,
Pantaleone. Già il qualificativo "basiliano" - pur
nella sua storica improprietà - sta a indicare l'apporto di una
cultura extra-territoriale, asiana e greca. Oltre ciò, Pantaleone
seppe compendiare mirabilmente Oriente e Occidente, cultura giudaico-cristiana
e paganesimo, traducendo la sintesi di filosofie, poesie, religioni,
princìpi e concetti di vita, in quell'albero musivo nel quale,
allegoricamente, sono illustrate le verità della Chiesa romana
e cristiana. I motivi che ispirarono quest'opera incomparabile, infatti,
sono di radice romanica, bizantina e araba. Nella città religiosa
per eccellenza del Salento, dunque, contigua al più celebre corpus
basiliano dell'epoca, San Nicola di Casole, centro di irradiazione di
un pensiero che solo il colpevole abbandono degli uomini e la tendenziosità
della storia hanno consentito che si disperdesse, ad Otranto, dicevo,
si creò una specie di baricentro filosofico-culturale-religioso
unico. Veramente unico: perché in Sicilia venne meno uno dei
pilastri, quello basiliano, e forse solo in Calabria è possibile
scoprire esempi analoghi (ma infinitamente minori) tentati nell'architettura.
Tuttavia, le distruzioni causate dai terremoti nella seconda penisola
mediterranea, la Calabria, appunto, non ci consentono elementi di giudizio
sicuri. Il Salento fu dunque un punto d'incontro ideale: passato e presente
vi seppero creare prestigiosi momenti di fusione.
Le tessere dell'albero della vita sono policrome pietre di calcare.
La navata mediana ne è interamente coperta, dalla soglia al presbiterio:
si allunga un albero gigantesco, sostenuto da due elefanti indiani.
Con i tronchi e i rami che si allargano di qua e di là lungo
il tronco sono realizzati gli episodi più vari: la cacciata di
Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, la vicenda di Caino e Abele, le
"istorie" di Re Artù, l'epopea di Parsifal. Ha scritto
uno studioso locale: "Questa geniale concezione affonda le sue
radici nei tre alberi allegorici delle navate, che racchiudono tutta
la storia della vita umana: sono perciò chiamati gli "alberi
della vita". E' inoltre di particolare interesse la figura quadricorporea,
nella navata centrale, a sinistra, raffigurante la Chiesa; la glorificazione
di Alessandro Magno, nello stesso piano, a destra; la Torre di Babele,
l'Arca di Noé; la configurazione dello Zodiaco, nei dodici sferici,
ripartiti in triplice piano, di quattro costellazioni ciascuno( ...
). Nella zona del presbiterio sono poi raffigurati sedici sferici con
Adamo ed Eva, i "bestiarii", eccetera; dietro l'altare maggiore,
la caduta di Ninive; nella navata del Sacramento, a sinistra, il Giudizio
Universale; infine, nella navata a destra, all'ingresso della Cappella
Aragonese, è raffigurato il mitico Atlante".
Esattamente dodici anni fa, G. Gianfreda, in uno studio pubblicato dopo
una serie di accurate ricerche ("Il mosaico pavimentale della B.
Cattedrale di Otranto"), avanzò un'ipotesi suggestiva: poiché
nella "Divina Commedia" Dante per la prima volta in poesia
descrive figure mitiche che, da parte loro, per la prima volta erano
state realizzate musivamente nella cattedrale otrantina, non è
da ipotizzare che il sommo poeta italiano sia passato, o si sia fermato
per qualche tempo nel Salento, ad Otranto? Ipotesi suggestiva, ripeto,
ma degna di essere verificata alla luce di documenti probanti. Fino
a questo momento, altre ipotesi hanno avuto il sopravvento. Possibili
scambi di esperienze e culture tra maestri musivi ravennati e salentini;
diramazioni ben più ampie di quanto noi stessi possiamo esser
portati a credere (anche per la scarsità di documenti in merito)
della scuola pittorica italo-greca. Questa scuola, che si diffuse dal
cenobio casolano, annoverò, fra gli altri, maestri della levatura
di Teofilatto, di Eustazio, coautori degli affreschi nella cripta delle
Santissime Marina e Cristina, a Carpignano Salentino; o come Angelo
e Donato Bizamano e Giovan Maria Scupola: artisti che, pur agendo dentro
i canoni della tradizione pittorica di Bisanzio, con un'iconografia
che spesso raggiunse vertici altissimi dell'arte tuttavia si aprirono
a nuove ricerche e istanze che diedero un più ampio respiro,
una più spiccata originalità autoctona alle espressioni
artistiche satentine tra i secoli decimo e tredicesimo.
Anche questo può essere un discorso da verificare alla luce di
studi più approfonditi. Va tuttavia messo in rilievo che contatti
e scambi di tecniche ed esperienze quasi senza dubbio ci dovettero essere
tra maestri salentini e maestri centro-settentrionali prima di Giotto,
in particolare con oli artisti toscani. Cosa del lutto verosimile, se
si pensi - ad esempio - ad esempi analoghi di sincretismo (chiesa di
San Martino, nel territorio di SquilIace: a tre navate, con motivi siriaci,
e mediorientali, e con evidenti influenze dell'arte di Ravenna). Del
resto, il Salento era punto mediano tra Bisanzio e Ravenna, terra di
transito e d'approdo per chi viaggiava da Oriente ad Occidente.
Due continenti e tre culture, dunque, sembrano trovare una perfetta
saldatura con le tessere calcaree della Cattedrale di Otranto. E San
Nicola di Casole ne e ricettacolo e centro rielaboratore e irradiatore
fino al XIV secolo. Nell'età successiva, volendo la Chiesa di
Roma consolidare la propria supremazia, per questo assediando e a mano
a mano cancellando tutte le altre manifestazioni religiose (e culturali,
artistiche, letterarie), ebbe inizio la fase di decadenza, manieristica,
dapprima, poi priva, d'ogni significato, sia pure di storia o cronaca
locale. Quanto gli Svevi avevano, consentito, i Normanni patteggiarono
abilmente, e gli Aragonesi finirono di distruggere.
Entrarono in crisi, nel Salento e nella Calabria, cultura di Bisanzio
e cultura grecanica, quest'ultima fu forse più tenace, ebbe cioè
un declino più lento, ma altrettanto inesorabile. Oggi se ne
ricercano con amore, anche le minime testimonianze.
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