Abbiamo perso
la " guerra del vino " contro la Francia; abbiamo perso nella
" maratona agricola "; rischiamo di subire la concorrenza accanita
di alcuni Paesi del bacino mediterraneo a prevalente economia agricola:
l'Europa verde che protegge le aree lattiero-casearie del Nord del continente
può mandare in frantumi la nostra agricoltura, aggravando il deficit
agro-alimentare italiano.
L'"operazione
charme" del commissario europeo e del ministro dell'agricoltura
italiano nei confronti di chi guida le sorti dell'Europa Verde è
praticamente naufragata. Questi ha fatto adottare dalla Commissione
esecutiva della Comunità Economica Europea un nuovo regolamento
vinicolo, che è in aperto contrasto con gli interessi dell'Italia,
e che accoglie, quasi alla lettera, la maggior parte delle richieste
della Francia.
Fra i vari provvedimenti contenuti nel regolamento in questione, spicca
l'introduzione - in caso di " grave crisi " del mercato -
del principio dei prezzi minimi obbligatori. In altri termini: saranno
vietate le transazioni del vino al di sotto di un prezzo stabilito in
precedenza (il settanta per cento del prezzo indicativo). Dal momento
che l'Italia, da qualche anno , è accusata di esportare vino
in Francia a prezzi troppo bassi, è evidente che il provvedimento
tende a proteggere gli interessi dei viticoltori francesi.
Come il governo italiano - ammesso che il regolamento in questione venga
approvato dal Consiglio dei ministri dell'agricoltura della Cee, cosa
tutt'altro che improbabile -possa giustificarsi di fronte ai propri
produttori, non è dato di sapere. Se poi - sottolineano gli osservatori
economici a Bruxelles - la delegazione italiana desse via libera al
regolamento elaborato in sede comunitaria, si potrebbe, a giusto titolo,
parlare di " suicidio vinicolo ". E si tratterebbe di un autolesionismo
grave, dal momento che quello del vino è uno dei pochi settori
agricoli italiani che vive anche sulle esportazioni.
Ma c'è di più. Il nuovo regolamento vinicolo della Comunità
economica europea infrange apertamente le regole della libera circolazione
delle merci all'interno del Mercato comune. Una violazione giuridica
tacitamente accettata per favorire il governo francese alle prese con
una serie di problemi, anche politici, non proprio semplici? Sembra
di sì. Ma non è che il nostro Paese ne abbia di minori
e di meno complicati. E, oltre tutto, non si capisce proprio perché
a farne le spese debba essere proprio l'Italia, che non sa come risanare
il proprio deficit agro-alimentare. Va da sé che, quando diciamo
l'Italia, intendiamo parlare soprattutto delle regioni meridionali,
e, nell'ambito di queste, della Puglia, massima area produttrice di
uve da vinificazione a livello non solo italiano, ma europeo. Sono anni,
ormai, che i produttori francesi " tagliano " i loro vini
con quelli pugliesi, li vivificano e rafforzano: e a questa regola non
è praticamente sfuggito alcun vino d'oltralpe, neanche quelli
dai nomi giustamente o ingiustamente celebri. Sono anni che partono
dalla Puglia mosti e vini che danno tono e timbro ai sempre più
fragili vini di Francia e di Germania: dietro etichette di prestigio
ci sono gradazioni alcoliche, pastosità, capacità di tenuta
dei vini del Salento, della Terra di Bari e del Brindisino. Non è
che le ragioni dei " vignarons " francesi dovessero essere
sottaciute o, quel che sarebbe stato peggio, messe a tacere. Ma che
si dovesse far vincere alla Francia la ormai famosa " guerra del
vino ", e gliela si facesse vincere senza condizioni, ai danni
di una agricoltura, come l'italiana, che già è costretta
a subire concorrenze mediterranee accanite (da parte dei Paesi del Maghreb,
si guardi il caso, ex colonie ed attualmente alleati della Francia!;
e poi dalla Grecia, dalla Turchia, e in particolar modo da Israele),
è per lo meno sospetto.
