Non sono pochi gli
scrittori che, specialmente in questi ultimi due secoli, si sono occupati
della chiesa di S. Caterina, sia pure con intendimenti e risultati diversi.
Pare tuttavia che le notizie relative alla sua origine sono state tramandate
da un autore all'altro senza una vera documentazione critica: ordinariamente
la data della fondazione è stata stabilita sull'autorità
del cronista francescano Padre Bonaventura da Lama e dello scrittore locale
Papadia Baldassarre, i quali a loro volta si sono certamente serviti di
alcune Bolle pontificie di non facile interpretazione.
In verità non è mancato chi, in seguito ad attente riflessioni
sui pochi documenti pervenutici e a diligenti osservazioni condotte sulle
strutture del tempio, ha proposto una datazione diversa; ma ogni ipotesi
avanzata in merito è stata poi ignorata o decisamente scartata
con fragili argomentazioni.
Personalmente non sono molto convinto delle affermazioni del Da Lama e
di quanto ha ripetuto lo stesso Papadia. Quest'ultimo asserisce di aver
consultato con diligenza l'archivio conventuale di S. Caterina e quello
di Monte Oliveto, a Napoli, dove erano stati trasportati molti documenti
originali o in copia del monastero di S. Caterina Novella (oggi Parrocchia
S. Biagio) riguardanti, almeno in parte, la nostra chiesa. In sostanza,
però, non fa altro che accogliere quanto settanta anni prima aveva
scritto il cronista francescano. Ora, se pensiamo che questi due autori
nonostante la loro vasta cultura hanno detto cose errate sulla paternità
degli affreschi - il Da Lama li attribuisce con estrema disinvoltura a
Giotto in persona e il Papadia li assegna in blocco a Francesco d'Arezzo
solo perché accanto al quadro votivo di S. Antonio abate si legge
" Franciscus de Arecio fecit anno 1432 " - allora ci si rende
conto che anche le loro affermazioni sulla data di costruzione della chiesa
hanno bisogno di una verifica.
E' quanto mi propongo di fare con questo mio modesto intervento che non
ha lo scopo, sia ben chiaro, di risolvere ma unicamente di suscitare il
problema. Esporrò i miei dubbi sulla versione tradizionale e cercherò
di valutare le ipotesi di chi ha attribuito a Raimondello Del Balzo solo
la ricostruzione della basilica.
VERSIONE TRADIZIONALE
Nel secolo XIV la
maggior parte del Galatinesi parlava la lingua greca ed era perciò
naturale che i riti sacri si celebrassero secondo il rito greco; esisteva
tuttavia una minoranza di latini che non riusciva a capire il senso
delle preghiere. Il signore del luogo Orsini Del Balzo Raimondo (detto
più comunemente Raimondello), intendendo seguire nella propria
lingua - quella latina - la sacra liturgia e dare ai sudditi la stessa
possibilità, d'accordo con il Papa Urbano VI fece edificare la
chiesa di S. Caterina ove si desse impulso ai riti latini. Vi aggiunse
l'attiguo ospedale (oggi Palazzo di Città) per accogliere gratuitamente
gli infermi poveri di Galatina e dei paesi vicini; eresse infine un
convento per i francescani ai quali fu conferito, insieme con la cappellania
dell'ospedale, l'incarico di officiare in latino nel tempio cateriniano
e di diffondere la latinità nei vicini paesi d'Oriente. Per questo
motivo ai francescani di Puglia, invitati in un primo momento, vennero
preferiti i Minori Osservanti che erano impegnati nella Missione della
Bosnia.
I documenti da cui gli storici hanno attinto queste notizie sono le
due Bolle Piis votis e Sacrae vestrae spedite da Urbano VI, rispettivamente,
a Raimondello e al Ministro provinciale dei Frati Minori, e l'altra
Bolla Pia vota concessa da Bonifacio IX al Vicario degli Osservanti
Bosnesi. Ma su tali documenti torneremo in seguito.
OPINIONE DEL CUTOLO
L'esame stilistico
del monumento suggerisce al Cutolo l'ipotesi che l'edificio possa con
ragione essere datato nella metà del secolo XIII.
