Ritorno a Castro




Romana Turchini



Rivederla d'inverno: nella sua scarna essenzialità, nella sua semplice bellezza, senza il sapore estenuante della stagione estiva. E il mare di fronte, poco più in là delle flottiglie dei pescatori, sotto lo sperone roccioso dal quale si affacciano le case multicolori.

Il tratto di costa va da Santa Cesarea a Santa Maria di Leuca: una perfetta falcatura, al centro della quale, altissimo e raccolto, sta Castrum. Castrum è tutto ciò che resta dell'antico borgo. Castro è il borgo più la parte nuova, recente, che ha quasi stretto d'assedio, con le sue costruzioni " mediterranee " (eclettiche, qualche volta senza senso, mai spontanee) l'antica struttura urbanistica. Castrum, dicevo: circondata da una campagna tutta pietre, da muri di pietre alzati da contadini di pazienza millenaria, da trulli a capo mozzato, le " pagliare " di pietra nuda; da masserie che biancheggiano in lontananza, dietro lo sperone segnato dalla falcatura; da una vegetazione bassa, interrotta da boschi di olivi, da alberi di fico sempre più rari, da sparsi ciuffi di fichidindia: interrotti, qua e là, da lecci neri, gli unici esistenti nella penisola salentina, anzi nell'intera Puglia, e forse anche in tutto il Sud.
Vedere Castro d'inverno: essenziale nei colori (case bianche in gran numero; poi gialle, azzurre, verdi: con accostamenti di colori che altrove probabilmente sarebbero impossibili); lontana dal sapore oleoso dell'estate, quando corre il rischio di trasformarsi in un qualunque, affollato centro balneare, come ce ne sono a migliaia in Italia e fuori d'Italia; semplice e quasi dimessa, cioè vera: affacciata sul suo nero ciglio, a picco su un mare che poco più lontano, a punta Ristola, dove Jonio e Adriatico sembrano unirsi e fondersi, mentre in realtà quasi si confrontano in una lunga cicatrice che è d'un azzurro particolare, qui più chiaro, là più marezzato, più in là cupo; e, proprio sotto lo sperone, anche queste multicolori, come le case che pencolano sul parapetto, le sottili flottiglie dei pescatori, raccolte dentro la cala d'acque limpide. La bellezza, ha scritto un " Pellegrino di Puglia ", è terra terra, è concreta in tutto, e il panorama si vede perché il paese sta in alto, e non perché sia stato costruito il belvedere con le panchine. E l'acqua ha dei riflessi verdi come i bronzi delle piazze toscane (si pensa, naturalmente, a quelli di Piazza della Signoria). Poi, la Zinzulusa, " un boccaporto immenso, altissimo sul mare, tutto sgocciolato di stalattiti, come una volta araba: andando dentro ci sono altre meraviglie, ma' quella davvero inusitata resta l'ingresso, perché così aperto, accogliente, innocuo e terrificante, non ha paragoni ". Oltre ancora, le stazioni paleolitiche, la Grotta Romanelli, quella delle Streghe, e via dicendo. Se allora si mette tutto questo in conto al mare, si può immaginare di che tono, di che profondità è quell'azzurro su fondo rossastro: il mare d'Ulisse.
E' da queste parti, infatti, Porto Badisco, con gli olivi che scendono in mare attraverso le ripide scogliere, con le radici infilate tra le fessure degli scogli bruni: e qui avvistò l'Italia un altro popolo nomade per forza di cose e seminaufrago, quello troiano di Enea. E come allora, il paesaggio è pressoché illibato, intatto: vi si può immaginare l'intera mitologia, percorrendo la grande pianura liquida che è un ponte verso la Grecia Madre; vi si può ricostruire tutta la storia, fuggendo per la foresta di sassi della campagna rossa e nera, in cerca di scampo per le incursioni dei legni saraceni. Agevole il ponte, e più agevole la fuga: per terra e per mare, nel Salento e in tutta la Puglia, chi comanda è sempre la pianura: appena appena corrugata, in alcuni tratti, da microscopiche creste, le Serre, e coronata, in cima - ma sembrano distanze enormi, quasi impercorribili - dalla Murgia, in cima alla quale, regale, anzi imperiale, svetta il gioiello dei manieri meridionali: Casteldelmonte, sigillo svevo.
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