§ Minacciate le acque dello Jonio

La paura nucleare




Luigi del Piano, Rosy Gulino



Se in Italia entreranno le dodici centrali nucleari previste dal Piano Energetico, dal 1990 in poi si dovrà trovare un " cimitero delle scorie radioattive ", che, a poco a poco, dovrà conservare stabilmente da quattro a cinquemila metri cubi di fanghi mortali. Uno dei due cimiteri previsti per la Penisola dovrebbe essere dislocato (tra la terraferma, con la piscina nucleare, e il mare come area di stoccaggio definitivo) nel territorio lucano di Rotondella: tra la costa salentina e quella calabrese, e, in altri termini, al centro di due aree fortemente sismiche: la Grecia ad oriente, e il Sistema CaIabro-Siculo ad occidente.

Alla fine del mese di novembre del '78, la polemica partì dalla decisione del Governo di imporre per legge alla Regione Molise due centrali nucleari da mille megawatt ciascuna. La posta in gioco era, ed è, il futuro dell'energia nucleare nel nostro Paese, con le dodici centrali decise dal Comitato Interministeriale per là Programmazione Economica nel dicembre del '77 e che finora (eccezion fatta per le due di Montalto di Castro) non son partite per l'ostilità delle popolazioni. E' in ballo il pericolo sull'uso pacifico dell'atomo, che vede due schiere contrapposte: quella dei filonucleari, secondo i quali tra non molto ci troveremo di fronte a un " buco nero " (nel 1985, secondo stime attendibili, saranno necessari almeno venticinque miliardi di kilowattora in più all'energia italiana), e quella degli antinucleari, secondo i quali l'atomo è comunque nocivo e inquinante, e porta a una strada senza ritorno che coinvolgerà per millenni le generazioni future.
In realtà, il problema è molto complesso. E' stato scritto che decidere di attrezzarsi con centrali nucleari significa, per un paese come il nostro che non ha mai sviluppato una tecnologia militare (la bomba atomica), dover fare i conti con un cielo di lavorazioni, di trasporti, di royalties e di impegni finanziari con l'estero (per l'arricchimento dell'uranio, ad esempio) senza precedenti. Nel ciclo nucleare non c'è solo la centrale, questa è il punto di arrivo di tutta una serie di processi e di passaggi, (estrazione ,del minerale, concentrazione, arricchimento, fabbricazione delle barre di combustibile, ritrattamento del materiale bruciato, stoccaggio delle scorie), con problemi specifici, ciascuno dei quali comporta residui e rilasci radioattivi. Vuol dire anche un costante via vai di materiali radioattivi, chiusi in camion blindati o in treni blindati; vuol dire trasportare questo materiale con forti scorte militari per impedire furti o atti terroristici. E inoltre: un impianto di mille megawatt deve essere rifornito ogni anno con trenta tonnellate di combustibile fresco, e liberato dell'equivalente esaurito. Ciò significa che, ,se gli impianti previsti saranno costruiti, ci sarà una circolazione annua di almeno ottomila quintali di materiale radioattivo, fra i quali una parte a radioattività concentrata e contenente plutonio, un elemento così tossico che dimezza l'emissione di radiazioni soltanto dopo ventiquattromila anni. I problemi irrisolti o assai controversi del cielo nucleare sono soprattutto tre: la sicurezza degli impianti, i rilasci radioattivi e la gestione delle scorie. Cosa succede quando una radiazione colpisce un organismo vivente? Questo:
- la cellula non viene danneggiata;
- la cellula viene uccisa o resta sterile;
- la cellula, danneggiata, riesce a " ripararsi ";
- il nucleo cellulare viene alterato.
L'ultimo è il caso più terribile: poiché il nucleo è in sostanza l'archivio delle informazioni necessarie per una corretta riproduzione della cellula, qualsiasi " ferita " darà luogo a un clone malato, cioè ad un ceppo di cellule mutanti che, se riescono a sopravvivere e a riprodursi, generano un tumore.