" A chi guardi la Chiesa nella sua costruzione architettonica -
egli scrive - essa apparirà come un edificio romanico pugliese
del periodo più maturo. Il portale maggiore e la decorazione
frontale sono elementi sicuri della costruzione romanica. L'interno
non fa che confermare l'impressione che desta l'esterno, con i pilastri
a fasce, con le volte a crociera in cui gli archi ogivali con lieve
sovrassesto sono l'espressione, in questa chiesa, di quell'ogiva sicula
di origine araba che per opera dei conquistatori normanni fu dalla Sicilia
trasportata in Puglia. Come pure di evidente origine sicula è
il tiburio poligonale che qualcuno, tratto in inganno dalla decorazione
del tetto, volle attribuire alla metà del secolo XV e alla pietà
di Giovanni Antonio Del Balzo Orsini ".
Dopo aver esposto il suo pensiero, lo scrittore napoletano passa a combattere
le affermazioni dei diversi autori che vogliono fondata la chiesa tra
il 1384 e il 1391.
" Il Papadia e quanti a lui attinsero - egli continua - confondono
la data della fondazione della chiesa con quella del convento che, fuor
di dubbio, è opera di Raimondo Del Balzo Orsini. Cosimo De Giorgi,
nel suo lavoretto La Chiesa di S. Caterina in Galatina e la torre quadra
di Soleto, affermando con vigore una tale tesi, cita a conforto due
bolle, l'una di Urbano VI, l'altra di Bonifacio IX; ma anche in esse
si confusero la fondazione del convento e i lavori di restauro della
chiesa, e si scrisse il verbo fundari per l'un edificio e per l'altro
".
Come si vede, l'opinione del Cutolo è basata sulla rassomiglianza
di S. Caterina con altre chiese romaniche pugliesi dei secoli XI e XII.
In realtà, l'impostazione del protiro segue i modelli diffusi
in terra di Bari; il portale si ricollega con esperienze precipue in
provincia di Lecce (si pensi, per esempio, al portale di S. Maria a
Cerrate presso Squinzano e all'altro dei SS. Nicolò e Cataldo
in Lecce); i pilastri con fasci di semicolonne addossate alle pareti
sono identici a quelli dell'antica chiesa di S. Nicola di Càsole
presso Otranto. Anche i capitelli, nella scelta dei soggetti floreali
e mitologici, ricalcano il repertorio dello stile romanico e, come in
altri edifici della regione, mostrano persistenti reminiscenze bizantine
nelle palme erette o a girali, nelle volute ad " esse ", nei
rilievi chiaroscurali. Penso tuttavia che il solo richiamo stilistico
tra due monumenti non basti a provare che essi abbiano avuto origine
nello stesso secolo: potranno essere contemporanei come pensiero, non
necessariamente come data. Del resto, se nella nostra chiesa la linea
architettonica è sempre legata alla grande arte romanica pur
tra espressioni di sensibilità goticheggiante, l'impianto a cinque
navate differenzia notevolmente S. Caterina da tutti gli edifici sacri
della regione e ne rende difficile un vero confronto.
Riguardo, poi, al tiburio o abside ottagonale non ci sono dubbi: le
conclusioni del Cutolo sono errate, perché in ogni lato esterno
della costruzione si vedono murati gli stemmi di Giovanni Antonio Orsini
e della moglie Anna Colonna, il che sta a dimostrare che tale ampliamento
fu eseguito per commissione di questi principi e durante la loro signoria,
cioè tra il 1417 e il 1463.E' vero che l'abside cateriniana rivela
alcune " tendenze arabo-siciliane ", ma essa contiene pure
affinità più strette e specifiche con modelli di architettura
quattrocentesca del continente, ad esempio col palazzo Petrucci di Napoli
nato per la famiglia Del Balzo e con il tempietto di S. Giacomo di Vicovaro
costruito dai Del Balzo-Tagliacozzo. L'analogia con tali edifici si
sostanzia nell'impostazione del tamburo a otto facce con finestre e
riguarda vari altri elementi che, se sono propri di un'architettura
arabo-siciliana trasportata in Italia dai Normanni, furono poi adottati
dagli Angioini con innesto di moduli francesi. Infatti le colonne radiali
che scandiscono l'abside, i finestroni strombati sostenuti all'esterno
da mensole con archetti ciechi, l'arco di tali finestroni inquadrato
in una cornice rettangolare ripiegata con un sistema detto " a
giogo " e la copertura piramidale fatta a scale a " ad modum
franciae " mostrano con evidenza l'arte angioina-durazzesca che
vede gli accenti gotici stemperati in un classicismo quasi rinascimentale.
