Ritorno in Puglia




Vittorio Roidi



Ero venuto in Puglia nel '57, per diporto. Ammaliato da Castel del Monte, incuriosito dai trulli, inghiottito dalle grotte di Castellana. Con la guida turistica in mano, il dito verso le facciate delle chiese romaniche: Ruvo, Ostuni, Acquaviva, Cerignola, e l'obiettivo della Rollei puntato alle architetture, ai panorami naturali, alle vestigia dei tempi antichi.
Ci sono tornato, dopo vent'anni, guardando agli uomini più che ai monumenti, per capire una regione che mi è apparsa subito diversa. Diversa da come la ricordavo, ma anche dalle altre del meridione d'Italia, del profondo, povero sud che da secoli arranca per emanciparsi, con le proprie sole forze, giacché i governi del Regno e della Repubblica, in più di cento anni dall'Unità, non sono riusciti a dare al " tacco " e alla " punta ", dignità pari alla parte superiore dello stivale.
Due sono state le prime sensazioni. Il segno più clamoroso delle trasformazioni: l'Italsider. Colpa della memoria debole e sbiadita, forse, ma a quell'epoca lo stabilimento stava appena sorgendo. Non c'erano gli altiforni, né le torri dell'acciaio, le ciminiere, le interminabili teorie di treni carichi di tubi di ghisa. Ricordavo vecchi braccianti curvi sulle piante di tabacco. C'erano ancora, ma la sera bevevano un bicchiere con gli operai, in tutto uguali a quelli di Gela, di Bagnoli, di Marghera. La seconda impressione, meno percepibile e spiegabile: l'acqua. Ora, ho pensato, l'acqua è arrivata, i campi sono irrigati, la terra produce. Politici e amministratori locali hanno risposto che avevo visto giusto. Ho ascoltato la storia leggendaria del grande acquedotto, uno dei più lunghi del mondo, 2700 chilometri, dicono, fra grandi condutture e diramazioni. " Milioni di persone vivono e lavorano grazie all'acqua del fiume Sele ", è " l'opera che ha salvato la regione " dicono tutti. Certo. Migliaia di ettari di territorio privi di sorgenti hanno sentito arrivare da lontano il loro nutrimento. Zappa, braccia e trattore hanno fatto il resto. Ma poi ti raccontano dei grandi serbatoi poco sfruttati, il Fortore, il Sinni, il Pertusillo, colossali raccolte d'acqua utilizzate solo in parte. Manca la rete di distribuzione. La Regione sta lavorando. I contadini aspettano. Luci e ombre. Ma prevale l'impressione che l'uomo abbia in parte superato gli ostacoli della natura. Quante zone della Calabria, della Sicilia, della Basilicata, della Sardegna, aspettano che si faccia altrettanto. E come sarebbe la Puglia se l'acquedotto non fosse stato costruito? Come sarebbero gli ottanta chilometri del Tavoliere e le Murge, nell'eterna attesa di una pioggia che, qui, non cade praticamente mai?
Che sia merito dell'acquedotto se alla Puglia hanno affibbiato la definizione di " locomotiva ", di " Lombardia del Sud "? Economisti e sociologi fanno presto a dimostrare che questa terra (segnata, pure, dalle grandi lotte bracciantili, dalle rivolte del '21 e del '48, che fissarono alcune pietre miliari del Risorgimento) è la meno derelitta, o la più avanzata, del nostro Sud. Sfruttata dai Greci e dai Romani, oppressa da Angioini, Aragonesi e Borboni, ci furono tempi in cui l'unica risorsa economica furono le pecore. Oggi, fra le regioni del Meridione, ha il reddito pro capite più alto, il più alto numero di posti letto negli ospedali, il più basso indice di infortuni in agricoltura. In assoluto, in Italia, è una delle regioni che spende più denaro per gli asili nido e in genere per l'assistenza.
Il segreto è nascosto nelle stratificazioni di civiltà che si sono innestate le une sulle altre, nella convivenza fra il presente e l'antico, nella varietà di costumi, di tradizioni, di riti, di culture, che si mescolano da millenni. Certo, il viaggiatore avverte che non sono i numeri freddi delle statistiche che contano, ché la cultura la senti sui muri bianchi delle masserie, nei casolari affondati fra le macchie di ginepro e rosmarino, nel profondo delle pinete mediterranee, sulle rocce carsiche delle Murge e, insieme, nelle botteghe dei ceramisti di Grottaglie, nei modi bruschi degli operai specializzati dell'Anic e della Snia, nelle stradette di Altamura, di Gallipoli, di Andria, di Martina Franca. Campagna, mare, cielo, sono i caposaldi della pubblicistica promozionale. Suggestione del paesaggio che superi e lasci da parte, per riflettere che l'evoluzione è stata lenta, ma continua, paziente, pur senza salti e sbalzi appariscenti. I colossi dell'industria non sono cattedrali isolate. Non sono sorte nel deserto. La rete delle imprese è a maglie larghe ma avvolge tutte e cinque le province e probabilmente non ha ancora espresso che una minima parte del suo potenziale. I miliardi sono del nord (o addirittura americani, tedeschi, svedesi) ma le grandi fabbriche ormai sono inserite, trapiantate lì dove una volta solo contadini e pastori avevano dimora. Un'operazione chirurgica che, nonostante tutto, in Puglia è riuscita meglio che altrove.
