Poco meno di un
milione di italiani - esattamente 915.200, secondo le ultime statistiche
ufficiali - lavorano e vivono tuttora negli altri Paesi europei. Continuano
a rappresentare, da circa trent'anni, la più massiccia colonia
di immigrati nel resto del continente, anche se si sono più che
dimezzati rispetto alle punte massime di emigrazione della fine degli
anni '40 e dell'inizio del decennio 1950-'60. Una gran parte degli emigrati
di allora, infatti, sono tornati in patria; altri hanno abbandonato
la cittadinanza italiana, diventando cittadini belgi o francesi o tedeschi
anche per la carta di identità. Dopo quella degli Italiani, la
colonia di lavoratori stranieri più importante in Europa è
rappresentata dai turchi, seguiti dagli jugoslavi, dagli spagnoli e
dai portoghesi. Insomma, è soprattutto l'area del Mediterraneo
a fornire la grande maggioranza della manodopera straniera in Europa.
Il Paese che dà lavoro al maggior numero di stranieri continua
ad essere la Germania Federale, che occupa quasi due milioni di stranieri.
Seguono la Francia (un milione e mezzo), la Gran Bretagna, la Svizzera
e il Belgio. In Svizzera un lavoratore su cinque è straniero,
e più della metà degli stranieri sono italiani, al novanta
per cento meridionali. I lavoratori italiani rappresentano la colonia
più importante in Belgio, in Svizzera e in Inghilterra, mentre
in Germania hanno perso la supremazia, e sono terzi dopo i turchi (mezzo
milione di unità) e gli jugoslavi (400 mila unità). In
totale, sono quasi sei milioni i posti di lavoro in Europa occupati
da lavoratori immigrati:
tanti, quanti sono esattamente, sempre secondo le statistiche, i disoccupati.
Una analogia pericolosa, questa, perché può mettere in
pericolo più facilmente l'occupazione degli stranieri. Del resto,
quello della progressiva limitazione dei posti di lavoro occupati dagli
stranieri è un fenomeno ormai in atto da parecchi anni. In tre
anni, la colonia straniera nella Germania Federale è scesa da
2.400.000 a 1.950.000 unità: ne hanno fatto le spese soprattutto
italiani, greci, turchi, jugoslavi. Stesso fenomeno, anche se più
contenuto, in Svizzera: in tre anni 70.000 stranieri hanno dovuto lasciare
la Confederazione elvetica. Il nostro primato nelle emigrazioni è
dovuto soprattutto a ragioni economiche e alla persistente crisi del
Mezzogiorno. Ed è un primato che continua a suscitare preoccupazioni.
Insieme con gli spagnoli, gli italiani sono virtualmente presenti in
tutti i Paesi europei che importano manodopera. Il caso diametralmente
opposto è rappresentato dai finlandesi, che in pratica per trovar
lavoro si rivolgono solo al mercato svedese.
Mentre gli italiani (in particolare i meridionali con titolo di studio,
che, sono i più intraprendenti e apprezzati) hanno occupazioni
di medio e medio-alto livello, gli immigrati che si trovano più
a disagio sono quelli provenienti dall'Africa del Nord (650 mila unità,
tunisini, marocchini e algerini in maggioranza assoluta) e quelli turchi:
clima e non-preparazione professionale rendono più difficile
la loro sistemazione.
Prezioso per la nostra economia l'apporto valutario: i nostri lavoratori,
infatti, inseriti come sono in economie in espansione, sono pagati con
divise " forti ". Le rimesse dall'estero e i cambi diretti
effettuati durante i rientri in Italia (nel periodo estivo, nelle festività
di fine anno), hanno sempre avuto un ruolo di prim'ordine nell'accumulo
di valuta pregiata, con la quale abbiamo poi pagato i conti con l'estero.


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