Il Salento è
una foresta di campanili e di chiese, questi sono i quadri in piazza,
sulle facciate e sui lati delle chiese e delle residenze nobili e alto-borghesi.
Tenera e obbediente, la pietra leccese è stata modellata, scolpita,
infiorata, " dipinta ": ed è arte popolare, di mastri
artigiani, o di artigiani-artisti, della tradizione di coloro che con
mani sapienti, ancora oggi lavorano marmi, argille e terrecotte.
Il Salento non ha
pittura. E questa della scarsezza della pittura sembra essere la più
gran lacuna artistica dell'intera regione pugliese, pure così
piena di gusto per l'arte e il culto delle cose belle. In città
così timbrate, è stato scritto, ci vorrebbe un pittore
volante come il Tiepolo, o quanto meno uno di quei fertili napoletani,
un Solimena, un De Mura; e c'è appena Oronzo Tiso, a Lecce, giusto
un surrogato del De Mura; e in quanto al Gianquinto, bisogna vederselo
a Madrid. Dunque, niente pittura, a parte certi affresconi antichissimi
e dissugati, di quelli buoni per l'iconografia o poco più, e
qualche Vivarini di campagna: un consuntivo in verità assai magro,
dato soprattutto lo splendore delle chiese, la sovrabbondanza dei palazzi,
in qualsiasi borgo, anche rurale, della Puglia e del Salento.
Tuttavia, ci si rassegna presto. Il Salento è una foresta di
campanili e di chiese, questi sono la pittura " in piazza ",
sulle facciate e sui lati si è dipinta la pietra, nel senso che
la tenera e obbediente pietra leccese è stata modellata, scolpita,
infiorata, " dipinta ": la pittura è qui, ed è
pittura di popolo, di mastri artigiani, o di artigiani-artisti, quale
non è dato vedere altrove.
In realtà, dire che nel Salento difetti la pittura è un
poco un paradosso. C'è la chiesa di Santa Caterina, a Galatina,
i cui interni sono semplicemente stupendi: si sta cercando di riportarli
agli antichi splendori, dopo le rovine apportate dal tempo e, in particolar
modo, dagli uomini; c'è la chiesa del Malladrone - così
è conosciuta - a Gallipoli, che, insieme con altre chiese di
quartiere, ha una serie di affreschi di valore locale; c'è il
magnifico esempio di Santa Maria delle Cerrate, che grazie all'intervento
di alcuni studiosi e restauratori di squisita sensibilità è
tornata alla luce, letteralmente, dopo secoli di abbandono; ci sono
decine, centinaia anzi, di cripte bizantine, i cui affreschi andrebbero
salvati con una serie di accurati interventi; e ci sono chiese di città,
di paese, di campagna, che occorrerebbe rivisitare, rimette in sesto,
e salvaguardare, perché formano un itinerario a sé, particolarmente
suggestivo, ricco di memorie locali, circondato di leggende popolari,
spesso originali, sempre nobili.
La pittura, dunque, a volerla cercare, c'è. Ma diciamo pure che,
in proporzione, è poca rispetto all'architettura religiosa e
civile, che ha avuto ben altro sviluppo, a volte imponente. Il fatto
è che l'architettura fu di per sé costruzione pittorica.
Il Riccardo e lo Zimbalo alzarono al cielo inni di pietra barocca e
canti platereschi. Altrove, in Lombardia e nel Veneto, ma anche a Urbino,
a Napoli, a Orvieto, in Sicilia, l'architettura barocca individuò
il gusto del lusso e dello sfarzo, ripetuto all'infinito, povero di
motivi differenziati, fino a che intervennero il Bernini e il Borromini,
che spazzarono via tutto e ci diedero quello che può chiamarsi
il "grande barocco". A Lecce, niente di tutto questo. Si era
nel Cinquecento, ma l'eredità normanno-aragonese non era data
affatto per morta. " Elementi come l'inquadratura dell'arco gotico,
e soprattutto la colonna angolare, tipica nei campanili campani, si
protraggono con varie interpretazioni fino alla fine del Settecento.
Perfino la plastica, come nella chiesa di Santa Croce, tende a retrodatarsi
su motivi ornamentali - leoni, aquile, grifi - esemplati su modelli
normanni: tutto ciò in una virginea coabitazione cori motivi
estratti da ruderi plastici romani ".
Così, l'urbanistica fonde l'architettura, e questa fonde la pittura.