L'agricoltura è ancora il motore principale, con gli sterminati granai, i vigneti, gli olivi. Scopri che il problema per i pugliesi è di sfruttare appieno i loro prodotti, di commercializzarli, di evitare che siano altri a vendere e a guadagnare. Ci vogliono le cooperative, le società miste per organizzare l'esportazione, le scuole professionali di specializzazione, il coordinamento a livello politico.
Di disoccupati ce n'è tanti anche qui, ma la Puglia non è una " polveriera ". Tornano gli emigranti (fra il '51 e il '70 ne partirono più di 600 mila), bisogna trovare il modo per farli lavorare, anche se per chi è rimasto si è concretizzato lo spettro della cassa integrazione. Industria, in Puglia, vuol dire due cose: acciaio e chimica, prima di qualsiasi altra. La scelta dell'acciaio, dopo venti anni, non può essere giudicata negativamente. Il gigante di Taranto non ha maturato tutte le sue energie. Il cervello è nascosto a Roma. Le gambe sono rimaste gracili. Ha sofferto di una crisi di mercato di portata mondiale, ha risentito di una gestione forse discutibile e dell'inserimento in una realtà, umana e sociale nella quale obiettivamente era difficile irrobustirsi. L'Italsider non ha tirato dietro di sé la regione, come forse negli anni cinquanta qualcuno aveva sperato. Ma è pur vero che senza quella scelta quasi trenta mila famiglie vivrebbero con un salario 10-20 volte più basso. Nessuno può avere nostalgia per i vigneti cancellati dagli altiforni. Lo sforzo c'è stato, anche se errori, omissioni, incertezze e interessi contrastanti hanno, reso flebile la voce del gigante. Taranto ha comunque il più basso numero di emigranti, è una delle poche città del sud ad aver dato subito un'occupazione a migliaia di laureati. In una civiltà contadina l'avvento di una produzione avanzata come quella dell'acciaio va valutata sulla distanza di generazioni, non di anni.
La chimica è l'altra "idea ", per la Puglia. A Brindisi le materie plastiche, a Ferrandina le nuove fibre, a Manfredonia i fertilizzanti. Ottocento miliardi spesi in impianti dalle dimensioni colossali.
Ma i risultati sono scarsi se si pensa che meno del 10% del prodotto trova collocazione nella regione e che solo un altro 10% viene, esportato nei paesi del Mediterraneo. L'accusa è precisa. Creati i tre stabilimenti, è mancato un piano organico. Il triangolo è rimasto vuoto all'interno e privo di collegamenti. Non sono nate le industrie secondarie, le attività indotte. L'opportunità tecnologica che la chimica offriva non è stata sfruttata, non ha originato i contraccolpi positivi che tutti si attendevano. Torna il riferimento ad una mentalità incapace di guardare al progresso, legata indissolubilmente a secoli di vita agricola, ad attività manuali volte alla sopravvivenza più che a cambiare.
A chi spettava incentivare? Ai partiti, alla scuola, alle forze sociali? Occorreva fantasia, spirito imprenditoriale coraggio nelle iniziative. O veramente qualcuno non ha voluto che l'industrializzazione desse tutti i suoi frutti? E lo vuole ora veramente? Si sono udite in passato voci allarmate. Oscure Cassandre in questi anni hanno emesso tremendi vaticini sul futuro della regione, sul dissesto ecologico che i grandi impianti avrebbero provocato. L'esperienza ha dimostrato che gli allarmi erano infondati ma sono serviti purtroppo a frenare un processo di trasformazione che poteva e certo può ancora dare alla Puglia un volto e un benessere diversi. Più ancora che in Calabria e in Basilicata, la responsabilità futura dei politici è grande. Il turismo attende un autentico lancio, l'artigianato ha splendide risorse, la speculazione edilizia ha già fatto danni evidenti ma tanti patrimoni naturali possono essere ancora salvati. Ci sono centri e quartieri in condizioni di paurosa arretratezza. Ma l'impressione per il viaggiatore è che la Puglia abbia già trovato le armi per difendersi e sollevarsi. Occorrono uomini capaci di utilizzarle. I veri nemici sono l'ignavia, la sfiducia, l'inettitudine.

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