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Redditi e consumi
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Salento nel baratro |
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Lucio
Tartaro
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Esaminando gli
ultimi dati disponibili, raccolti per tutte le province italiane dall'Unione
delle Camere di Commercio, Industria e Agricoltura, si rileva che l'arca
leccese è sul livello delle zone più arretrate della penisola,
quasi in fondo alla graduatoria del Mezzogiorno.
Gli ultimi dati
raccolti dall'Unione Italiana delle Camere di Commercio Industria Artigianato
e Agricoltura hanno confermato una tendenza che ormai non poteva più
sfuggire a nessuno: l'area salentina è precipitata quasi nel
fondo della graduatoria nazionale, e in quella del Mezzogiorno, per
quel che riguarda la distribuzione dei redditi e dei consumi. Queste
le cifre: il reddito globale prodotto dal Salento nel 1976 è
stato pari a 992 miliardi 758 milioni di lire; come dire, un milione,
315 e 900 lire per abitante. Fatta uguale a 100 la media italiana, la
provincia salentina è poco più su della metà, con
un indice pari al 56,7.
L'agricoltura dell'area conosce da tempo l'irrigazione, e sfugge ai rischi della monocoltura grazie all'abile intraprendenza degli operatori e degli addetti. Il discorso produttivo muta radicalmente nel sud della regione.
Gli stabilimenti dell'Italsider di Taranto hanno permesso a questa città di ottenere un salto quantitativo eccellente nel campo dei redditi, tant'è che la città bimare è la sola del Sud, insieme con Matera, ad avvicinarsi alla media nazionale (Taranto ha un indice 95,7; Matera 94,1); tuttavia, le acciaierie tarantine non hanno suscitato alcuna industria indotta, sia perché i loro cicli lavorativi fanno parte di programmi a livello nazionale, e dunque vengono piegati a disegni e ad esigenze di carattere macroeconomico, che non possono tener conto di fatti e di ipotesi di sviluppo locale o regionale; ma, sia perché, di per sé, l'acciaio e la ghisa vengono fuori da " complessi chiusi ", autoctoni, che non richiedono collaborazioni esterne, non determinano alcuna spinta per la nascita di aziende complementari. Identico discorso si può fare per Brindisi e per l'industria petrolchimica. Come le acciaierie di Taranto dipendono dall'estero per i rottami di ferro e da Roma per i capitali, così la Montedison dipende dall'estero per la materia prima (il greggio) e da Milano per i programmi operativi e per gli investimenti. Anche nel caso di Brindisi ci si trova di fronte a un complesso chiuso e autosufficiente, in grado di produrre tutto, dalla prima all'ultima fase del ciclo lavorativo, e dunque senza capacità di creare direttrici indotte, senza la necessità di essere affiancato da imprese collaterali. Infine, l'area salentina. Qui, il nucleo o area di sviluppo industriale registra, fra le altre Minori, la Fiat-Allis, che in buona parte sforna macchine movimento terra e altre attrezzature agricole destinate al consumo nel Mezzogiorno e al collocamento sui mercati esterni al Sud. Di medie dimensioni, questo complesso ha inciso soltanto sull'occupazione e sul salto qualitativo e quantitativo dei redditi del capoluogo e dei centri immediatamente vicini. Non è stato in grado, e con ogni probabilità non poteva esserlo, di determinare il "take off ", il decollo dell'intero Salento. Oltre tutto, i rimanenti tessuti industriali (Maglie, Gallipoli, Galatina, Nardò, Casarano), tranne rare eccezioni, sono formati da piccole e piccolissime unità produttive, che hanno trasformato in imprenditori degli ex artigiani, richiamandovi un'occupazione instabile di lavoratori che in massima parte hanno abbandonato i campi. Tant'è che in questa parte della regione predomina ancora il reddito agricolo, e si è gonfiato a dismisura il settore terziario (per sua natura indicativo, quando abnorme, di uno stato di malessere di una società anche locale), mentre il reddito da attività secondaria rimane, malgrado gli incentivi, compresso. Intorno al Salento, dunque, come abbiamo detto, non ci sono vicini più fortunati. Basti pensare che, mentre nel Centro e nel Nord l'industria rappresenta circa il 43% dell'attività, nel Mezzogiorno questa cifra si riduce a poco più del 29 per cento. L'attività agricola, che nelle aree privilegiate rappresenta il 6,7 per cento, nelle regioni meridionali sale al 14,4 per cento: in altri termini, l'attività primaria del Centro e del Nord è sul livello degli Stati Uniti (fermi al 6 per cento), mentre quella del Mezzogiorno è superiore all'analoga attività di qualunque area agricola della Comunità economica europea, compresi il Midi francese, il Borinage belga, lo Scheswig-Holstein della Repubblica federale tedesca. Non siamo in grado di prevedere cosa accadrà nel momento in cui entreranno a far parte del " pool " europeo altri paesi mediterranei con economie prevalentemente agricole. Abbiamo tuttavia il ragionevole dubbio che a pagare sarà, ancora una volta, l'area più debole della penisola.
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