Sistematicamente. Ciò è tanto più singolare in
quanto l'educazione prospettica italiana nelle strade pur meravigliose,
come Via Nuova a Genova, o Via Giulia a Roma, nell'Addizione erculea
di Ferrara, come nella piazza di Pienza, si è sempre astretta
ad un coordinamento prospettico degli edifici, ma non ha mai propriamente
" lavorato " il vano. Il punto di vista obbligato, che gli
sciagurati sventratori moderni ignorano per ignoranza culturale e per
ottusità congenita, è sempre in relazione alla visione
della ,singola architettura, non " in relazione alla strada pensata
essa stessa come architettura d'interno ".Eccolo, il segreto delle
strade dei paesi salentini, al centro dei quali fioriscono la piazza
con la chiesa o cattedrale, con il campanile, con i palazzi baronali,
con le dimore dell'alta borghesia del tempo. Non stupisce, dunque, se
piazza del Duomo, a Lecce, è un vasto cortile cui si accede attraverso
un portone, ma scoperto come una terrazza; se a Soleto il paese si è
sviluppato all'ombra del gigantesco campanile, visibile da decine di
chilometri di distanza; se intorno a questo campanile, che sembra essere
l'ombelico del Salento, son fioriti come per miracolo altri cento campanili,
in massima parte in età barocca; tutti accostati a facciate o
ai fianchi di chiese intorno alle quali si sviluppò il contado,
e dalle quali gli uomini ebbero ordinamenti religiosi e civili, indirizzi
per la conduzione delle colture, protezione e rifugio nei tempi difficili
delle invasioni e delle guerre e dei transiti e delle sanguinose successioni.
Impossibile citarli: ce n'è uno per paese in molti casi, più
d'uno. E ciascuno ricorda una storia, una vicenda locale, un giorno
di gloria di lutto. All'ombra di ciascun campanile sventola ancora una
bandiera accanita, sempre assai più nobile delle altre bandiere.
Ed è il campanile più bello: lì il popolo sbizzarrì
la sua fantasia, sulle alte facciate aprì nicchie e finestre
campanarie scolpì figure sacre e profane, alzò guglie
formidabili. Lì, e sui fronti delle chiese, scrisse con lo scalpello
(ma fu come dipingerli con il pennello) più che la propria storia,
le proprie leggende credenze, i miti paesani, che adombrano lotte di
paesi, di quartieri, persino di corti. Fu un lavoro di muratori e di
manovali, guidati da un mastro il cui nome è ricordato nelle
carte sacre raccolte nei municipi e negli archivi e nelle sacrestie;
e fu lavoro spesso gratuito, frutto corale della gente, espressione
genuina della sua fantasia. Che noi sappiamo, c'è un solo campanile
incompiuto, nella penisola salentina. E' quello della Chiesa di San
Biagio, a Galatina: a pianta quadrata, una volta aperto sull'arida campagna
a tabacco della zona meridionale della città, oggi forse meno
isolato d'un tempo: e quando qualcuno propose di completarlo, secondo
l'originario progetto, per poco non provocò una sollevazione
di popolo: il campanile rimase lì, perfettamente incompiuto,
con il collo e il capo mozzati dalla mannaia del cielo, di fronte a
due file di pini giganteschi di una villa privata (ma sono sopravvissuti?):
simbolo forse di un'opera senza nome, così fuori porta, fuori
paese, e fuori misura: ché il paese, il nucleo più antico
del paese era forse vicino, ma in linea d'aria, non di strada, e un'altra
chiesa lo chiudeva e lo difendeva, alle soglie delle mura che si aprivano
con le porte " Nuova " e " dei Cappuccini ". E il
campanile decapitato rimase in esilio.
La pittura, dunque, può essere cercata qui, e nel colore, nell'impasto
dell'ambiente, nel "clima", nelle strutture delle strade e
delle piazze, dentro le corti cui si accede attraverso splendidi archi
tutti bassi, nei singoli monumenti e negli " insieme " sorti
per germinazione spontanea lungo il corso dei secoli. E quale pittura
potevano offrire, al di là di possibili capricci baronali per
i palazzi gentilizi, o di edifici religiosi di dignità altissima,
le piccole chiese troppo grandi rispetto alle case contadine e artigiane;
di quali affreschi poteva ornarsi la greca povertà dei tufi salentini,
quali tele d'autore potevano trovar rifugio nell'assoluta semplicità
dei muri all'ombra delle volte " a squadro leccese ", a doppia
o a tripla vela, inimitabili, inesistenti altrove, impossibili a ricrearsi
oggi, perché se ne è perduto il segreto della costruzione,
perché non ci sono più capacità, pazienza e fantasia?
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