Fuori baricentro




Gigi de Mítri



Il divario economico fra le 109 regioni della Comunità Economica Europea vede il Mezzogiorno sullo stesso livello dell'Irlanda, al fondo della graduatoria continentale.

Utilizzando i nuovi dati dell'Istituto Statistico delle Comunità Europee, il professor Guglielmo Tagliacarne ci offre una radiografia delle regioni dei Nove Paesi. Le cifre riguardano il prodotto lordo regionale e considerano, come premette l'Autore, due tipi di ripartizioni territoriali: le regioni comunitarie europee, e le unità amministrative di base. Le cifre riguardano le unità amministrative, che rappresentano la ripartizione regionale più corrente: per l'Italia sono venti, corrispondenti dunque alle nostre regioni; mentre quelle comunitarie sono undici, e si raggruppano sotto il nome di Nord-Ovest (Piemonte, Val d'Aosta e Liguria); Nord-Est (Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia); Centro (Toscana, Umbria, Marche); Sud (Puglia, Basilicata, Calabria); mentre sono considerate a sé la Lombardia, l'Emilia-Romagna, il Lazio, la Campania, l'Abruzzo, il Molise, la Sicilia e la Sardegna.
I calcoli che abbiamo eseguito, sostiene il professor Tagliacarne, ,consistono - a scopo di confronto - in una conversione dei valori - espressi nelle monete nazionali: cioè, sia nella moneta di conto, indicata come " Eur ", sia in lire italiane (secondo i cambi ufficiali delle singole monete).
Le tabelle seguenti sono basate sulle due conversioni, in Eur e in lire italiane. Per la maggior parte della sua esposizione, Tagliacarne si limita ai valori convertiti in lire italiane, dal momento che le differenze fra i due calcoli sono praticamente trascurabili.
Le regioni amministrative della Comunità sono 109:

Le cifre proposte da Tagliacarne sono per la maggior parte costituite da graduatorie di queste 109 regioni secondo vari parametri di maggiore interesse. Tali graduatorie considerano la Comunità come un " unicuum ", senza alcun riguardo alle singole nazioni (i cui nomi sono indicati fra parentesi con sigle). In ogni caso, le prime tre tabelle si riferiscono a dati nazionali.
La prima riguarda il reddito prodotto per abitante, espresso sia in moneta di conto Eur che in lire italiane 1971. Repubblica Federale Tedesca e Danimarca sono alla pari, con livelli più elevati; seguono Francia, Belgio e Lussemburgo, a un livello poco discosto dalla media comunitaria; poi è la volta di Gran Bretagna e Paesi Bassi; chiudono la graduatoria Italia e Irlanda.


La seconda tabella realizzata dal professor Tagliacarne riporta le quote percentuali rappresentate dal reddito prodotto dal settore agricolo e quello prodotto dal settore industriale in ciascuno dei Paesi della Cee sul totale del reddito nei rispettivi Paesi. La quota del settore agricolo, rileva l'Autore, presenta un particolare interesse in questo studio, " giacché nella politica regionale di sviluppo della Cee essa è assunta come indice del livello economico; una percentuale elevata di reddito prodotto dall'attività agricola è interpretata come un segno di sottosviluppo ".
Questo concetto non appare tuttavia confermato dalla realtà nei valori complessivi dei diversi Paesi. La quota di gran lunga più bassa attribuita al reddito agricolo riguarda il Regno 'Unito (2,0% del reddito totale), che è ben lontano dal presentare i redditi pro capite più elevati. La Repubblica Federale e il Belgio compaiono con la stessa quota di reddito agricolo, seguiti da Lussemburgo, Francia, Paesi Bassi e Danimarca; l'Italia è al penultimo posto (8,3%); l'Irlanda chiude la classifica con una percentuale elevatissima (15,8% sul totale).
La stessa tabella riporta le quote percentuali rilevate dall'attività industriale. La Germania Federale occupa il primo posto con metà del reddito complessivo attribuito all'attività industriale; seguono Francia e Regno Unito; poi vengono Italia, Paesi Bassi ,e Belgio; infine le quote più basse, quelle della Danimarca e dell'Irlanda. Il Lussemburgo può considerarsi a se stante, con una quota fuori statistica, elevatissima (52,3%).


