§ Italia e SME

Tra inflazione e disinflazione




Libero Lenti



La nostra adesione al Sistema monetario europeo ha dato luogo a molte discussioni di carattere tecnico e politico. Non è più il caso di parlarne. Se n'è già parlato abbastanza, ed anzi fin troppo, tanto che alcuni si sono spinti a ripetere, assieme a Shakespeare: " molto rumore per nulla ". Proprio per nulla non direi. Anche se non sono proprio sicuro che tutti coloro che si sono appassionati al problema, grazie anche alla tensione provocata dall'atteggiamento del Presidente del Consiglio, siano consci degli impegni che l'adesione comporta. Impegni che alcune facilitazioni rendono più dolci, o per lo più diluiti nel tempo, ma che di certo non annullano.
Il principale impegno, anzi l'unico, almeno in un primo tempo, è quello di ricondurre il nostro saggio d'inflazione sui livelli medi europei, e cioè dal 13 al 6 per cento all'anno. Poi, in un secondo tempo, tutti assieme si dovrebbe riportarlo sul saggio d'inflazione tedesco, oggi inferiore al 3 per cento. Forse le nuove generazioni si sono dimenticate che una inflazione strisciante, pari al 2 per cento all'anno, consentì in altri tempi una crescita del nostro sistema economico in base ad un saggio che in alcuni anni superò perfino il 6 per cento. Oggi non riusciamo a portare l'aumento del reddito nazionale al di sopra del 2 per cento. E ci pare di toccare il cielo col dito quando, con il suo piano, Pandolfi espone uno schema di ragionamento che promette di riportare questo saggio sul 4 per cento verso la fine del 1979.
Naturalmente, qualcuno trova che questa via è piuttosto impervia, in quanto cosparsa da ostacoli. Nessuno, almeno ad alta voce, ha il coraggio di rifiutare il primo passo, e cioè quello del passaggio dal nostro saggio d'inflazione a quello europeo. Ma se per quanto riguarda il secondo passo, e cioè il successivo passaggio da un saggio europeo a quello tedesco, non v'è completa concordanza, in questo caso, si cerca di mascherare pudicamente velleità inflazionistiche con argomentazioni basate sulla necessità di fare una politica espansionistica. Faccio già una concessione quando dico che alcuni mascherano le loro velleità inflazionistiche. Segno che sono consci di quanto dicono. Purtroppo molti non ne sono consci e per questo affastellano argomentazioni estranee ad ogni logica economica.

Saggi più omogenei

Siano o non siano consci di quanto chiedono, alcuni ritengono che per rendere più omogenei i saggi d'inflazione dei vari sistemi europei i dirigenti della politica economica tedesca dovrebbero operare in modo tale da fare aumentare il loro saggio d'inflazione dal 2 al 6 per cento. Chiedono, insomma, di fare il male a metà. Scendiamo noi, sia pure con qualche sacrificio, ma salgano i tedeschi nella scala della loro svalutazione. Tali e tanti sono i guasti d'una politica economica, che solo per consuetudine viene definita keynesiana, che oggi non si teme il ridicolo quando s'avanzano proposte di questo genere.
E' assai probabile, per non dire certo, che le autorità monetarie tedesche si guarderanno bene dal prendere in considerazione questa richiesta; sta a noi, a moneta debole, e poi agli altri associati nello Sme, a moneta semiforte o semidebole che dire si voglia, di agire in modo tale da consentire un rallentamento nell'inflazione, facendola passare dal galoppo al trotto, per arrivare ad una fase strisciante. A questo proposito, si deve tener presente che si tratta di fenomeni dinamici per cui è possibile che si manifestino contemporaneamente. E' possibile, cioè, che i sistemi a moneta semiforte non aspettino che noi li raggiungiamo in questa corsa. Con tutta probabilità ci precederanno. Il che renderà ancora più impegnativa ogni azione disinflazionistica.
Di proposito dico " disinflazionistica " e non " deflazionistica ", anche se a prima vista, agli ignari di problemi economici, può sembrare un gioco di parole. Si tratta proprio di due politiche ben distinte. Purtroppo, anche nell'ordine del giorno votato dalla Camera dei Deputati si parla di deflazione, contribuendo così a rendere ancora meno chiare le direttive della nostra politica economica per osservare in modo sostanziale le regole dello Sme. La nostra politica economica non deve tanto mirare a deflazionare il sistema tenendo soprattutto conto che in questo momento non siamo in presenza di una fase d'espansione produttiva generata dall'inflazione. Se mai, ha dato luogo ad una fase di ristagno, e ciò per il fatto che con la deflazione si opera facendo in particolare leva sulla manovra dei flussi creditizi e monetari.
Si tratta, invece, di disinflazionare il sistema con mezzi e con fini del tutto diversi in quanto un'operazione di questo genere deve proporsi d'eliminare tutti i fattori che, trascurando la manovra dei flussi reali, hanno contribuito e contribuiscono a fare aumentare i nostri prezzi-costi con un saggio decisamente superiore a quelli in atto negli altri sistemi economici. Non è qui il caso di specificare questi fattori. Del resto li ricorda lo stesso ordine del giorno dinanzi citato quando pone l'accento sulla necessità di ridurre il costo " reale " del lavoro per unità di prodotto il solo procedimento per rilanciare gli investimenti e per sviluppare l'occupazione.

La manovra migliore

Finora, infatti, la manovra deflazionistica è stata affidata a restrizioni creditizie, tra l'altro intese a lasciar libere quote di risparmio famigliare da destinare a parziale copertura del bilancio allargato della pubblica amministrazione. Una manovra disinflazionistica, invece, deve far leva su allargamenti dei flussi reali, e cioè, in parole povere, ad aumenti di produttività, naturalmente a parità di costi di produzione.
Mi rendo perfettamente conto che una manovra disinflazionistica nel senso appena indicato pone problemi di politica economica ben più gravi di quelli d'una semplice manovra deflazionistica. Non credo però che vi sia altra via per mantenere saldamente agganciata la nostra moneta alla parità centrale stabilita per lo Sme. Non è questione d'austerità e cioè di ridurre i consumi, bensì è questione d'aumento di produzione, sempre a parità di costi, in misura tale da soddisfare i consumi attuali, ma nello stesso tempo da consentire l'accantonamento d'una quota maggiore di risparmio da destinare ad investimenti.
Manovra, in ogni caso, di difficile attuazione quando s'argomenta, come argomenta qualche sindacalista, che ai lavoratori non interessa l'inflazione perché tanto c'è la scala mobile che garantisce il salario reale. Ai lavoratori occupati forse, ma non certamente a quelli inoccupati. Alle esigenze di quest'ultimi si deve guardare con particolare attenzione. E senza demagogia.


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