La stessa decorazione della cupola, ov'è dipinto lo stemma Chiaromonte-Aragona
(proprio di Isabella Chiaromonte, nipote di G. Antonio Orsini e sposa,
fin dal 1444, del re Ferrante d'Aragona) , ci obbliga a ritenere l'abside
ottagonale posteriore a tutto il resto della chiesa e databile intorno
alla metà del quattrocento.
Certo, l'ipotesi del Cutolo rimane sempre affettante se riferita alla
sola parte romanica dell'edificio e, qualora fosse provata con solidi
argomenti, sarebbe di aiuto per affrontare la difficile questione dei
diversi strati di affreschi che si notano sulle pareti della nostra
chiesa. Allo stato attuale non ci sono documenti sicuri per collocare
nel duecento S. Caterina, né i pochi affreschi di primo strato
ricavati dal retrospetto della facciata sono stati fatti oggetto di
studio da parte di competenti perché se ne possa stabilire l'epoca
di esecuzione. In favore dello scrittore napoletano si potrebbe invocare
l'unica testimonianza dell'artigiano locale Pietro Guerrazzi che, invitato
nel 1949 a rinnovare gli antichi portoni laterali, avrebbe letto su
di essi la data MCCLXXX (1280); ma i vecchi infissi vennero distrutti
e oggi rimane impossibile verificare una testimonianza che sarebbe veramente
preziosa ai fini della nostra ricerca.
OPINIONE DEL BLASI
Più vicino
alla versione tradizionale è il Padre Blasi, il quale distribuisce
la costruzione della basilica in diversi tempi: sarebbe sorta per volere
di Raimondo Del Balzo accanto ad una cappella di rito greco e ristrutturata
dal nipote Raimondello Del Balzo Orsini; venne poi completata dal figlio
di quest'ultimo, Giovanni Antonio.
" La Chiesa, eretta dalle fondamenta (per opera del conte Raimondo)
aveva tre navate con due deambulatori. Al posto dell'odierno presbiterio
vi doveva essere un'abside rotonda. Le pareti della navata maggiore
erano lisce, senza le odierne campate; le finestre fatte un po' rozzamente,
senza una perfetta corrispondenza fra di esse. La nuova costruzione
indicava il primitivo nascere dello stile archiacuto, così timido
e goffo nei grandi arconi ". Subentrato nella contea di Soleto
il nipote Raimondello, questi - scrive ancora il Blasi - volle abbellire
la chiesa ed erigere un convento per i francescani. Divise, pertanto,
la navata centrale in campate e la rafforzò con muri di sostegno;
vi aggiunse la quarta campata o presbiterio e l'attuale sacrestia.
Il Blasi ci assicura di aver tratto, in favore della sua opinione, sufficienti
indicazioni dalle strutture dell'edificio e di aver attinto preziose
notizie dal cronista olivetano D. Secondo Lancellotto che, con le sue
opere Historiae Olivetanae e Il Mercurio Olivetano, è stato il
primo scrittore a occuparsi della nostra chiesa. Ebbene, tralascio per
ora l'esame delle strutture e riporto le informazioni che il cronista
olivetano del primo seicento ci dà in lingua latina.
" Multos annos Ursini, qui de Baltio dicuntur, principatum in Sancto
Petro Galatinium tenuerunt... Graece Sacrae Odes recitabantur; Latini
eas non percipientes ac sensu audiendae psolmodiae cupidissimi, quod
sancte expetebant Raymundo de Baltio Principi detulerunt. Raymundus
suis aeque ac sibi eo valde propendenti gratissimum facturus in S. Petro
Domicilia cum Aede S. Catharinae Virgini et Martyri consecrata extruxit,
quo Minoridas inferret divina officia latine tractaturos. A Pontifice
Urbano V anno salutis 1369 ut Coenobium nuper excitatum acciperent Franciscani
impetratum est (in S. Pietro di Galatina dominarono per molti anni gli
Orsini Del Balzo... I latini non riuscivano a comprendere la liturgia
che si celebrava in greco; ma essi, vivamente bramosi di penetrare il
significato della salmodia, manifestarono il loro santo desiderio al
principe Raimondo Del Balzo. Questi, volendo compiere cosa graditissima
ai sudditi e a se stesso, costruì a Galatina un'abitazione insieme
con una chiesa dedicata a S. Caterina V. e M., per farvi venire i francescani
e farli celebrare in latino. Nel 1369 si ottenne da Urbano V che i Frati
Minori ricevessero il convento da poco edificato).
