Ferro battuto,
rame sbalzato, cestineria, ceramiche, terrecotte, cartapesta, ricami e
tessuti: dalle mani di umili, sapienti artigiani nasce nel Salento, sulla
memoria e sulle tradizioni codificate dagli usi popolari, un paesaggio
artistico minore, oggi rivalutato dalla ricerca della cultura spontanea.
Si dice che in Brianza
sopravvivano solo tre dei numerosi telai con i quali è possibile
tessere la seta con la cimasa: con questi telai superstiti si realizzano
ombrelli famosi nel mondo. Spariti, sarà morta un'" arte
", e la catena di montaggio - che tutto appiattisce e uniforma
- farà dimenticare ben presto gli epigoni di una tradizione locale
famosa - una volta - nel mondo. Che dire, dunque, dei telai salentini,
con i quali si son creati tessuti pregevolissimi, e lenzuola d'un candore
abbagliante, e coperte e tovaglie e asciugamani e capi di biancheria
(dalle fasce per neonati alle " trapunte ") che affollano
di ricordi la nostra vita? Dove sono tre telai salentini? Fu, quella
della tessitura, arte regina delle nostre case e dei nostri vichi; del
lino, della canapa e del cotone (preziosi elementi al confronto con
l'umile " bambagia ") percepiamo a volte l'odore, in un illusorio
ritorno alla fanciullezza. E " dote da telaio " significò
sempre dote ricca, per pochi capi che avesse.
Artigianato d'arte. Lo fu la cestineria, colme lo furono le terrecotte
e la ceramica, che ancora oggi sopravvivono, anzi riemergono come da
un loro Medioevo: si ricercano forme, decorazioni, in uso nel passato,
poi relegate nell'abbandono perché " volgari ", cioè
contadine.
Si riscoprono: e so di un pittore che non è ritenuto grande,
ma massimo, in Italia e nel mondo, che va ogni tanto a Cutrofiano a
rapinar piatti e motivi di decorazione, che poi finiscono all'asta da
Christie's.
Artigianato d'arte il ricamo: chi non ha un ricordo legato al domestico
" tombolo ", al paziente intreccio di fili e di spilli, dal
quale nascevano, come dal mare i disegni di schiuma, trine e merletti
di delicatissima fattura? Più tenace degli altri, forse, il ricamo
ha resistito, in Salento, e si è fatto, in non pochi casi, purtroppo,
occasione di " lavoro nero ": incettato a quattro soldi, rivenduto
a cifre da vertigine, per la durissima legge della fame, cui fa da contrappunto
la fredda legge del racket. Da poco sono sorti centri di ricamo gestiti
secondo le norme della imprenditorialità. Non li ho visitati,
non so se le macchine abbiano sostituito le mani, se l'elaborazione
meccanica abbia soppiantato la fantasia che fu di mia nonna e di migliaia
di donne salentine. Ma ho motivo di dubitare che possa essere così.
Raramente fu " arte " la cartapesta: nobile artigianato, questo
sì. Ma quasi sempre arte fu il ferro battuto. Non solo quello
del Calò, maestro di fucina; ma anche quello, degli umili battitori
" di forgia", prima che la fiamma ossidrica avesse il sopravvento.
Il Salento fiorì di ferro battuto: nelle finestre e nei balconi,
nelle terrazze, nei cancelli, negli " archi " di sostegno
delle " trozzelle " per i pozzi dì cortile e di campagna,
nelle norie ai confini con la Terra di Bari, nelle decorazioni sui portoni
delle case patrizie e borghesi: il ferro ha dominato la nostra civiltà.
Solo, unito al rame sbalzato, (altra forma d'arte che va riprendendo
vigore), impastato con il legno o con la pietra. Fu lampadario e aratro,
statua e fontana d'acqua accanto al bronzo monumentale, colmò
la nostra vita di povero popolo periferico che dalla terra traeva intelligenza
e cultura, arte e pane: si dice che tre parole possiedano nel pieno
i popoli poveri: uomo grano e ferro. In queste tre parole può
sintetizzarsi la nostra tradizione.
Arte spontanea, come spontanea fu l'architettura all'interno della quale,
nel corso dei millenni, si è espressa: frutto di esigenze essenziali,
sicché semplice fu il giuoco creativo, e scarno quasi quanto
i dipinti e i graffiti tutti nostri dei cunicoli di Porto Badisco, arricchiti
poi dalla sapiente cultura "greca". Che fu, e resta, ancora
oggi, pur se sconfitta nella lingua e negli usi, radice e proiezione
del nostro pensiero.
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