Al Salento, comunque, riguarda molto da vicino il problema delle scorie. Un reattore da mille megawatt ha bisogno di una carica iniziale di circa 100 tonnellate di combustibile, trenta delle quali, abbiamo già detto, devono essere sostituite ogni anno. Il combustibile fresco proviene in gran parte dagli impianti a monte della centrale; quello esaurito dev'essere riciclato a valle. In altri termini: si tratta di una specie di " setacciamento ", una vera e propria selezione: una parte nobile - uranio e plutonio - va recuperata; una parte vile, ad altissima radioattività, va buttata via. Dove e come?
Fino a qualche anno fa, alcuni Paesi dell'Europa Occidentale hanno usato senza scrupoli l'Atlantico come pattumiera nucleare. Inghilterra, Francia, Germania Federale, Paesi Bassi e Belgio hanno scaricato nel 1967 circa undicimila tonnellate di scorie pressate in circa 40 mila fusti di cemento. Svizzera, Inghilterra e Paesi Bassi hanno ripetuto l'operazione (2.265 tonnellate) nel 1974. Nessuno, ovviamente, ha garantito che i contenitori avrebbero resistito alla pressione e all'azione erosiva del mare. Le scorie delle prime tre centrali italiane (Latina, Garigliano e Trino Vercellese) finora erano andate in Inghilterra. Ma si trattava di poca roba. Per quella di Caorso nessuno sa cosa fare, perché gli inglesi non vogliono più il materiale esaurito. La destinazione sarà Rotondella, in Basilicata: nella terraferma, e di fronte, nel mare Jonio. Dunque: se in Italia entreranno in funzione le dodici centrali previste dal piano energetico, dal 1990 in poi uno dei due " cimiteri delle scorie radioattive " previsti sarà dislocato a due passi dal Salento, e a poco a poco dovrà conservare stabilmente da quattro a cinquemila metri cubi di micidiali fanghi radioattivi. Alle spalle, una piscina di stoccaggio. Che cos'è? I rifiuti ad alta radioattività, i fanghi mortali destinati a sopravvivere non solo all'attuale civiltà industriale, ma anche a molte future civiltà e generazioni, in forma liquida o quasi liquida vengono raffreddati da serpentine e rimescolati senza sosta da pale rotanti. Il personale specializzato che è di guardia sa benissimo che, se venisse a mancare anche per un poco la corrente elettrica, i cassoni incomincerebbero a bollire e ad emettere sibili di gas radioattivi: e l'intera arca rischierebbe di essere trasformata in un deserto privo di vita.
Cosa è previsto alle spalle di Rotondella? Centrali nucleari in costruzione nell'area molisana di Termoli, poco a nord-est, ma sulla fascia adriatica, di quella del Garigliano; più a sud, una fabbrica di combustibile, dove arriva l'uranio arricchito negli Stati Uniti e nell'Unione Sovietica: qui, praticamente, vengono preparate le barre del combustibile; un'altra fabbrica di combustibile, destinato al reattore veloce " Superphenix "; impianti di ritrattamento delle scorie: in questi impianti, in altri termini, giunge il combustibile esaurito dalle centrali nucleari; una piscina di stoccaggio; il cimitero delle scorie. Da Montalto di Castro a Rotondella, lungo una linea quasi trasversale che interessa la dorsale appenninica, o meglio, le pianure che si aprono all'ombra degli Appennini, è un susseguirsi di aree nucleari. Il ciclo nucleare italiano risulta così spaccato in due: l'altra parte è concentrata prevalentemente nell'area centrale padana, alle spalle della Liguria e nel Piemonte.
Che il problema dell'approvvigionamento energetico rischi di superare, nel nostro Paese, la cosiddetta " linea di soglia ", è risaputo da tempo: una società come la nostra, in via di sviluppo industriale, reclama crescenti quote energetiche, e noi non siamo in grado di fornirle con il "carbone bianco ", perché i nostri fiumi sono di modesta portata e, tranne i maggiori, magrissimi per oltre la metà dell'anno; la costruzione di centrali convenzionali pone due tipi di problemi: quello della dislocazione (che suscita reazioni altrettanto polemiche delle dislocazioni delle centrali nucleari) e quello del continuo aumento dei prodotti petroliferi da parte dei paesi dell'Opec: l'energia, dunque, continua a costarci sempre di più. Importare, la importiamo: dalla Svizzera, ad esempio. Ma i cavi che la portano in Italia ne perdono una buona parte (in certi periodi dell'anno fino a un terzo) durante il percorso.


