Capitale di rischio e finanziamento delle imprese




Francesco Parrillo



Qualsiasi azione di risanamento deve partire da un recupero di redditività come capacità di autofinanziamento: solo così i compiti che il sistema produttivo ha innanzi a sé potranno essere affrontati con successo.

L'impresa, inceppate le leve della redditività e dell'efficienza, vive un momento di grave crisi. Compressa da debiti, spesso incapace di assorbire le tensioni esterne, svincolata in gran parte dalla selezione naturale del mercato, rischia di trasformarsi in una " terminazione periferica di una immensa struttura burocratizzata ". La contestazione all'impresa, basata sul misconoscimento delle leggi della produzione, la penalizzazione del risparmio, il garantismo delle posizioni acquisite, lo sganciamento del compenso dal contributo fornito, hanno introdotto nel sistema elementi distorsivi, la cui forza disgregatrice è evidenziata dal livello anormale dell'indebitamento delle aziende. La scarsa redditività genera, infatti, un circolo vizioso ininterrotto: ricorso a fonti esterne, crescenti oneri finanziari, riduzione dell'utile da distribuire, fuga del capitale di rischio. Una prima conferma della validità della diagnosi si ha dai dati dell'indagine campionaria che, annualmente, la Banca d'Italia esegue su 422 imprese manifatturiere. Dal 1968, si è assistito a una discesa costante degli utili, i profitti netti hanno mostrato una variabilità maggiore, alternando rapidi slittamenti ed altrettanto rapide salite; ma proprio l'elevata dispersione dei valori ha generato incertezza e ha impedito un'attendibile pianificazione aziendale. Significative informazioni sull'indebitamento strutturale delle unità produttive si hanno dall'esame del rapporto autofinanziamento lordo-investimenti lordi. L'indice percentuale, nell'arco di tempo 1968-74, si è contratto dal 77,4% al 45,5%. Se al numeratore si escludono gli ammortamenti e ci si riferisce all'accumulazione netta, tale rapporto mostra uno scivolamento dal 29,4% al 21,3 %. Il senso dei due indicatori è meglio colto nelle sue grandi linee considerando che in Francia, Belgio, Lussemburgo, le percentuali, seppur calanti, si mantengono elevate. Il divario è più accentuato rispetto a Germania Federale e Paesi Bassi, dove l'autofinanziamento lordo e netto copre per oltre il 90% e 85% le necessità finanziarie della formazione del nuovo capitale. In Italia, invece, gli investimenti non trovano idonea copertura nel risparmio di impresa e poggiano, in gran parte, sul mercato.
L'alternativa all'indebitamento è data dal mercato di borsa, non già come luogo speculativo " dove l'alta finanza applica le sue sottili strategie di offesa e di difesa ", bensì quale istituto in grado di risolvere, a basso costo, il problema della dissociazione tra formazione del risparmio e investimento. Nel nostro Paese si è assistito ad una crescente marginalizzazione della borsa. L'inadeguatezza strutturale del mercato si è manifestata, in modo accentuato, all'inizio degli anni '60, in connessione con la forte flessione del tasso di autofinanziamento. E' da quel periodo che la crisi si è riflessa sui corsi, generando una espropriazione continua del risparmiatore. Si propone, da tempo, di introdurre modifiche giuridiche ed operative, sì da consentire alla borsa di riacquistare il ruolo di barometro dell'economia. Penalizzazione fiscale, inadeguatezza di leggi e regolamenti, ristrettezza del mercato, sviluppo di tecniche agevolative, sono tra le cause della diminuzione in atto dell'apporto di mezzi propri al finanziamento del capitale.
La rivalutazione dello strumento azionario risponde a pressanti esigenze di sviluppo economico. La teoria insegna che il finanziamento esterno deve essere tanto maggiore, quanto più ampia è la differenza tra il rendimento netto degli investimenti e il tasso prefissato di accrescimento della produzione. Posto che i salari tendono ad assumere una dinamica pari a quella degli incrementi di produttività, il risparmio regredisce rispetto alle necessità complessive. In assenza di un efficiente canale azionario, lo squilibrio tra fonti interne e indebitamento diventa crescente, condizionando l'espansione economica del Paese. Per tali ragioni, si è auspicato il varo di provvedimenti intesi a migliorare le strutture finanziarie delle imprese. E' tuttavia evidente che, al di là delle possibili riforme, resta il problema della redditività aziendale, giacché non c'è borsa senza profitto e non c'è profitto senza economicità di gestione.

Qualsiasi azione di risanamento deve partire da un recupero di redditività come capacità di autofinanziamento: solo così i compiti che il sistema produttivo ha innanzi a sé potranno essere affrontati con successo. Diversamente, la soluzione dei problemi che affliggono le aziende non potrà che aversi tagliando gli investimenti e l'occupazione, o tentando l'espansione a tutti i costi, con margini vicini allo zero. Queste due strade conducono a capitolazioni finanziarie e a salvataggi, oppure alla radicalizzazione dei contrasti sociali. Da ciò, il giudizio sulle varie alchimie che si vanno proponendo, basate sull'intervento riparatore del sistema creditizio. Affrontare la realtà con operazioni di facciata non serve a mutare una situazione in cui squilibri, inefficienze e deficit sopravviverebbero. I meccanismi finanziari sono produttivi se integrano decisioni volte a restituire al sistema le condizioni necessarie per progredire. L'impresa non è un'isola. Si nutre dell'humus politico, sociale ed economico in cui opera. In questo contesto, l'attesa di un provvidenziale intervento è elusiva della sostanza del problema che è reale. La medicina non può essere, di conseguenza, unica. Si richiedono terapie diversificate: tutela e valorizzazione del risparmio per favorire il processo di accumulazione, ristrutturazione e riqualificazione della spesa pubblica, politica fiscale produttivistica. Queste sono alcune linee direttrici per un'azione politica che abbia l'obiettivo prioritario di accrescere la ricchezza del Paese.


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