In base a tale testimonianza l'origine della basilica insieme con la
venuta dei francescani e l'introduzione del rito latino sarebbero da
collocarsi in un periodo di pochi anni antecedente a quello voluto da
quasi tutti gli altri scrittori. Ma possiamo fidarci appieno del cronista
olivetano che, mentre pone la costruzione di S. Caterina nel 1369 e
sotto il pontificato di Urbano V, l'attribuisce alla pietà di
Raimondello Orsini Del Balzo? Si sa, invece, che in quell'anno dominava
a Galatina lo zio Raimondo Del Balzo e che l'Orsini divenne signore
del luogo dopo il 1381. Il Blasi prende per buona la data e, naturalmente,
colloca l'origine di S. Caterina al tempo di Raimondo.
VERIFICA DELLA VERSIONE
TRADIZIONALE
Si deve anzitutto
rettificare che le due bolle di Urbano VI, concesse il 25 marzo nel
settimo armo di pontificato e comunemente ritenute come inviate da Lucera,
furono invece spedite dal Castello di Nocera, e che il settimo anno
di pontificato non corrisponde al 1384 ma al 1385, anche perché
Urbano VI si trovò assediato a Nocera da Carlo III di Durazzo
nel periodo che va dal giugno 1384 al 7 luglio 1385. Fu appunto in questo
tempo che Raimondello, eludendo la vigilanza del re Carlo, entrò
con le sue milizie a Nocera, poté ottenere le bolle e, liberato
il pontefice, lo condusse fino a Barletta di dove poi lo fece salpare
per Genova.
Tentiamo ora d'interpretare le bolle urbaniane, di cui purtroppo esistono
soltanto delle copie: gli originali, una volta conservati presso l'archivio
conventuale di S. Caterina, furono raccolti o trascritti negli Atti
della R. Camera summaria di Napoli sotto il titolo Acta pro observantia
hospitalis S. Catherinae e pubblicati da Baldassarre Papadia. Ebbene,
proprio riguardo all'origine di S. Caterina e all'introduzione del rito
latino in tutte e due le bolle si trovano affermazioni contraddittorie
che, stranamente, non sono state avvertite dagli storici. Dapprima si
dice che a Galatina la liturgia si svolge solamente in lingua greca
(divina officia dumtaxat Graeca lingua celebrantur), poi si aggiunge
che nella chiesa di S. Caterina si celebra secondo il rito romano (in
qua ecclesia S. Catharinae divina officia lingua latina celebrantur);
si fa riferimento alla supplica rivolta dai Frati Minori di poter ricevere
il convento con la chiesa di S. Caterina (petitio recipiendi locum cum
ecclesia), e subito dopo si dà chiaramente ad intendere che i
religiosi già si trovano a Galatina perché la celebrazione
secondo il rito romano avviene a cura dei francescani (per Fratres dicti
Ordinis Minorum). Francamente non si sa che cosa pensare in merito:
il Papadia ha commesso un errore di trascrizione riportando in indicativo
(celebratur = si celebrano) ciò che avrebbe dovuto scrivere in
congiuntivo (celebrentur = perché dai francescani si celebri
in latino)? Ma forse gli originali contenevano proprio l'indicativo
e, per la conseguente difficoltà d'interpretazione, un altro
cronista francescano, padre Diego da Lequile, segnalando nel 1647 i
documenti dell'archivio cateriniano, dovè ignorare di proposito
le bolle urbaniane e ricordare soltanto la bolla Pia Vota con cui Bonifacio
IX concedeva, il 30 agosto 1391, la nuova abitazione e la chiesa al
Vicario dell'Osservanza. Anche il Da Lama, che, nel tracciare le monografie
delle singole Chiese e Case religiose di Puglia, rivela di aver utilizzate
le scritture degli archivi conventuali ancora ben custoditi all'inizio
del settecento, pur collocando nel 1385 l'origine di S. Caterina non
cita le bolle di Urbano VI e si limita a menzionare di questo papa un
Breve spedito nell'ottavo anno di pontificato (1386) in favore di "
chi visiterà la Chiesa il giorno di detta Santa (Caterina), alle
25 Novembre ".
Il De Giorgi, invece, trova abbastanza chiaro il testo dei documenti
pontifici, giacché non dubita di trarne conclusioni ben precise.
