Il giorno della malora




Enrico Surdo



Abbiamo perso la " guerra del vino " contro la Francia; abbiamo perso nella " maratona agricola "; rischiamo di subire la concorrenza accanita di alcuni Paesi del bacino mediterraneo a prevalente economia agricola: l'Europa verde che protegge le aree lattiero-casearie del Nord del continente può mandare in frantumi la nostra agricoltura, aggravando il deficit agro-alimentare italiano.

L'"operazione charme" del commissario europeo e del ministro dell'agricoltura italiano nei confronti di chi guida le sorti dell'Europa Verde è praticamente naufragata. Questi ha fatto adottare dalla Commissione esecutiva della Comunità Economica Europea un nuovo regolamento vinicolo, che è in aperto contrasto con gli interessi dell'Italia, e che accoglie, quasi alla lettera, la maggior parte delle richieste della Francia.
Fra i vari provvedimenti contenuti nel regolamento in questione, spicca l'introduzione - in caso di " grave crisi " del mercato - del principio dei prezzi minimi obbligatori. In altri termini: saranno vietate le transazioni del vino al di sotto di un prezzo stabilito in precedenza (il settanta per cento del prezzo indicativo). Dal momento che l'Italia, da qualche anno , è accusata di esportare vino in Francia a prezzi troppo bassi, è evidente che il provvedimento tende a proteggere gli interessi dei viticoltori francesi.
Come il governo italiano - ammesso che il regolamento in questione venga approvato dal Consiglio dei ministri dell'agricoltura della Cee, cosa tutt'altro che improbabile -possa giustificarsi di fronte ai propri produttori, non è dato di sapere. Se poi - sottolineano gli osservatori economici a Bruxelles - la delegazione italiana desse via libera al regolamento elaborato in sede comunitaria, si potrebbe, a giusto titolo, parlare di " suicidio vinicolo ". E si tratterebbe di un autolesionismo grave, dal momento che quello del vino è uno dei pochi settori agricoli italiani che vive anche sulle esportazioni.
Ma c'è di più. Il nuovo regolamento vinicolo della Comunità economica europea infrange apertamente le regole della libera circolazione delle merci all'interno del Mercato comune. Una violazione giuridica tacitamente accettata per favorire il governo francese alle prese con una serie di problemi, anche politici, non proprio semplici? Sembra di sì. Ma non è che il nostro Paese ne abbia di minori e di meno complicati. E, oltre tutto, non si capisce proprio perché a farne le spese debba essere proprio l'Italia, che non sa come risanare il proprio deficit agro-alimentare. Va da sé che, quando diciamo l'Italia, intendiamo parlare soprattutto delle regioni meridionali, e, nell'ambito di queste, della Puglia, massima area produttrice di uve da vinificazione a livello non solo italiano, ma europeo. Sono anni, ormai, che i produttori francesi " tagliano " i loro vini con quelli pugliesi, li vivificano e rafforzano: e a questa regola non è praticamente sfuggito alcun vino d'oltralpe, neanche quelli dai nomi giustamente o ingiustamente celebri. Sono anni che partono dalla Puglia mosti e vini che danno tono e timbro ai sempre più fragili vini di Francia e di Germania: dietro etichette di prestigio ci sono gradazioni alcoliche, pastosità, capacità di tenuta dei vini del Salento, della Terra di Bari e del Brindisino. Non è che le ragioni dei " vignarons " francesi dovessero essere sottaciute o, quel che sarebbe stato peggio, messe a tacere. Ma che si dovesse far vincere alla Francia la ormai famosa " guerra del vino ", e gliela si facesse vincere senza condizioni, ai danni di una agricoltura, come l'italiana, che già è costretta a subire concorrenze mediterranee accanite (da parte dei Paesi del Maghreb, si guardi il caso, ex colonie ed attualmente alleati della Francia!; e poi dalla Grecia, dalla Turchia, e in particolar modo da Israele), è per lo meno sospetto.
Quest'Europa, dunque, non piace e non va. Ma non è l'unico aspetto che lascia perplessi. Ve ne sono altri, sempre nell'ambito dell'Europa Verde, che creano contrasti e aggravano le incomprensioni fra i maggiori partners. Esaminiamoli in rapida sintesi. Prezzi agricoli: l'aumento medio del due per cento è ritenuto eccessivo dagli inglesi, ma inadeguato da tedeschi, belgi, olandesi e danesi, mentre potrebbe andar bene per gli italiani e i francesi, che si rifarebbero con la svalutazione delle rispettive " monete verdi " (per l'Italia, la " lira verde " viene svalutata del cinque per cento). Per quel che riguarda il vino, l'Italia era contro un prezzo minimo troppo alto (la Francia lo voleva vicino al novanta per cento del prezzo di scatto) e contro un prezzo alla distillazione troppo modesto. Importi compensativi: allo smantellamento sono contrari i Paesi con monete forti, mentre lo reclamano quelli con monete deboli (fra i quali l'Italia), ad eccezione della Gran Bretagna, che proprio su tali importi compensativi sta portando a termine affari assai lucrosi. Pacchetto mediterraneo: aumentano le voci contrarie (dicono che 1.750 miliardi di lire in cinque anni sono troppi), e l'Italia, che ne doveva essere la principale beneficiaria, è riuscita a malapena ad avvicinare le sue posizioni a quelle francesi. Tuttavia, i finanziamenti destinati al nostro Paese sono stati decurtati di 360 miliardi di lire, che corrispondono esattamente alla cifra destinata alle regioni del Mezzogiorno.
Quanto all'olio d'oliva, c'è qualche spiraglio di speranza. Pare che la Comunità europea si orienti su un aumento del due per cento, al quale vanno aggiunte cinquantamila lire al quintale di sussidio Feoga (Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola), più una sovvenzione straordinaria compresa fra le tredicimila e le diciottomila lire al quintale. A tutto questo, ci sono da aggiungere i vantaggi della svalutazione della lira verde del cinque per cento.
Quello dell'olio d'oliva, dunque, malgrado la concorrenza della Spagna, della Grecia e di alcune aree dell'Africa del Nord, è un settore che registra misure di adeguata protezione da parte degli organismi comunitari di Bruxelles. Del resto, non poteva essere altrimenti. L'Europa Verde ha sempre aiutato e protetto le ricche economie lattiero-casearie (dalla Germania Federale, al Belgio, all'Olanda, in modo particolare), mentre per quel che riguarda le economie orto-frutticole il discorso è stato parziale: chi ha pagato lo scotto di questa scelta politica è stata proprio l'Italia, mentre la Francia, che ha un'economia agricola mista (bestiame e ortofrutta) è venuta a trovarsi in posizioni addirittura di assoluto privilegio.
Da queste considerazioni, i timori espressi dai produttori italiani, da quelli meridionali particolarmente, sull'adesione di altri Paesi alla Cee. Economie come quelle greca, turca, spagnola e portoghese, fondate quasi esclusivamente su redditi del settore primario (le aree industriali della Penisola Iberica sono assai modeste, quelle della Grecia e della Turchia sono praticamente inesistenti a livello di concorrenza con i Paesi della Comunità economica europea), una volta inserite nel giro del Mercato Comune, finirebbero per danneggiare proprio il nostro Paese, più che altri, nel quale i redditi agrari sono una componente ancora troppo alta nella formazione del prodotto nazionale lordo. Compressa e quasi schiacciata fra forme di privilegio dell'area settentrionale e ingresso tumultuoso di prodotti a prezzi stracciati dall'altra, l'agricoltura italiana conoscerebbe quasi subito il giorno della malora.


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