Non c'è dubbio, a nostro avviso che il problema della costruzione di centrali nucleari va affrontato e risolto in modo positivo. Restano sul tappeto due aspetti abbastanza complessi. Il primo, è quello delle misure da prendere per evitare disastri nucleari. Noi importiamo dagli Stati Uniti alta tecnologia nucleare, ma non importiamo tecnologia contro il rischio, e le cose " all'italiana ", le misure all'italiana non ispirano alcuna fiducia; il secondo è quello delle dislocazioni: il nostro non è un Paese delle dimensioni statunitensi, o russe, o australiane. E' un territorio nel quale cominciamo a stare stretti. Perché scegliere proprio il Sud per completare il ciclo nucleare? Qui sono le prospettive dell'industrializzazione, è vero; ma, al presente, sono preminenti quelle del turismo, dell'agricoltura e della pesca. L'atomo, per ora, e per molto tempo ancora, è destinato a restare estraneo all'economia meridionale; dunque, è solo al servizio dell'economia dell'" altra Italia ". Lì, dunque, si impiantino le centrali, con tutto quello che viene a monte e a valle. E si risolva diversamente il problema dello stoccaggio. Lo Jonio è già di per sé un mare malato: colpito dal tritolo, arato dalle sciabiche, spopolato dalla pesca indiscriminata, sta per diventare un mare arido, forse l'angolo più in pericolo dell'intero Mediterraneo. Non per niente, paghiamo ai Paesi dell'Africa nord-occidentale miliardi l'anno per allargare i limiti delle fasce di pesca per le flottiglie pugliesi, siciliane e marchigiane. Non è pensabile che, in questo mare, possa crearsi un cimitero di materiale nucleare esaurito, senza che siano state prese rigorose misure di sicurezza.
Del resto, le campagne della stampa europea (soprattutto di quella tedesca, spaventata dalla mole di rimesse in marchi dei nostri emigrati, e dall'altra mole, quella - sempre in marchi -riversata da crescenti correnti turistiche dalla, Repubblica Federale all'Italia) contro l'Italia: il caso della Cavtat, colata a picco di fronte ad Otranto con un carico di oltre 900 fusti di piombo tetraetile, dovrebbe insegnarci qualcosa. Ci si scagliò contro l'organizzazione civile italiana, si tentò di dissuadere i turisti dal venire in Italia, e in particolare dal frequentare l'intera fascia adriatica. Ci volle la sicurezza e la decisione del Pretore di Otranto, Maritati, a mettere lo Stato nella condizione di render disponibili mezzi, uomini e quattrini per disinnescare quella bomba ad altissimo potenziale. Cosa accadrà, nel momento in cui si scriverà dei pericoli di contaminazione nucleare in tre regioni (Bassa Puglia, Basilicata, Calabria) nelle quali da alcuni anni, ormai, si riversano turisti italiani e stranieri? E, al di là del calcolo delle probabilità, sempre relativo, e anche al di là dell'eventualità che accada qualcosa di irreparabile, eventualità piuttosto rara (ma non da escludersi), quali potranno essere le conseguenze di un movimento sismico che riguardi, sia pure marginalmente, quest'area mediterranea? La frequenza dei terremoti, anche se rilevabile solo strumentalmente, in Calabria, in Sicilia, nelle Isole Egee e nel Subcontinente europeo (Grecia, Turchia, Jugoslavia) è notevole. E lo stesso discorso può essere fatto per l'area molisana, confinante con un Abruzzo tettonicamente irrequieto. Non ci risulta che siano stati condotti studi approfonditi in questo campo. Si vuol costruire, e si vuol costruire al buio: in un territorio, ripetiamo, che è diventato troppo stretto, e che di conseguenza va conosciuto, razionalizzato nell'uso e nelle destinazioni, sfruttato anche in relazione ai territori confinanti.
Il piano energetico italiano deve tener conto di tutto questo. Sulla pelle del Sud si è giocato per secoli. E non ci sembra consentito farlo ancora oggi. Quella generata dall'atomo è una paura che dura da qui all'eternità.


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