Una scelta recessiva




Palmi Gaias



Secondo un documento " ufficiale ", nel 1978 si realizzerà soltanto uno sviluppo medio dell'1,7 per cento. La Confindustria invece calcola che, per creare centomila nuovi posti di lavoro, sia necessario raggiungere la soglia del quattro per cento.

Gli uffici economici dello Stato hanno predisposto un primo schema del bilancio economico nazionale per il 1978.Si tratta, è bene precisarlo, di stime che nel corso dei prossimi mesi potranno essere riviste e corrette. Tuttavia, la tabella che pubblichiamo è un documento ufficiale intorno al quale si è discusso con i " controllori " della Comunità economica europea venuti recentemente a Roma per conoscere le prospettive dell'economia italiana. I nodi irrisolti sono parecchi, ma nessuno regge il confronto - per la potenziale carica dirompente - con il problema dell'occupazione, quale si presenta alla luce del modesto tasso di crescita finora previsto. Le previsioni in termini reali indicano che il reddito nazionale non supererà la soglia dell'1,7 per cento. La base di questa ipotesi si regge su un aumento delle importazioni del 4,5 per cento, dei consumi delle famiglie dell'1,5 per cento (quelli collettivi saliranno dell'1,7 per cento), di una caduta degli investimenti fissi lordi dell'1,1 per cento. L'obiettivo: con una crescita (in linea con le ultime previsioni dell'Ocse) delle esportazioni del 6 per cento, è un saldo attivo dei conti con l'estero di 2.500 miliardi di lire.

Durante l'anno, i debiti in scadenza dell'Italia verso l'estero ammonteranno a poco più di quattromila miliardi di lire. Per farvi fronte, almeno in teoria, non sarà necessario, alcun negoziato con le istituzioni creditizie internazionali per un rinnovo di parte di questi debiti. Per pagare, basterà prelevare la differenza delle riserve valutarie convertibili, giunte all'elevato livello di oltre settemila miliardi di lire. Non sappiamo bene in che misura le autorità monetarie abbiano valutato il limite entro il quale l'espansione del credito totale interno dovrà essere contenuta. L'ammontare del disavanzo complessivo del settore pubblico, " programmato " a 24 mila miliardi (ma forse supererà i 36 mila miliardi) fa ritenere che 21 settore privato si voglia almeno assegnare la stessa quantità di credito del '77, cioè circa 15 mila miliardi. Dal confronto fra i due anni, si ricava allora che l'incremento di quantità di credito da destinare alla parte produttiva del Paese è uguale al valore zero. Inoltre, poiché il finanziamento con il credito degli investimenti è dato dalla differenza tra l'espansione di credito globale e la quota di esso destinata alla copertura del disavanzo, se quest'ultimo, programmato a 24 mila miliardi, dovesse ulteriormente dilatarsi, risulterà ancora più accentuata la caduta degli investimenti. La compatibilità potrebbe essere mantenuta o con una maggiore creazione di moneta (nel qual caso, con la crescita dell'inflazione, salterebbe il quadro di riferimento), oppure ricorrendo a nuove imposte: a metà anno, sembra che prevalga l'orientamento verso questa seconda ipotesi. Il dramma dell'occupazione, quale si presenterà nel corso dell'autunno in modo particolare, in queste condizioni potrà assumere dimensioni allarmanti, con conseguenze accelerative delle tensioni sociali. La conferma viene anche dalla Confindustria, che nel suo " Documento economico " ha stimato, per consentire almeno la creazione di 100 mila nuovi posti di lavoro, una crescita del reddito oltre la soglia del 4 per cento. Un traguardo che la scelta recessiva fatta dalle autorità politiche riduce oggi a poco meno di un miraggio. L'alternativa (adottare, cioè, una strategia idonea a non penalizzare l'obiettivo dell'occupazione) passa ancora una volta attraverso la riduzione della spesa pubblica e il contenimento della dinamica salariale. Una decisione che spetta ai partiti e ai sindacati.
Tuttavia, da quel che si può intuire già da ora, le prospettive sono tutt'altro che rosee. Se l'accordo dell'Aeritalia prevede l'occupazione di mille unità (presumibilmente nell'arca campana, mentre non sembra ci siano più speranze in quella garganica), va tuttavia detto che si tratta di assunzioni nel medio periodo: per ora niente da fare; e, subito dopo, sarà necessario ricorrere prima di tutto alla qualificazione del personale da assumere e da destinare alle catene di produzione del settore aereo. E' una goccia, pur consistente, nel mare della disoccupazione giovanile italiana e meridionale, tanto più che questa è una disoccupazione sui generis, con giovani muniti di laurea o di diploma superiore; i periti scarseggiano, e, con tutta franchezza, quelli che ci sono sul mercato sono il prodotto tipico della scuola italiana, privi di approfondite conoscenze tecnologiche, disinformati sugli sviluppi delle tecniche più avanzate, digiuni degli elementi complessi e articolati dell'elettronica (anche a livello di laurea in ingegneria elettronica, a meno che non abbiano avuto la buona volontà di supplire con la propria iniziativa alle carenze fondamentali dell'università italiana, fatta eccezione per qualche centro superiore, come quello di Torino, altamente qualificato e qualificante).
A questi " vuoti " non si provvede nel breve spazio di un mattino. E d'altro canto, l'offerta di colletti bianchi di oggi somiglia fin troppo da vicino all'offerta di braccia e di muscoli che il Sud proponeva, con la sua prorompente vitalità, all'Italia e all'Europa a partire dagli anni Cinquanta. E' una storia che si ripete con estrema, sconcertante puntualità: tutta la differenza consiste nella " qualità " della materia grigia immessa sul mercato del lavoro, non sulla " quantità ": qualità che, essendosi notevolmente elevata, propone anche problemi di ordine organizzativo, culturale, civile, che non esistevano nei giorni delle migrazioni disperate e spesso irrazionali, quando ci si imbarcava su un " treno della speranza " solo per trovare un poco di pane, unica alternativa alla spaventosa miseria e all'arretratezza delle condizioni di vita che ci si lasciava alle spalle. C'è dunque una palese contraddizione tra piani programmatici pubblici e reali esigenze della società; permangono gravi squilibri, che possono essere all'origine - se i problemi che comportano e che, a monte, li determinano, non saranno risolti, e a ritmo piuttosto celere - di altri scompensi, non solo di ordine economico, ma anche politico e sociale. Se l'ottica dell'occupazione giovanile non sarà focalizzata in senso meridionalista, malgrado lo sviluppo che innegabilmente è stato realizzato in questi ultimi decenni nel Paese e nel Mezzogiorno, ci ritroveremo al punto di partenza. Anni di cosiddetta " politica meridionalistica " saranno trascorsi invano: si sarà solo ingenerato il ragionevole dubbio che chi guida le sorti del Paese (al timone e al controtimone, cioè nella maggioranza o nell'opposizione) abbia solo contribuito a ricreare un evidente alibi a quello che è il dato permanente della società italiana dall'Unità ad oggi: una parte ,di regioni sviluppate, ad alta concentrazione industriale, e una parte ridotta a puro mercato di consumo, a sbocco per merci e prodotti provenienti dall'area privilegiata. Solo che ora cresce il numero delle coscienze che non stanno più a questo gioco.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000