In polemica col Bernich e con quanti altri pensano alla preesistenza
di una cappella greca o ad una riedificazione della basilica, afferma
che, all'atto di emissione delle due bolle urbaniane, tanto la chiesa
quanto il convento di S. Caterina erano stati da Raimondello fondati
e affidati ai francescani, i quali non solo vi si erano trasferiti ma
celebravano secondo il rito romano. Determina, perciò, l'inizio
dei lavori fra il 1381 (anno in cui l'Orsini prese possesso della contea
di Soleto) e il 1384 (anno in cui il De Giorgi data le bolle); basandosi,
poi, sull'espressione " Raymundus de Baucio de Ursinis quendam
locum cum Ecclesia construi fecit ", contenuta nella bolla Pia
vota di Bonifacio IX, stabilisce la fine della costruzione entro l'anno
1391. Ora, stando a quanto vuole lo scrittore leccese, dovremmo accettare
che Raimondello, impegnato in continue battaglie e talvolta sprovvisto
del denaro spettante alle milizie mercenarie, avesse profuso somme ingenti
per fondare e per portare a termine nel giro di pochissimi anni il vasto
complesso cateriniano. Dovremmo anche concludere che i francescani si
fossero insediati a Galatina per solo volere dello stesso Raimondello
e senza aver prima ottenuto l'autorizzazione pontificia, il che è
assolutamente in contrasto sia con la regola e la storia dell'Ordine,
sia con alcune norme emanate da Bonifacio VIII e ricordate nella stessa
bolla Sacrae vestrae: " ne Fratres Ordinis Mendicantium in aliqua
civitate vel villa ad habitandum domos vel loca quaecumque de novo reciperent
vel jam recepta mutare praesumant ".
Tutto invece ritorna più logico se si dà fede al cronista
olivetano, il quale pone l'arrivo dei Minori nel 1369 in seguito a regolare
licenza di Urbano V. Anzi, facendo credito al Lancellotto, diventa meno
difficile la lettura delle bolle pontificie e si giunge perfino a ricostruire,
insieme con l'origine della Chiesa, le prime vicende dei Frati Minori
a Galatina. Mi permetto di sottoporre al lettore come io vedo completarsi
insieme la cronaca olivetana con i documenti pontifici e come tento
di spiegare perché ai francescani di Puglia, destinatari della
bolla Sacrae vestrae, siano stati poi sostituiti i Religiosi Osservanti
della Bosnia. " Ai francescani, presenti in città fin dal
1369 e incaricati di celebrare secondo il rito romano, Urbano VI concede
nel 1385 il permesso di ricevere il convento che Raimondello sta facendo
costruire di sana pianta o forse soltanto ingrandire accanto alla chiesa
di S. Caterina, anch'essa destinata ad essere ampliata e decorata di
affreschi allo scopo di attirare i fedeli alle celebrazioni in latino.
Nonostante i mezzi impiegati in favore dei frati, molto scarsi sono
i risultati ottenuti nella diffusione della latinità; per questo
motivo, su richiesta dell'Orsini, nel 1391 Bonifacio IX permette ad
un missionario francescano, cioè al Padre Bartolomeo d'Alverna,
di occupare il convento e di scegliere in ogni parte dell'Ordine (de
quibuscumque conventibus Ordinis eligendos) altri religiosi appartenenti
al ramo dell'Osservanza che siano capaci di realizzare il programma
di Raimondello. I nuovi frati, consapevoli dei compiti loro affidati,
mantengono alto il prestigio della chiesa romana e, ricevuti poi altri
dieci conventi per mezzo degli Orsini Del Balzo, pongono la loro sede
principale a Galatina da cui partono verso l'oriente per sostenere la
Missione della Bosnia contro i Turchi invasori ".
In questa mia versione, oltre a supporre che l'Orsini abbia fatto introdurre
a Galatina gli Osservanti Bosnesi perché ritenuti più
adatti a diffondere la lingua latina tra i fedeli del luogo e fin nell'oriente
cristiano, alla frase " locum cum Ecclesia " ripetuta nelle
tre bolle pontificie ho dato il significato di " convento accanto
alla chiesa ", cioè, di una nuova casa unita alla già
esistente chiesa di S. Caterina. Mi rendo conto che l'interpretazione
non piacerà a molti, tuttavia io non ritengo possibile intendere
diversamente i documenti, perché in questi si afferma che, mentre
Raimondello curava la fabbrica di unum locum cum Ecclesia, i francescani
officiavano nella chiesa di S. Caterina. D'altra parte, è la
stessa bolla Sacrae vestrae a farci pensare che nel 1385 si stava lavorando
contemporaneamente attorno ad una nuova costruzione del convento e ad
una ristrutturazione di edifici esistenti: infatti, Urbano Vi nel concedere
la licenza ad habitandum si rifà alle prescrizioni di Bonifacio
VIII riguardanti sia l'occupazione di " nuove case " sia le
" modifiche " di locali già posseduti. Una conferma,
poi, che in quell'anno la chiesa di S. Caterina fosse aperta al culto,
la possiamo anche trovare nella cronaca del Padre Da Lama: come abbiamo
innanzi ricordato, in essa si legge che nel 1386, cioè alla distanza
di un solo anno dall'emissione della bolla Sacrae vestrae, il Papa largiva
speciali indulgenze a chi avesse onorato la santa d'Alessandria nel
tempio galatinese.