Nella tabella successiva, Tagliacarne riporta, per ciascuno dei Nove Paesi, le cifre percentuali del reddito prodotto sul totale della Comunità (in lire e in Eur); percentuali confrontate con quelle delle rispettive popolazioni. Il prospetto, sottolinea l'Autore, è eloquente. La Germania Federale, da sola, rappresenta oltre il 30% del reddito complessivo della Comunità; la Francia e il Regno Unito costituiscono, ciascuno, intorno a un quinto del totale comunitario; il nostro Paese è stabilizzato sul livello del 15%, meno della metà della Repubblica Federale Tedesca. Tutti gli altri Paesi, presi insieme, dispongono di un reddito prodotto (11,9%) minore di quello italiano.

Interessante il raffronto fra reddito prodotto e popolazione residente. Per la Germania la quota della popolazione sul totale della Comunità è notevolmente inferiore alla quota del reddito prodotto: segno, quindi, di un reddito, pro capite abbastanza elevato. Per la Francia la quota costituita del reddito supera leggermente quella della popolazione; l'inverso si constata per il Regno Unito. Per il nostro Paese, il distacco fra le due percentuali è notevole: la popolazione copre il 21,3% della popolazione complessiva della Comunità, mentre per il reddito, come si è già rilevato, si sfiora il 141-15 per cento. Per quanto riguarda il Belgio, si riscontrano le medesime percentuali per reddito e popolazione. Infine, per l'Irlanda la quota della popolazione supera cospicuamente quella del reddito: situazione analoga a quella dell'Italia.
Trattando del reddito prodotto, espresso in lire italiane del 1971, due regioni della Repubblica Federale Tedesca (Amburgo e Brema) e una della Francia (Ile-de-France) sono al primo posto nella graduatoria europea. Segue un gruppo di quindici regioni con un reddito inferiore di circa un quinto; poi, un terzo gruppo, questo di 43 regioni, dunque il gruppo più numeroso, stabilizzato sulla media dell'intera Comunità (1.670.000 lire del 1971); un quarto gruppo, di 39 regioni, è a livello inferiore; infine, nove regioni che sono, l'arca più povera dell'intera Cee: sono le otto, regioni dell'Italia meridionale, più l'Irlanda. O meglio, l'Irlanda, più le otto regioni del Sud, con la Calabria che chiude la graduatoria.
Mentre il primo gruppo di regioni con le quote pro capite più alte ha una popolazione del 4,8% della popolazione della Comunità, con una concentrazione di reddito pari all'8%, l'ultimo gruppo - con i redditi più bassi, pari al 4,3% del reddito complessivo comunitario - comprende una popolazione comunitaria dell'8,7 per cento. Scrive Tagliacarne: si confrontino il primo gruppo (ricco) e l'ultimo (povero): le posizioni sono invertite: la popolazione di quest'ultimo è doppia di quella del primo gruppo, mentre per il reddito rappresenta la metà.

Per valutare più attentamente i divari del reddito prodotto per abitante nelle singole regioni, Tagliacarne calcola i numeri indici, fatta la media della Comunità uguale a 100.La regione che è al primo posto, Amburgo, ha un reddito doppio di quello medio comunitario. A distanza, al secondo posto l'Ile-de-France. Seguono molte regioni della Germania Federale. Nessuna regione italiana supera la media comunitaria: la più favorita è la Liguria, con l'8% in meno della media della Cee. Sei regioni italiane (Sicilia, Campania, Puglia, Basilicata, Molise e Calabria) sono al di sotto del 50% della media comunitaria, con la Calabria che è addirittura al di sotto del 62%.
Una regione dei Paesi Bassi, Zeeland, con un indice 92 (media comunitaria = 100) rappresenta la mediana delle 109 regioni. Vale a dire: 54 regioni producono un reddito superiore a questa regione, e altrettante ne producono uno inferiore. Tagliacarne riporta nella graduatoria dei numeri indici anche i valori complessivi di ciascuno dei Nove Paesi, a titolo di confronto. La Germania figura con il 28% in più della media comunitaria, la Francia con il 12% in più, il Belgio con il 3 % in più, il Regno Unito e i Paesi Bassi accusano circa un 10% in meno, l'Italia il 31% in meno.
Riprendiamo ora la graduatoria delle 109 regioni secondo la quota percentuale di reddito prodotto dall'attività agricola sul totale del reddito delle rispettive regioni. La graduatoria inizia con Berlino Ovest, che ricava dal settore agricolo una quota trascurabile (0,2% del reddito totale prodotto dalla regione stessa).

