Una vecchia ruggine
tra Italia e Francia ha coinvolto il settore vinicolo per venti secoli.
Oggi, il nostro Paese è al primo posto nel mondo per produzione
e consumo, con un prodotto che supera, anche per qualità, ogni
concorrenza.
Puntuale, ogni anno,
scoppia tra Italia e Francia la " guerra del vino ". Coinvolti,
più che i due Paesi, due territori ugualmente agricoli e disastrati:
il nostro Mezzogiorno e il Midi transalpino: due Sud, insomma, con tutti
i problemi, le arretratezze strutturali, socio-economiche, tipiche delle
aree depresse. E' una guerra accanita, che in non poche occasioni è
sfociata in manifestazioni di protesta a Parigi, o di violenza nei grandi
e piccoli centri agricoli della Francia meridionale. Il fatto è
che, ormai, l'Italia è la prima produttrice e consumatrice di
vini al mondo,- non solo: dà un prodotto qualitativamente alto,
tanto che anche i celebri vini francesi sono passati in seconda linea.
I nostri " Doc " hanno oscurato la fama, spesso meritata,
ma altrettanto spesso usurpata, dei " sacri mostri " francesi.
E tanto più che si è ormai scoperto che i vini di Francia
in non poche occasioni sono " tagliati ", cioè rinvigoriti
con vini meridionali italiani, più pastosi e meno costosi. Da
qui, la " guerra ". Che, ripetiamo, non è un fatto
nuovo del nostro tempo, ma affonda le sue radici nel lontano passato.
Più di duemila anni fa, infatti, i vini italiani venivano imbottigliati
in migliaia di anfore, e trasportati per mezzo di navi da carico nella
Francia meridionale. Proprio qui era possibile venderli a caro prezzo,
e, soprattutto, senza alcuna concorrenza: questo è l'ultimo risultato
di una serie di scoperte e di studi degli archeologi subacquei dell'Istituto
Francese di Archeologia mediterranea. Le indagini, da tempo in atto
sotto la direzione di André Tchernia e di Patrice Pomey nella
località di Mondrague de Giens, presso Tolone, hanno consentito
di individuare i resti di una nave da carico romana naufragata con tutto
quel che trasportava intorno agli anni 70-'60 avanti Cristo. Questa
data è resa abbastanza certa dalle monete che sono state rinvenute
a bordo della nave, che si riferiscono proprio a quest'epoca. Un ampio
rapporto sugli scavi sarà pubblicato nelle prossime settimane;
ma intanto possiamo registrare le più cospicue rivelazioni di
questa scoperta e delle ricerche che comporta, e che viene considerata
come la più importante ed emblematica tra quelle attualmente
in corso nel settore dell'archeologia subacquea.
Le strutture dello scafo di legno della nave, riferisce Sabatino Moscati,
dopo che è stata rimossa con le pompe aspiranti la coltre di
fango e di sabbia da cui erano coperte, si sono rivelate pressoché
complete, sicché costituiscono la testimonianza forse migliore
oggi disponibile sull'architettura navale antica, dopo l'incendio appiccato
dai tedeschi in fuga al museo del lago di Nemi, dove andarono distrutti
gli esempi di nave romane più celebri, e certamente più
splendidi, in possesso dell'uomo moderno. Tra gli aspetti caratteristici
di Mondrague de Giens sono da mettere in evidenza in particolare le
cabine per i passeggeri con pareti di legno e con coperture di tegole.
Il carico era costituito da lingotti di piombo, che provenivano dalla
penisola iberica, e servivano soprattutto per le tubature dell'acqua;
da un abbondante vasellame, tra cui servizi completi di piatti, di scodelle,
ci; vassoi e di bicchieri; infine, e soprattutto, da varie migliaia
di anfore contenenti vino.
Qui s'inserisce l'ultima scoperta, recentemente avanzata da Antoinette
Hesnard, che fa parte della missione di scavo e di studio. Le anfore
rinvenute recano impressi dei " bolli " con i nomi dei "
produttori ": in particolare, spiccano i bolli " Sabina "
e " P. Veveius Papus ": ebbene, gli stessi nomi sono stati
scoperti in altre anfore, in fondo al mare, in località "
Canneto ", immediatamente a sud della città di Terracina,
dove si trovava evidentemente la fornace nella quale erano prodotte
le anfore vinarie. Quanto al contenuto, è verosimile che si trattasse
di " Cécubo ", il vino assai rinomato, che veniva prodotto
in quella zona.
La guerra del vino, dunque, secondo un'ipotesi tutt'altro che peregrina,
doveva svolgersi in questo modo. I Romani avevano severamente proibito,
con un'apposita legge, agli abitanti delle Gallie, già dalla
fine del secondo secolo avanti Cristo, di coltivare la ,vite, e dunque
di produrre il vino. Premunitisi in questo modo contro la concorrenza,
esportavano il loro prodotto, caricandolo in grande quantità
a bordo delle navi, Che effettuavano il percorso marittimo dalle coste
tirreniche fino a quelle della Provenza e della penisola iberica. Una
volta sbarcato il vino in Provenza, ne accrescevano il prezzo mediante
dazi e balzelli, e lo inoltravano per via fluviale verso l'interno del
paese.
Come si difendevano
i " francesi ", allora, di fronte a questa specie di "
imperialismo commerciale "? In mancanza di altri mezzi o strumenti
efficaci, ricorrevano con ogni probabilità all'eterno machiavello
dell'autarchia, accontentandosi della " birra " di quel tempi,
ben più nota, esattamente, con il nome di " cervogia ".
Niente di nuovo sotto il sole, dunque. I vini meridionali che giungono
in terra francese dopo avere attraversato tutta la penisola, o che vengono
sbarcati nei porti di Tolone e (molto più frequentemente) di
Marsiglia, non hanno mai dato pace ai nostri contadini e ai " vignarons
" del Midi francese. Per gli uni e per gli altri, (e questo è
un fatto che non va sottovalutato), il prodotto rappresenta l'insieme
delle risorse di un'intera stagione: lo è forse di più
per i francesi, i quali non possono gettare sulla bilancia dei loro
redditi la produzione di olio, spesso - nel Sud - compensativa di una
cattiva annata vitivinicola. D'altro canto, meridionali italiani e meridionali
francesi si sentono direttamente minacciati, in questi ultimi mesi,
dal probabile ingresso nella Comunità, a vario titolo, di Paesi
del bacino mediterraneo (la Grecia, in modo particolare): e sono Paesi
produttori di vini di scarsissima qualità, ma anche di infimo
prezzo, che possono rappresentare, soprattutto per i consumatori non
preparati adeguatamente, degli accaniti concorrenti, per di più
privilegiati dal basso costo della manodopera agricola, e dalla pressoché
totale inesistenza di tributi e contributi agrari, previdenziali e dominicali,
che gravano invece, in maniera spesso insopportabile, sull'attività
imprenditoriale diretta e indiretta degli italiani. In altre parole:
fra non molto, rischiamo di trovarci a confronto con un prodotto scadente,
ma accettato ben volentieri per l'infimo costo sui mercati internazionali.
Parliamo di vini greci, ma anche spagnoli e portoghesi, proprio mentre
diversi mercati europei sono invasi dalle sottospecie vinicole provenienti
da Cipro, dalla Tunisia e dall'Algeria. Tutto questo, unito ai danni
prodotti dalla " guerra " italo-francese, finirà con
il danneggiare soprattutto le due economie europee continentali, la
nostra, appunto, e quella transalpina, a tutto beneficio di paesi neofiti
e dei loro prodotti che si distinguono, senza tema di smentita, solo
per la loro inconsistenza.
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