Obiettivo sul Salento




Renata Cuneo



Sto coltivando l'hobby della fotografia. Lo coltivo da poco e si vede dai risultati. L'amico che, per far nascere in me, strutturalmente pigra, questo nuovo interesse, si priva talvolta della prestigiosa macchina fotografica e mi dà qualche suggerimento, ha ritirato oggi dallo sviluppo le ultime fotografie. Mi ha incoraggiata a continuare: " Sai fare bene gli interni, ma anche i totali e gli angoli caratteristici delle città e dei paesi ". Guardando le mie ultime creazioni, rivivo quasi per intero quel fine settimana passato con la Nikon al collo. Ero arrivata nel piccolo paese dell'Oltrepò alle tre del pomeriggio e da Milano ero partita a mezzogiorno. Il freddo era pungente anche per la bionda signora in visone biondo alla fermata dell'autocorriera. Appena fuori dal centro, la nebbia mi aveva tolto qualsiasi velleità di mettere alla prova, sia pure con una sola foto fatta dal finestrino, alla campagna lombarda, le mie capacità nel regolare i diaframmi e i tempi di otturazione, A Pavia, il cambio di mezzo di trasporto. La traballante e cadente corriera che porta su, al paese in collina, attraverso l'ultimo residuo di pianura Padana.
" La gioia dell'anima " di cui parlano i libri e le guide, procurata al turista dalla dolcezza e dalla malinconia della pianura, dall'altalena lieve dei colli nella campagna pavese, dalle tipiche " corti ", fattorie che rompono le trame dei canali, dei gelsi, dei pioppi, edifici rettangolari che si snodano attorno a un grande cortile con i porticati, villaggi agricoli un tempo sede di comunità autosufficienti, dall'abbondanza delle acque e dalla presenza di due fiumi come il Po e il Ticino, non tocca purtroppo in sorte al pendolare, neanche a quello del fine settimana, come me. Questo viaggio, reso più lungo dalle fermate in una miriade di paesini tutti uguali, ai passeggeri, procura, in genere, sonnolenza. A me anche un'idea fissa: il ricordo del viaggio più lungo fatto in treno; quello di sei anni fa: Milano-Lecce. Come sempre accade, delle cose passate ricordiamo solo i lati piacevoli, avendo non so se il tempo o la memoria quella straordinaria virtù di annebbiare i particolari, specie quelli tristi. Era stato deciso all'improvviso, il giorno stesso di un esame andato bene. Alla stazione centrale il treno pieno di valige, di persone e di bambini, due ore prima della partenza. Le ultime valige e gli ultimi bambini passavano ormai dai finestrini per guadagnare tempo e spazio. La notte passò così, " all'impiedi " o appoggiati, un po' per uno, agli spigoli delle valige di cartone provenienti da Zurigo. Ricordo le risate di stanchezza e la gioia improvvisa e ormai insperata di trovare a Foggia un posto a sedere, quando la voglia di dormire aveva lasciato il posto a quella di scoprire, alle prime luci dell'alba, un paesaggio nuovo ai miei occhi. Il Tavoliere quasi privo di case e di vegetazione; un casolare ogni tanto: queste le prime sensazioni. Sembrava una terra abbandonata e poi, all'improvviso, il treno si trovava immerso nelle case bianche e rosate. Era la periferia di una grande città o un piccolo paese? La voce della compagna di viaggio mi spiegava che lì non esistevano i paesini, :come qui da noi. Mi parlava dei pendolari della campagna, delle abitudini dei contadini che partono la notte da quei paesoni con le case bianche, si portano il fagotto della colazione, con il fiasco di vino, e ritornano soltanto quando i raggi del sole diventano insopportabili all'aperto. Questo avviene d'estate...
Ma come ho fatto a passare dall'hobby della fotografia, all'improvviso viaggio nel Salento? A quel tempo non avevo passioni di questo genere. I colori di casa mia, in collina, e quelli di Milano dove studiavo, e il variare delle stagioni, non risvegliavano in me la voglia di camminare per chilometri alla ricerca di un angolo da fotografare. Non mi era mai venuta l'idea di fissare sulla pellicola i momenti dì azzurro, prima che la nebbia, che già rendeva la pianura padana simile ad un mare bianco, arrivasse fin lì in collina. I castelli medioevali rimanevano là, nei punti più alti del paese, a dominarlo, nascosti dagli alberi tutt'intorno; e poi se li visitavo, non era certo per scattare trentasei foto nel giro di mezz'ora. Anche le case colorate qua e là sulla collina, in mezzo ai vigneti e agli orti, e i piccoli villaggi e i cascinali sparsi con i fienili e i cortili, le galline, le anatre e i tacchini, erano sì suggestive, cambiavano colore quando il cielo era azzurro e il sole uscendo da oriente indorava la catena delle Alpi, giù in fondo alla pianura, ma non costituivano ancora l'oggetto di possibili, sofferte, criticate inquadrature. Anche la neve che riusciva a cambiare i colori della pianura, delle strade, delle colline, cambiava le abitudini e l'ora del risveglio ai contadini nelle vecchie case coloniche o nelle più agiate fattorie. Procurava dei guai agli operai e agli studenti pendolari, sulle strade e sui ponti. Anche la neve, dicevo, non risvegliava in me la voglia di fotografare. Eppure ogni volta che guardo le nuove fotografie mi ricordo che la decisione improvvisa e imprevista del viaggio in Puglia non mi aveva impedito di portare con me la modestissima macchina fotografica ottenuta con i punti regalo di non so quale cioccolato o dado da cucina. Non ricordo niente di dubbi e di incertezze per le inquadrature, né di paure della nebbia, in quella regione meravigliosa; ma quelle foto senza pretese, sono ancora qui a testimoniare di sensazioni che a distanza di anni sono ancora vive, anche se i ricordi sono vaghi, e di un ambiente così diverso, da quello dove vivo e lavoro, quando posso. Le mie prime foto mi danno ancora i colori dominanti della " regione più viva e più pulita del Mezzogiorno ", del paese delle " formiche ": il verde in tutte le sue sfumature e gradazioni, il bianco e l'azzurro. Il verde cupo e argenteo degli ulivi, quello bandiera dei mandorli, quello delle viti che cambia in giallo e in rosso, il verde tenero del grano e quello più robusto delle foglie di tabacco, quello dei carciofeti, degli agrumeti, dei " giardini " e quello delle persiane e delle tende delle case bianche, le une vicino alle altre, a formare le strade dei paesoni popolati di bambini colorati. Il bianco è nelle case " lattate " con cura, nelle terrazze, nei muri di cinta che collegano una casa all'altra e nascondono i giardini interni, dopo l'ultima stanza, e nei muretti fatti di pietre che dividono fazzoletti di terra amorevolmente coltivati. L'azzurro del cielo è lì a confondersi con quello del mare e a fare stacco sul bianco delle case. Il bianco che di giorno è abbagliante, di notte diventa sempre, nel mio ricordo, dell'azzurro vellutato di una notte orientale. Le altre foto: vicino ai fichi d'india, in terrazza a Neviano, sulle scalette di Maglie, con i bambini di Galatina, vicino alla preziosa chiesa di Santa Croce a Lecce, vicino alle " pagliare " dei pastori e seduta sulle pietre di un casolare dei contadini, fatto di pietre grigie sovrapposte e di cui non ricordo il nome, nella campagna spazzata dal gran vento che soffia dal mare, mi danno ancora oggi un po' di nostalgia e una gran voglia di ritornare. Non è soltanto desiderio di fare belle fotografie.

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