In cinque regioni l'agricoltura presenta meno dell'1% del reddito complessivo; in 50 regioni è inferiore al 5 %; in altre 85 è inferiore al 10%; infine, troviamo un gruppo di 10 regioni con una quota superiore al 15%. I valori massimi si riscontrano per tre regioni del Mezzogiorno italiano (Basilicata, Puglia e Molise). Per il Molise la quota raggiunge la punta massima comunitaria (22,2 per cento); per l'intera comunità l'attività agricola rappresenta il 4,8% del reddito totale.
Presentiamo ora la graduatoria decrescente delle regioni secondo la quota del reddito prodotto dall'attività industriale rispetto al reddito complessivo regionale. Nove regioni presentano le quote più alte, e appartengono tutte alla Germania: al primo posto, l'Alta Franconia, con il 60,6%. In 38 regioni il reddito industriale supera il 50% del reddito complessivo. Al di sotto del 30% si trovano sette regioni, delle quali quattro sono italiane: Calabria, Sicilia, Lazio e Molise. Per il complesso della Cee, l'attività industriale rappresenta il 44,6% del reddito totale.
Altra rilevazione di Tagliacarne, quella delle 109 regioni della Cee secondo la quota percentuale che esse rappresentano come reddito prodotto sul totale comunitario. Al primo posto in questa graduatoria, una regione del Regno Unito, il Sud-Est, con il 7,2% del totale della Comunità; seguono l'Ile-de-France, con il 6,2%, e Düsseldorf con il 3,3%; a poca distanza, la Lombardia, con il 3,1%. Altre regioni italiane son presenti con quote assai elevate: Piemonte (1,5%), Lazio (1,4%), Emilia-Romagna (1,2%), Veneto (1,1%), Toscana (1,0%), Campania (1,0%).
Sono 37 le regioni che producono, ciascuna, un reddito pari o superiore all'1 % del totale comunitario.

Di queste, sette sono italiane. Questo spostamento relativamente favorevole nei riguardi dell'Italia - sostiene Tagliacarne - in contrasto con quanto si è visto da altre graduatorie, si spiega con il fatto che varie regioni italiane sono molto estese. Che però non siano ricche si desume dal fatto che esse hanno una quota percentuale della popolazione superiore a quella del reddito prodotto (sul totale comunitario). Sono state aggiunte nella graduatoria in esame le quote cumulative del reddito prodotto. Il 50% del reddito complessivo comunitario è concentrato in sole 21 regioni: 7 tedesco-federali, 6 britanniche, 3 italiane e 4 francesi, oltre alla Danimarca. Le ultime 8 regioni della graduatoria, nell'insieme, rappresentano meno dell'1% del totale comunitario. Questa classifica si chiude con due regioni italiane: Molise e Valle d'Aosta.
Un aspetto che presenta particolare interesse nell'analisi economica delle regioni della Cee è costituito da quelli che Tagliacarne definisce i " baricentri economici " delle singole Nazioni e della Cee in complesso. La nozione di baricentro, sostiene Tagliacarne, è nota: è di natura fisico-matematica. Può definirsi come " un punto di territorio più esteso, partendo dal quale la somma delle distanze verso altri punti sparsi sul territorio stesso, debitamente ponderate secondo l'importanza del fenomeno che si considera (ad esempio, il reddito), risulta minima ". La determinazione dei baricentri è stata effettuata come segue. Per ragioni pratiche, si è supposto che tutto il reddito di una regione sia concentrato nel capoluogo. Quindi, si è ponderata la latitudine di ciascun capoluogo, moltiplicandola per il reddito prodotto nella rispettiva regione: la somma di tali prodotti è stata divisa per il reddito totale. Si è così ottenuto il valore medio ponderato della latitudine. Analogo calcolo è stato fatto per la longitudine. Il punto d'incontro fra queste medie costituisce il baricentro nazionale. Il baricentro per l'intera Cee è stato ottenuto con lo stesso criterio adottato per i singoli Paesi.

