Ma resta il nodo dei giovani




Dario Giustizieri



Mentre nella maggior parte dei Paesi sviluppati il fenomeno della disoccupazione giovanile è esploso dopo il 1973, in Italia era già maturo prima di questa data.

Le proposte governative intese a correggere le storture della legge 285 sull'occupazione giovanile non devono ingenerare troppe illusioni. In realtà, i correttivi risulteranno di una certa efficacia solo se verranno inseriti in una politica di rilancio dell'intero apparato produttivo, senza la quale la legge - sia pure ritoccata - invece di stimolare la nascita di nuovi posti di lavoro, continuerà a produrre polemiche inconcludenti.
Occorre infatti tener presente che la disoccupazione (giovanile e adulta) in Italia non è un fenomeno congiunturale, ma strutturale. In questo senso essa si è venuta identificando con quel processo di logoramento dell'economia di mercato che nel corso di quest'ultimo decennio ha seriamente condizionato il tasso medio di crescita del nostro sviluppo.
In queste condizioni oggettive, il mercato del lavoro non poteva certo sfuggire alla " logica " dell'appiattimento. La sua dinamicità interna è andata via via contraendosi, a mano a mano che si affievolivano gli slanci espansivi, ed è entrata in piena crisi allorché dallo stadio dello sviluppo frenato siamo entrati in quello della recessione e del sottosviluppo.
Secondo una rilevazione effettuata dal professor Contini dell'Università di Torino, nel quinquennio tra il 1969 e il 1974 l'occupazione in Italia si è sviluppata ad un tasso medio annuo dell'1,5% contro un tasso medio dell'1,1% nel ciclo precedente (1963-1969). Se confrontiamo questo andamento con quello registratosi nel corso del " miracolo ", abbiamo netta la visione di una vera e propria " caduta ". Infatti, nei quattro anni culminanti del "boom" (1959-1963) il tasso medio annuo di crescita era stato del 4,4%, il che aveva significato la creazione di oltre un milione di posti di lavoro. Le nuove leve che in tal modo erano entrate nel mondo produttivo (soprattutto nell'industria) costituiscono oggi quelle classi di età intermedia su cui poggia buona parte dell'impalcatura dell'occupazione italiana, caratterizzata da uno scarso peso di lavoratori anziani e di donne sposate Ma come si colloca il problema dell'occupazione giovanile in questo quadro?
Una risposta assai circostanziata a questo interrogativo è contenuta in un'inchiesta che assume il mercato del lavoro come tema centrale di un ampio dibattito relativo alle esigenze del sistema produttivo, in rapporto ai processi formativi dei giovani. Analizzando la genesi della disoccupazione giovanile nel mondo industrializzato dell'Occidente, si possono individuare due momenti distinti: quello antecedente la crisi petrolifera, e quello successivo. Per i tredici Paesi fra i più industrializzati (e precisamente: Austria, Belgio, Canada, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Germania Federale, Italia, Giappone, Olanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti), posto pari a 100 il tasso di disoccupazione dei giovani con età sotto i ventiquattro anni nel 1970, si riscontra un passaggio di questo tasso a 193 nel 1976. I dati ancora parziali sulle stesse economie nel passaggio tra il '76 e il '77 indicano un ulteriore incremento del 5,3 per cento, che raggiunge addirittura punte del 23 per cento in Francia.

Mentre per la maggior parte di questi Paesi il fenomeno della disoccupazione dei giovani è dunque letteralmente esploso dopo il 1973, in Italia esso era assai maturo prima di questa data. Infatti, nel 1970 i nostri giovani disoccupati ammontavano a circa 400 mila unità, contro appena 18 mila nella Repubblica Federale Tedesca e circa 75 mila in Francia. Con l'andare degli anni, questo distacco non si è affatto colmato, tanto che oggi la cifra assoluta dei giovani disoccupati in Italia risulta più che doppia rispetto a questi contesti.
Ciò dimostra, come dicevamo all'inizio, il carattere strutturale del fenomeno italiano, specie se si guarda alla situazione delle regioni del Mezzogiorno, nelle quali la disoccupazione giovanile rappresenta la costante patologica di un più vasto quadro di sottosviluppo cronico e generalizzato. Tuttavia, pur nella sostanziale gravità di fondo, il problema presenta aspetti che variano sensibilmente tra Nord e Sud. Nelle regioni settentrionali, il fenomeno assume connotazioni europee più direttamente connesse alla situazione che è maturata dopo la crisi petrolifera. Nel Sud la disoccupazione giovanile era l'aspetto della più generale mancanza di occasioni di lavoro, e il fenomeno (tenuto d'occhio solo dai meridionalisti più attenti) si sperdeva quasi nel più vasto problema del precario, asfittico mercato dell'occupazione.
Aggiungeremo che in questo quadro le esigenze primarie consistono nel reperimento di manodopera qualificata. Secondo l'inchiesta che abbiamo citato all'inizio, infatti, le due maggiori categorie di giovani in cerca di primo impiego sono costituite da neo-diplomati con tempi di attesa medi, e da giovani forniti di licenza media inferiore (privi quindi di qualifiche specifiche: emerge dunque l'aspetto, centrale dell'intera questione, costituito dalla necessità di un effettivo collegamento, tramite la formazione professionale, tra questo tipo di offerta di lavoro e la domanda di manodopera qualificata da parte dell'industria).

Ciò vale, naturalmente, in modo particolare per le aree forti dell'economia italiana, quelle cioè che sono direttamente inserite nella dinamica europea, e che pertanto ne recepiscono gli orientamenti di massima. Per le regioni meridionali il discorso è assai più complesso, e coinvolge problemi di sviluppo delle strutture industriali, di autentica qualificazione professionale nelle scuole e nelle università, di ampliamento delle comunicazioni e delle reti terziarie (mai perdendo di vista l'efficienza e la produttività). Tutto, dunque, può ridursi a tre concetti fondamentali. Con il primo si deve insistere nell'ammonire che gli incentivi contemplati dalla legge 285, pure opportunamente corretta, non sono di per sé strumenti di creazione di nuovi posti di lavoro, ma solo elementi di stimolo. In secondo luogo, occorre ricordare che il fenomeno della disoccupazione giovanile italiana, appunto perché viene da molto lontano, avrà sbocchi positivi solo in un graduale processo di recupero e di ripresa degli interi meccanismi di sviluppo, con una piena rivalutazione delle regole dell'economia di mercato, e quindi delle concrete disponibilità degli investimenti, nell'area " europea " della penisola, cioè nel Centro-Nord, e in quella " mediterranea ", cioè nel Centro-Sud e nelle Isole. Infine, (e qui sembrano convergere tutte le terapie), occorre finalmente capire la "centralità " della nostra scuola, concepita come elemento formativo di base della personalità professionale del giovane e come supporto alla produzione di risorse tecniche e culturali da proiettare nelle nuove dimensioni della vita civile e nelle nuove esigenze dell'intero sistema economico italiano.


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