Se, dunque, nel 1385 già esisteva la basilica almeno nelle sue
strutture principali, viene spontaneo di chiederci chi ne sia stato
il fondatore. A questo proposito sembra che le maggiori probabilità
vadano per il conte Raimondo Del Balzo. Signore potente e generoso,
Raimondo mostrò una particolare predilezione per la città
di Napoli, dove fra l'altro fece edificare la grande basilica di S.
Chiara, e per Galatina che cinse di mura e favorì di non poche
franchigie. Se è vero che la chiesa di S. Caterina fu costruita
nel 1369, come afferma il Lancellotto, il mecenate di quest'opera d'arte
non potè essere altri che Raimondo. Si spiegherebbe così
perché nella nostra chiesa sia stata dipinta in affresco, insieme
con lo stemma Del Balzo, una solenne epigrafe di tredici esametri latini
in lode del conte soletano: l'iscrizione originale si trovava una volta
scolpita in S. Chiara di Napoli, la nostra è una semplice riproduzione
che starebbe a testimoniare quanta parte abbia avuto Raimondo nella
costruzione del tempio cateriniano.
A questo punto è bene completare le considerazioni sui documenti
scritti con l'esame dell'edificio sotto l'aspetto architettonico e strutturale,
per vedere se S. Caterina rispecchi un progetto unitario o se faccia
supporre diverse fasi costruttive. Ebbene l'osservazione della facciata
e un'attenta analisi dell'interno sembrano acuire dubbi in favore della
seconda ipotesi.
Una prima, sia pur vaga, indicazione possiamo ricavarla dall'amalgama
di stili e di tendenze riscontrabili in tutto l'insieme della chiesa:
ciò può essere dipeso non tanto da una fase di transizione
nella storia dell'architettura pugliese, quanto piuttosto da una ristrutturazione
dell'edificio. Si sa che la Puglia, terra di transito obbligato, è
stata sempre ricettiva ad influssi di molteplice estrazione, per cui
riesce assai difficile formulare definizioni inevitabilmente riduttive
circa lo stile delle chiese tardomedievali. Tuttavia, nel caso particolare
di S. Caterina notiamo che il sostrato romanico, fortemente presente
nelle proporzioni delle navate e nel ritmo ascendente delle campate,
poco si armonizza con l'archeggiatura interna alquanto rozza, chiaramente
gotica e vagamente assisiate: più che di confluenze stilistiche
qui si deve parlare di diverse tendenze dovute probabilmente a due momenti
costruttivi.
Una variazione del progetto iniziale si potrebbe vedere nella facciata:
questa, agile nella linea e movimentata dal gioco di arsi e tesi creato
dalle cuspidi e dai portali, perde un po' della sua armonia e della
sua bellezza a causa del lieve aggetto del corpo centrale che s'innalza
fin quasi a soffocare l'immenso rosone. Presumibilmente l'ingrossamento
della parete, non previsto nel progetto originario, si rese indispensabile
in seguito a modifiche e a maggiori spinte della volta.
Le notevoli differenze di stile riscontrabili nei portali suggeriscono
la conclusione che essi siano anche cronologicamente indipendenti. In
quello centrale la decorazione è senz'altro più matura
e consapevole, straordinariamente fine e morbida; negli altri due il
rilievo delle fasce di contorno è assai depresso, rozzo e stilizzato
Il contrasto è accentuato dalla scelta dei motivi ornamentali:
molti elementi figurativi del portale maggiore - testine, scene di caccia,
caprioli e pavoni - sono presi dal repertorio romanico; quelli dei portali
minori denunciano influssi più lontani, legati come sono ad un'arte
arabo-bizantina. La supposizione che i portali siano stati eseguiti
in tempi diversi appare sostenibile soprattutto riguardo a quello di
destra: qui la pietra usata per la costruzione è più compatta,
ma le corrosioni operate dal tempo non sono minori; vi è poi
sull'architrave un'iscrizione greca difficilmente conciliabile con la
politica di Raimondello che favorì soltanto il rito e la lingua
romana. Nell'interno della basilica le iscrizioni sono tutte latine
ad eccezione di una che è in volgare, ma di iscrizioni in lingua
greca non esiste la minima traccia. Si può, quindi, pensare che
il portale destro appartenesse ad una chiesetta bizantina e che poi
sia stato riutilizzato dall'Orsini.