Di notevole interesse, sottolinea l'Autore, soprattutto per gli scambi commerciali, sono le distanze fra i baricentri nazionali tra loro e rispetto alla Cee in complesso. Per l'Italia, la distanza fra il suo baricentro (che è Siena), quelli delle altre nazioni e quello globale della Cee, è fortemente superiore rispetto ai baricentri degli altri Stati membri. Riguardo all'insieme della Comunità, per il nostro Paese è di 790 chilometri (dal doppio, al triplo e al quadruplo nei confronti di Francia, Germania Federale, Belgio e Paesi Bassi). E' palese, dunque, il nostro svantaggio, derivante dalla posizione geografica periferica. La nostra situazione è pressoché analoga a quella di altri due Stati, la Danimarca e l'Irlanda. Tagliacarne, infine, misura il grado di sperequazione territoriale nei singoli Paesi, ricorrendo al confronto delle quote rappresentate dal reddito prodotto da ciascuna regione all'interno di una nazione sul totale della stessa e la corrispondente quota della popolazione.
Per l'Italia, le aliquote percentuali sono riportate nell'ultima tabella che considera le graduatorie decrescenti dei redditi per abitante. Utilizzando la serie dei dati percentuali cumulativi, si può tracciare la curva di Lorenzo curva di concentrazione. Tanto più essa si allontana dalla diagonale del quadrato, che rappresenta l'equa distribuzione, tanto più il fenomeno è concentrato, vale a dire tanto più è notevole il grado di sperequazione. La maggiore disuguaglianza della distribuzione territoriale dei redditi nel nostro Paese - rileva l'Autore - conferma la " regola " per la quale i Paesi con reddito pro capite più elevato hanno una distribuzione meno sperequata rispetto ai Paesi con redditi più bassi.

Ma quali sono gli handicaps dell'Italia? Tagliacarne li elenca con la consueta, sintetica precisione. Anzitutto - scrive - lo svantaggio di ordine economico dell'Italia di fronte alle altre regioni della Comunità. Per quel che riguarda il reddito pro capite, l'Italia occupa infatti il penultimo posto in una graduatoria che è chiusa dalla piccola Irlanda. Inoltre, il nostro, Paese presenta le più alte quote di reddito ricavate dall'attività agricola, elemento questo, come si è detto, considerato negativamente dagli organi comunitari nella valutazione del grado di sviluppo territoriale. Inoltre, siamo in svantaggio anche riguardo al grado di disoccupazione e di emigrazione, anche questi elementi considerati alla stregua della prevalenza agricola, dunque come indici di sottosviluppo. Altri fattori negativi: la vastità del Mezzogiorno come arca arretrata, pari al 40% del territorio nazionale, con il 35% della popolazione, area compatta, cioè continua, senza intervalli di regioni più favorite; la posizione dei baricentri: i baricentri dei vari Paesi sono assai più vicini al baricentro dell'intera area comunitaria e vicini fra loro, di quanto non si verifichi per l'Italia. Siamo dunque svantaggiati anche riguardo al fattore distanza, che comporta maggiori chilometri, tempo e costi per gli sbocchi di mercato del nostro commercio internazionale. Non intendiamo piangere miseria, conclude lo studioso: la povertà non è una vergogna, né una colpa; e del resto, in compenso, possediamo ciò che nessun Paese al mondo può vantare, almeno in misura così cospicua: clima, arte, e una miniera inesauribile di bellezze naturali.

 


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