Deficit alimentare in caduta libera




Raimondo Ruju



La bilancia commerciale chiude con un deficit di 2.222 miliardi (inferiore del 60% sull'anno precedente) come risultante del saldo attivo di 14.099 miliardi dell'industria manifatturiera (esclusa l'industria alimentare) e del saldo passivo delle industrie estrattive, petrolio compreso (-10.731 miliardi) e del settore agricolo-alimentare (-5.590 miliardi).
Il settore agricolo-alimentare, come di consueto, viene considerato nella sua accezione più ampia, vale a dire includendovi anche le voci agricole non alimentari (come il legno e i prodotti tessili) e le voci alimentari non agricole (come il pesce e la selvaggina). Il 70% circa dell'intero deficit agricolo-alimentare è dovuto al settore zootecnico nei diversi comparti: animali vivi, carni, prodotti lattiero-caseari, cereali foraggeri. I saldi negativi maggiori riguardano le carni, soprattutto bovine (-1.190 miliardi), i bovini vivi (-596 miliardi), il mais (-244 miliardi), i formaggi (-338 miliardi). Tuttavia, in termini quantitativi le importazioni zootecniche hanno registrato flessioni per quasi tutte le voci: 1,9 milioni di capi di bovini vivi contro 2,4 milioni nel 1976; 497 mila suini contro 686 mila; quaranta milioni di quintali di mais contro 46 milioni; 8,8 milioni di quintali di farina di soia e simili contro 9,6 milioni. Sono invece cresciute le importazioni di formaggi (due milioni di quintali, contro 1,8 milioni); di cereali foraggeri (13,9 milioni di quintali contro 12,4 milioni); e di latte. Pressoché stazionaria l'importazione di carni (6,2 milioni di quintali contro 6,1 milioni).
Al di fuori del settore zootecnico, i saldi passivi maggiori si riscontrano per il grano (-433 miliardi), per i semi oleosi, l'olio di semi e gli altri grassi (-492 miliardi), per il caffè (-646 miliardi), anche se la quantità importata è notevolmente diminuita (1,8 milioni di quintali contro 2,1 milioni del 1976), per lo zucchero (-154 miliardi).
Nel settore agricolo non alimentare i passivi più rilevanti sono dovuti al cotone (-298 miliardi) e al legno (-345 miliardi). Nel comparto alimentare non agricolo la voce che pesa maggiormente è il pesce (-186 miliardi).
Saldi attivi consistenti (tutti superiori a quelli del '76) per i settori tipici delle nostre esportazioni: ortaggi (+220 miliardi), agrumi (+103 miliardi), frutta (+760 miliardi). Mentre tuttavia per la frutta si è avuto un aumento della quantità esportata (21,2 milioni di quintali contro i 10,2 del '76), si sono registrate flessioni per gli ortaggi (8,9 milioni di quintali contro 9,9 milioni), e per il vino (10,9 milioni di ettolitri contro 13 milioni). Stazionaria l'esportazione di agrumi (4,8 milioni di quintali). Per quel che riguarda i prodotti tipici della nostra industria alimentare, va registrato un calo notevole nell'esportazione di riso lavorato (2 milioni di quintali contro 3,7), compensato tuttavia dall'aumento del prezzo (saldo attivo di 94 miliardi), e una forte espansione nell'esportazione di farine e di paste alimentari (saldo attivo di 155 miliardi). Per le conserve vegetali si è avuta una flessione nelle esportazioni di conserve e pelati di pomodoro (3,4 milioni di quintali contro 3,9 milioni), con un saldo attivo di 132 miliardi, e anche un decremento nelle esportazioni di ortaggi conservati, che superano di poco le importazioni (434 mila quintali contro 400 mila). In incremento invece le esportazioni di frutta lavorata e di succhi di frutta (3,8 milioni di quintali contro 3,5 milioni), con un saldo attivo di 157 miliardi.
Al fine giugno, il deficit agricolo-alimentare era pari a circa tremila miliardi. Si ipotizzò, così, anche in relazione all'andamento sfavorevole della campagna agraria, uno sbilancio a fine anno di oltre seimila miliardi di lire. Nel secondo semestre , invece, l'andamento del nostro interscambio ha registrato miglioramenti. Il saldo negativo, dunque, è stato di 5.590 miliardi. Nel 1976 il deficit risultò pari a 5.067 miliardi: l'incremento in termini monetari è dunque del 10,3% (sensibilmente inferiore alla svalutazione della lira), e deriva da un aumento delle importazioni del 16,2% (8.803 miliardi contro 7.572) e delle esportazioni del 28,3% (3.213 miliardi contro 2.505).
In conclusione, per quanto il nostro passivo resti pesante, si comincia a intravedere una sia pur lieve inversione di tendenza. Tendenza che, per abbassare lo sbilancio, deve passare per due direttrici obbligate:
1) un incremento delle esportazioni dei nostri prodotti tipici (frutta, agrumi, ortaggi, vino), da perseguire con la qualificazione delle produzioni, con una migliore funzionalità delle nostre strutture commerciali, con una regolamentazione comunitaria che tuteli e favorisca maggiormente i prodotti mediterranei (e su questo punto, abbiamo già registrato pesanti sconfitte);
2) una diminuzione nei consumi dei prodotti di cui siamo fortemente deficitari, soprattutto di carne; per i formaggi, occorre diminuire le importazioni e orientarsi verso il consumo dei prodotti interni, che sono assai variati e spesso pregiati.


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