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Il merito e la paga |
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Libero
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Un politologo francese,
Jean François Revel, ha coniato recentemente un'espressione particolarmente
felice per designare quei politici ed in particolare quei sindacalisti
che in seguito a nuove batoste economiche sono ora disposti a fare dell'autocritica.
Sono, insomma, dei " profeti retrospettivi ". Affermano: se
si fosse fatto quello, non sarebbe capitato questo. Dimenticano, naturalmente,
che a suo tempo hanno proprio patrocinato quello che poi ha dato luogo
a questo, e cioè alle batoste economiche. Sarebbe troppo lungo elencare, in base all'esperienza italiana, gli errori di politica economica commessi negli anni Settanta, ed anche prima, errori che oggi si cerca di far dimenticare con un po' d'autocritica. Come se l'autocritica fosse sufficiente per sanarli. Così, solo per far qualche esempio, non basta dire, profetizzando all'incontrario, che il salario non è una variabile indipendente, che la conflittualità permanente sfascia le imprese, e così via. Non vale piangere sul latte versato. Piuttosto, bisogna rendersi conto, oggi come oggi, quali potranno essere domani le ripercussioni negative d'alcune richieste contenute nelle cosiddette piattaforme sindacali, concernenti la ristrutturazione salariale che direttamente o indirettamente modificheranno la distribuzione del reddito nazionale tra i fattori di produzione. Ho già scritto che da alcuni anni al fattore lavoro, dipendente ed indipendente, tocca una quota via via maggiore del reddito nazionale netto, al costo dei fattori. Nel 1977, questa quota ha superato il 92 per cento, per cui agli altri fattori di produzione è rimasto solo poco meno dell'8 per cento. Partendo da questa constatazione sono possibili alcune riflessioni su quanto potrà verificarsi, se per l'appunto si accoglieranno o le richieste di cui s'è appena fatto cenno. Prima riflessione. Da anni si sente parlare di " giungla" salariale. L'inventore di quest'espressione che mira a porre soprattutto in evidenza alcune differenze di retribuzione, e proprio per questo condannarle, ne ha tratto fama politica. S'è perfino costituita una commissione parlamentare che ne ha discusso in lungo e in largo. Non s'è preso, però, in adeguata considerazione il fatto che la giungla non riguarda solo i salari e gli stipendi, ma anche e soprattutto la produttività. In altri termini, non si possono stabilire confronti omogenei, e quindi significativi, tra i livelli retributivi, se contemporaneamente non si tiene conto della produttività, o meglio ancora della produzione per unità di lavoro che corrisponde a queste remunerazioni. Se si tenesse conto della componente produttività, sarebbe facile constatare che in alcuni casi i divari nelle retribuzioni non trovano alcuna giustificazione, per cui s'è veramente di fronte ad una giungla che non sarà tanto facile disboscare, perché a quest'azione risanatrice s'oppongono concreti interessi corporativi. In altri casi, invece, il divario è più che giustificato, perché ad una diversa remunerazione corrisponde una diversa qualità e quantità di lavoro. Solo stabilendo questa diversa correlazione è possibile ottenere un impegno produttivo individuale, che in fin dei conti non giova solo ai singoli, ma a tutta la collettività. Il divario assume un significato del tutto particolare in relazione ad alcune richieste intese a modificare la struttura delle remunerazioni. Non è qui il caso di soffermarsi sui procedimenti per effettuare questa ristrutturazione, tanto più che la materia è ancora oggetto di discussione nell'ambito delle organizzazioni sindacali. Un aspetto particolare riguarda la revisione per dare più ampio spazio alle remunerazioni dirette ed immediate, vale a dire quelle che in concreto si trovano nella busta paga, e questo restringendo lo spazio di quelle indirette che, grazie agli oneri sociali ed assistenziali, si concretano in servizi attuali, come quelli sanitari, ed in remunerazioni differite, come sono le pensioni. Si comprendono facilmente i motivi di questa revisione. Da che mondo è mondo, sempre meglio un uovo oggi che una gallina domani, specie se la gallina si prospetta spennata dall'inflazione, ed