Accogliendo una tale ipotesi e probabilmente fermando anche l'attenzione
sull'absidiola della navata destra ov'è dipinto, in secondo strato,
l'affresco della " Déisis " - un soggetto molto diffuso
nell'iconografia bizantina - il Blasi con il Bernich e il Tropea ha
affermato che nel luogo dove sorge S. Caterina esisteva una cappella
di rito greco dedicata alla Madonna; per far posto alla nuova costruzione
sarebbe stato necessario abbattere quasi interamente il tempietto, ad
esclusione appunto dell'abside che potè essere incorporata nella
basilica. Benché l'ipotesi del Blasi sia stata giudicata priva
di ogni fondamento dal Putignani, a mio avviso l'origine bizantina dell'absidiola
è molto attendibile; anzi ritengo che tutta la parte mediana
della navata corrisponda proprio all'antica chiesetta greca conservataci
quasi completamente ad eccezione della sua facciata e dell'abside principale.
Infatti, in seguito alla rimozione del vecchio intonaco dalle pareti,
ai due lati della zona affrescata sono apparse lesioni e larghe sconnessure
nella volta; si è pure notato che molti conci del muro perimetrale
sono collocati sulla stessa linea verticale: segno evidente, questo,
che in origine qui aveva termine la costruzione e che solo posteriormente
si lavorò per formare l'intera navatella.
Anche nella navata maggiore troviamo dei segni per ipotizzare due fasi
costruttive. Le prime tre campate ricevono la luce da sei grandi finestroni
strombati e da altrettante finestrelle. Bisogna sottolineare l'ubicazione
dei finestroni, che, stranamente, sono posti fuori asse rispetto agli
arconi sottostanti e ai costoloni superiori. Come spiegare tale asimmetria?
Essa dipese evidentemente dalla necessità di non privare il muro
dei supporti statici e, quindi, dall'opportunità di mantenersi
ad una certa distanza dalle finestrelle che nascondono grandi arcate
esterne, anche queste asimmetriche fra loro e non equidistanti dai pilastri
o fasci polistili. Secondo il Blasi, la navata aveva copertura diversa
(a capriate lignee?) ed era illuminata da ampie finestre poste nelle
arcate; sarebbe stata la successiva scansione in campate, contemporanea
alla copertura con volte a crociera, a richiedere muri di sostegno (riscontrabili
nella parte interna dei deambulatori e nell'avancorpo della facciata)
e la creazione di nuovi finestroni. Quelli originari si erano venuti
a trovare in posizione assolutamente irregolare nei nuovi scompartimenti
architettonici; potevano anche essere chiusi completamente, ma si volle
che, ridotti in piccole dimensioni, assumessero quasi una funzione "
illustrativa e commemorativa ".
Coevo alla creazione delle campate appare il presbiterio, perché
questo una volta era illuminato, come si può notare dall'esterno,
attraverso un finestrone longitudinale identico a quelli attuali della
navata maggiore: il finestrone fu poi ristretto prima che le pareti
interne venissero dipinte e infine fu chiuso interamente.
Quanto alla sacrestia si sono fatte due ipotesi: il Blasi l'assegna
a Raimondello, il Putignani la ritiene di molto posteriore all'abside
ottagonale. Il primo non ci dice su quali argomenti poggia la sua opinione;
il secondo, avendo osservato che il vicino finestrone dell'abside è
rimasto murato, ne attribuisce la chiusura alla successiva costruzione
della sacrestia. Ma il Putignani non avrebbe fatto una simile affermazione,
se avesse badato all'affresco della Madonna che è certamente
contemporaneo agli altri della chiesa; se poi avesse dato uno sguardo
alla parete esterna, si sarebbe accorto che la chiusura del finestrone
absidale fu causata non dalla costruzione della sacrestia ma da un suo
piccolo ampliamento, voluto dai frati per accedere direttamente nel
coro quando nel 1712 furono eseguiti gli stalli di legno.