Quest'Europa, dunque, non piace e non va. Ma non è l'unico aspetto
che lascia perplessi. Ve ne sono altri, sempre nell'ambito dell'Europa
Verde, che creano contrasti e aggravano le incomprensioni fra i maggiori
partners. Esaminiamoli in rapida sintesi. Prezzi agricoli: l'aumento
medio del due per cento è ritenuto eccessivo dagli inglesi, ma
inadeguato da tedeschi, belgi, olandesi e danesi, mentre potrebbe andar
bene per gli italiani e i francesi, che si rifarebbero con la svalutazione
delle rispettive " monete verdi " (per l'Italia, la "
lira verde " viene svalutata del cinque per cento). Per quel che
riguarda il vino, l'Italia era contro un prezzo minimo troppo alto (la
Francia lo voleva vicino al novanta per cento del prezzo di scatto)
e contro un prezzo alla distillazione troppo modesto. Importi compensativi:
allo smantellamento sono contrari i Paesi con monete forti, mentre lo
reclamano quelli con monete deboli (fra i quali l'Italia), ad eccezione
della Gran Bretagna, che proprio su tali importi compensativi sta portando
a termine affari assai lucrosi. Pacchetto mediterraneo: aumentano le
voci contrarie (dicono che 1.750 miliardi di lire in cinque anni sono
troppi), e l'Italia, che ne doveva essere la principale beneficiaria,
è riuscita a malapena ad avvicinare le sue posizioni a quelle
francesi. Tuttavia, i finanziamenti destinati al nostro Paese sono stati
decurtati di 360 miliardi di lire, che corrispondono esattamente alla
cifra destinata alle regioni del Mezzogiorno.
Quanto all'olio d'oliva, c'è qualche spiraglio di speranza. Pare
che la Comunità europea si orienti su un aumento del due per
cento, al quale vanno aggiunte cinquantamila lire al quintale di sussidio
Feoga (Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola), più
una sovvenzione straordinaria compresa fra le tredicimila e le diciottomila
lire al quintale. A tutto questo, ci sono da aggiungere i vantaggi della
svalutazione della lira verde del cinque per cento.
Quello dell'olio d'oliva, dunque, malgrado la concorrenza della Spagna,
della Grecia e di alcune aree dell'Africa del Nord, è un settore
che registra misure di adeguata protezione da parte degli organismi
comunitari di Bruxelles. Del resto, non poteva essere altrimenti. L'Europa
Verde ha sempre aiutato e protetto le ricche economie lattiero-casearie
(dalla Germania Federale, al Belgio, all'Olanda, in modo particolare),
mentre per quel che riguarda le economie orto-frutticole il discorso
è stato parziale: chi ha pagato lo scotto di questa scelta politica
è stata proprio l'Italia, mentre la Francia, che ha un'economia
agricola mista (bestiame e ortofrutta) è venuta a trovarsi in
posizioni addirittura di assoluto privilegio.
Da queste considerazioni, i timori espressi dai produttori italiani,
da quelli meridionali particolarmente, sull'adesione di altri Paesi
alla Cee. Economie come quelle greca, turca, spagnola e portoghese,
fondate quasi esclusivamente su redditi del settore primario (le aree
industriali della Penisola Iberica sono assai modeste, quelle della
Grecia e della Turchia sono praticamente inesistenti a livello di concorrenza
con i Paesi della Comunità economica europea), una volta inserite
nel giro del Mercato Comune, finirebbero per danneggiare proprio il
nostro Paese, più che altri, nel quale i redditi agrari sono
una componente ancora troppo alta nella formazione del prodotto nazionale
lordo. Compressa e quasi schiacciata fra forme di privilegio dell'area
settentrionale e ingresso tumultuoso di prodotti a prezzi stracciati
dall'altra, l'agricoltura italiana conoscerebbe quasi subito il giorno
della malora.
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