in particolare se si ritiene che in ogni caso sarà allevata a spese della collettività. Solo apparentemente, però, il costo del lavoro per le imprese, che è quello che conta, non subirà aumenti. In realtà, qualcuno dovrà pur pagare gli oneri sociali ed assistenziali, dato che non è possibile ridurre i servigi attuali e le remunerazioni differite. Se non si pagheranno con contributi sociali, si pagheranno con tributi, o peggio ancora con l'inflazione. Un altro aspetto di questa ristrutturazione delle remunerazioni, pure assai significativo, è quello che risulta dalla tendenza a collegarla con un ulteriore passo avanti sulla via dell'appiattimento delle retribuzioni stesse. L'idea per alcuni sindacalisti sarebbe quello di un salario e stipendio uguale per tutti, quale che sia l'apporto di ognuno in relazione alla rispettiva produttività. Questo livellamento di retribuzione mira dunque ad eliminare ogni forma di " meritocrazia ". Un principio analogo, del resto, a quello d'alcuni studenti quando chiedono la promozione assicurata ed il voto uguale per tutti. Lo sfascio della scuola dovrebbe ammonire coloro che chiedono di estendere l'applicazione di questo principio all'attività produttiva. Risulta ad evidenza, dunque, che i progetti di ristrutturazione delle remunerazioni non tanto mirano a disboscare la giungla retributiva, quanto a livellarla, il che non sarà certo verso l'alto, bensì verso il basso, e comunque sganciata da ogni riferimento ad una maggiore produttività. Quindi, questo livellamento, è destinato a provocare un ulteriore ristagno dell'attività produttiva che, si voglia o non si voglia, è sempre affidata alla volontà dei singoli d'emergere, d'andare avanti, una volontà che si concreta in un trascinamento che favorisce il funzionamento del sistema economico considerato come un tutto. Questo ristagno alla fine dà luogo, come pure l'esperienza insegna, alla formazione di gruppi privilegiati, in quanto operano nell'ambito del mercato ufficiale del lavoro, e di gruppi emarginati. Questi sono i problemi che anche i politici, ma ancora più i sindacalisti, devono affrontare con criteri realistici, in vista di quanto potrà accadere domani. E non c'è bisogno di molta fantasia per rendersi conto che ogni appiattimento delle retribuzioni, e quindi ogni rottura dei legami tra remunerazioni e produttività, è destinato a rallentare lo sviluppo produttivo. E se non è più il caso di fare profezie per il passato, si cerchi almeno, con cognizione di causa, di non sbagliare ancora guardando al futuro. Investimenti e risparmio Quando Keynes, poco
prima di morire, disse che non era keynesiano, già intuiva che
i dirigenti della politica economica stavano preparando un sostanziale
travisamento del modello con cui aveva cercato di schematizzare il funzionamento
dei sistemi economici. Modello, com'è noto, basato sulla coordinata
azione del principio di moltiplicazione e di quello di accelerazione.
I dubbi di Keynes riguardavano in particolare l'applicazione in termini
di politica economica del principio di moltiplicazione, con il quale
s'afferma che l'aumento del reddito nazionale, variabile dipendente,
può considerarsi come un multiplo degli investimenti, variabile
indipendente. Sicché, se si sostengono gli investimenti, s'incrementa
pure il reddito nazionale, e quindi i consumi ed il risparmio, il quale
a sua volta consente di fornire ulteriore sostegno agli investimenti.
Il risparmio è dunque sempre necessario.
La discussione sul disavanzo allargato della Pubblica Amministrazione prosegue con carosello di cifre. Le cronache riferiscono sulle varie ipotesi. Ma in tutto questo gran parlare e scrivere non sempre si presta adeguata attenzione all'andamento delle entrate e delle uscite, che per l'appunto danno luogo al disavanzo. Vale quindi !a pena di integrare le discussioni con alcuni dati concernenti i totali delle entrate ed uscite, sia correnti che in conto capitale. Giova sottolineare che questi dati registrano flussi di cassa e non di competenza, in quanto risultano dai conti economici consolidati dalla Pubblica Amministrazione. Ecco i dati espressi in miliardi di lire correnti:
(I dati del
'77 sono approssimati, quelli del '78 sono stimati, dunque soggetti
a verifica). L.D.P. |
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