Nell'esame del monumento abbiamo finora riscontrato dei semplici indizi
che, se ci fanno supporre più fasi costruttive, non ci consentono
tuttavia di individuare con certezza il nome del primo fondatore. Ci
sono invece segni sufficienti per stabilire che gli ultimi lavori, a
parte ovviamente quelli dell'abside, furono effettuati dopo il 1414,
cioè alla distanza di una decina di anni dalla morte di Raimondello,
e vennero commissionati dalla contessa di Lecce Maria d'Enghien.
Questa donna ricca e orgogliosa, pronta a vestire la corazza per la
difesa dei suoi domini e munifica nel promuovere opere di fede e d'arte,
dovè essere ben lieta di lasciare la sua impronta finale nella
basilica tanto cara al marito. Forse avrebbe voluto completarla al più
presto, ma ne fu impedita dalle tempestose vicende che la colsero d'improvviso.
Nel 1406 dovè trasferirsi a Taranto, piazzaforte sicura contro
gli assalti del re Ladislao che era sceso in Puglia per occupare i feudi
orsiniani; poi, l'amazzone guerriera, che aveva ricacciato l'esercito
regio, non seppe rifiutare l'offerta di matrimonio con Ladislao: salì
al trono in cerca di gloria, ma le passioni e gli intrighi di corte
la tennero prigioniera nelle sale di Castelnovo e priva delle sue ricchezze.
Solo con la morte di Ladislao, avvenuta nell'estate del 1414, la D'Enghien
potè rientrare nel possesso delle contee di Lecce e di Soleto,
godere una certa tranquillità e rivolgere mente e cuore alla
chiesa di S. Caterina. Non sappiamo con esattezza quanta parte di costruzione
rimanesse ancora da fare; ma è certo che mancavano il grande
rosone e alcuni o tutti gli archi rampanti: questo ci fa supporre che
non fossero innalzate nemmeno le cuspidi frontali, la parte superiore
dei muri perimetrali e forse le stesse volte a crociera. Che il rosone
sia stato scolpito dopo il 1414 lo dimostra tanto la sua ricca decorazione
con il persistente motivo del giglio angioino, quanto lo stemma in vetri
caleidoscopici racchiuso al centro. Erroneamente lo stemma è
stato finora interpretato come arma Del Balzo; esso invece raffigura
le insegne della famiglia d'origine di Maria (D'Enghien-Brienne) e quelle
degli Angiò-Durazzo inquartate dalla contessa di Lecce in virtù
del suo matrimonio con Ladislao. Il motivo del giglio si trova pure
scolpito sotto due archi rampanti della parete esterna sinistra, ed
è disseminato, anche se non proprio nella forma angioina, in
molte altre decorazioni della chiesa: bisogna perciò ritenere
che non poche opere di completamento della basilica furono dovute alla
pietà e alla munificenza di Maria D'Enghien.
Concludendo. Le considerazioni da me fatte sulla fondazione e la costruzione
di S. Caterina forse non troveranno favore e corrispondenza nel cuore
di quanti hanno seguito una storiografia volta ad elogiare l'Orsini
Del Balzo e a farlo considerare come il solo munifico mecenate della
basilica. Comunque, voglio precisare che non è stata mia intenzione
" dissacrare " e nemmeno ridimensionare il mito orsiniano.
Ho solo notato le perplessità che provengono dai documenti scritti;
mi sono richiamato a ipotesi che, con argomenti più o meno validi,
sono state proposte da alcuni autori, ho espresso opinioni che vengono
suggerite dalle strutture del tempio. Se qualche mia osservazione può
non essere condivisa da chi conosce e ama S. Caterina, si deve almeno
accettare che troppi dubbi hanno ancora bisogno di essere giustamente
risolti. Il problema, quindi, resta aperto e sollecita l'approfondimento
degli studiosi.
BIBLIOGRAFIA
BERNICH, L'Arte in Puglia. Il campanile di Soleto, Trani 1902.
BLASI GL, Galatina e la sua Gemma, Galatina 1934.
CUTOLO A., Maria D'Enghien, Galatina 1977.
DA LAMA B., Cronica dei Minori Osservanti Riformati della provincia
di S. Nicolò, II, Lecce 1724.
DE GIORGI C., La chiesa di Galatina e la torre quadrata di Soleto in
" Rivista storica salentina ", pp. 286-307.
PAPADIA B., Memorie storiche della città di Galatina, Napoli
1792.
PUTIGNANI A., Il Tempio di S. Caterina, Galatina 1947.
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