1948 - Una pagina di cronaca




Luciano Graziuso



" Anno Domini millesimo octingentesimo quadragesimo secundo - die vigesimo nono novembris -.
Xaverius Quarta, viduus, natus in Caprarica Lyciensi, commorans in Castro Francone, annorum sexaginta quinque circiter, animam Deo reddidit, absque sacramentorum sumptione, quia lapsus ab arbore ulive, in agro vulgo dicto Caronte, statim pronuntiato Mariae Virginis nomine, spiritus efflavit, cuius corpus seguenti die, postquam Regius Judex Vernularum sua munera exercuit, umatum fuit in ecclesiasticum sepulcrum, quoniam Christianam ducebat vitam, saepius confitebatur et Eucaristiae Sacramentum sumebat, ut mihi ingenue retulit Ridus Archipresbyter de Castro Fran-cone.
Michaël Angelus Pellè Archipresbyter ". Ossia, per chi non conoscesse il latino: " Nell'anno del Signore 1848, il giorno 29 novembre, Saverio Quarta, vedovo, nato in Caprarica di Lecce, abitante in Castrì Francone, di circa 65 anni, rese l'anima a Dio, senza ricevere i Sacramenti, perché, caduto da un albero di ulivo, nel fondo chiamato comunemente Caronte, pronunciato appena il nome di Maria Vergine, spirò ed il suo corpo il giorno appresso, dopo che il Regio Giudice di Vernole ebbe svolto i suoi compiti, fu sepolto nel cimitero della Chiesa, poiché conduceva vita cristiana, si confessava piuttosto di frequente e prendeva il Sacramento dell'Eucaristia, come sinceramente mi ha riferito il Rev.do Arciprete di Castrì Francone.
Michelangelo Pellè, Arciprete ".
Questo atto, da me letto in occasione di una ricerca nei Registri Parrocchiali di Vernole (Lecce), supera i consueti limiti di una semplice annotazione di morte ed anche per lo stile usato, se non sempre corretto almeno elegante, dimostra una particolare cultura e una non comune sensibilità da parte di chi lo ha stilato. Ma esso offre il destro a più profonde considerazioni: tutto l'episodio infatti, che s'incentra sull'improvvisa invocazione della Vergine " in articulo mortis " e la successiva giustificazione per la sepoltura in luogo sacro, dimostra la vitalità persistente di una diffusa tradizione popolare, che dal lontano medioevo dura ininterrotta fino al secolo scorso.
Il confronto più immediato e celebre è con l'episodio dantesco di Buonconte da Montefeltro, così ricco di toni patetici e insieme drammatici. Lì infatti (Pg.c.V) il giovane condottiero ghibellino, ferito mortalmente a Campaldino (1289), attribuisce la salvezza della sua anima ad un estremo pentimento, ad una invocazione tanto fulminea quanto sincera e pentita, allo Vergine: Quivi perdei la vista, e la parola nel nome di Maria finì, e quivi caddi e rimase la mia carne sola. E' quel che basta perché nell'immediato contrasto fra l'Angelo e il Diavolo abbia la meglio il primo, che si prende l'anima di Buonconte, con l'inuitile rammarico del secondo che così sottolinea l'insuccesso: Tu te ne porti di costui l'eterno per una lacrimetta che 'l mi toglile.
Si spiega così la vendetta che il Diavolo deluso trae sul cadavere indifeso del povero Buonconte: la bufera, che ne travolge il corpo, facendolo scomparire nei gorghi dell'" Archian rubesto ". Già prima, anche Spartaco, scomodo e maledetto ribelle per tanta storiografia ufficiale romana, era scomparso in battaglia, senza che il suo corpo fosse mai più ritrovato (cfr. G. Stampacchia: La tradizione della guerra di Spartaco da Sallustio a Orosio Pisa, 1976).
L'episodio del Purgatorio dantesco meglio si chiarisce, richiamando alla mente il precedente del padre, Guido, condannato tra i consiglieri fraudolenti, nell'Inferno, per un peccato taciuto, perché considerato come assolto già prima che fosse stato commesso (lf. c. XXVIII). Anche per l'anima di Guido la fantasia di Dante immagina un contrasto, in cui questa volta è l'Angelo a soccombere.
Per una sola parola dunque un'anima può salvarsi, così come può per un nonnnulla perdersi in eterno; l'uomo perciò deve liberarsi dalla schiavitù del male, dalle forze demoniache e salvarsi dal peccato attraverso la confessione e il pentimento. Nell'ambito di questa ideologia si collocano pertanto e le leggende popolari sull'argomento, e l'opera dantesca, i vari Sogni, Visioni e Trionfi medievali.
Anche le diverse " formule di confessione " (in volgare, perché devono riuscire accessibili a tutti i fedeli) perseguono le stesse finalità. Trionfi della Morte e Danze macabre sono inoltre raffigurati in celebri camposanti, come pure in sperduti paesini (a Pinzolo, nel Trentino, mi capitò anni fa di vederne uno, gustosissimo) Storici medievali, filologi romanzi, studiosi di problemi religiosi e di tradizioni popolari, come, per far qualche nome, Le Goff, Ricarda Liver , Ida Magli, il Nardi, il Nigra, il Graf, il Rubieri..., hanno discusso e approfondito questi argomenti, eli pretto sapore medievale, ma vivi e presenti anche da noi nella mentalità di uomini che vissero nel secolo scorso. Se noi oggi, completamente imbevuti di spirito laico, ne sorridiamo scettici, vuol dire che sentiamo lontanissimi non solo i tempi di Dante, ma anche quelli, più recenti, in cui tali tradizioni erano sentite ancora vive. Vero è che oggi tanta parte della nostra cultura si va rapidamente dissolvendo sotto i colpi del più mortificante materialismo ideologico e del più sfrenato consumismo industriale, anch'esso, materialistico e non meno pericoloso e alienante.

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