§ Priorità per il Sud nelle "politiche strategiche" e nelle "azioni di settore"

Il Mezzogiorno nel Piano Triennale




V. A. Stagno



Alla domanda se per davvero il Mezzogiorno sia stato messo al centro del Piano Triennale, almeno in base ai testi in cui esso viene esposto, si deve rispondere in maniera affermativa. Già al tempo della " Proposta Pandolfi " l'indicazione prioritaria di mettere sotto controllo l'inflazione conteneva una valenza particolare per l'" altra Italia ". In seguito, col bilancio di previsione 1979, si modificò l'articolo 22 della legge 183 del 1976, autorizzando così la Cassa per il Mezzogiorno ad assumere impegni per 3.900 miliardi di lire, in aggiunta alla dotazione del quinquennio. Ora, dall'esame del programma triennale, emerge un responso positivo sia in materia di " politiche strategiche ", sia in tema di " azioni di settore ". Se è vero che le cifre hanno una loro eloquenza, non possiamo che fare alcuni esempi.
Sui 3.700 miliardi di lire d'investimenti delle Ferrovie dello Stato, (a prescindere dal programma integrativo) circa 1.620 saranno destinati alle regioni meridionali; per l'edilizia sovvenzionata, convenzionale e rurale, si sale al 50 per cento dell'importo. Entro i primi di aprile saranno presentati alle Camere, in attuazione della legge finanziaria, i " piani straordinari " riguardanti il sistema ;stradale nazionale, le opere idrauliche, la costruzione e la sistemazione dei porti, la sistemazione e la manutenzione di edifici pubblici o che interessino il patrimonio storico-artistico: per il Sud, la quota spendibile oscilla da un minimo del 41 per cento (opere idrauliche per un ammontare complessivo di 680 miliardi di lire), ad un massimo del 60 per cento (viabilità a cura dell'Anas, per un totale di 2.500 miliardi di lire sull'intero territorio nazionale). Infine, le opere igienico-sanitarie, il cui plafond di 500 miliardi sarà devoluto, in difformità della legge finanziaria, integralmente al Sud e alle Isole.
Abbiamo detto che le cifre hanno una loro eloquenza; dobbiamo aggiungere che, prese in sé e per sé, sono nude. Per tutte le aree del Paese il successo del programma triennale dipende, oltre che da fattori interni ed esterni di carattere economico-finanziario e politico, anche dalla " gestione ", vale a dire dalla capacità di tirar veramente fuori i quattrini scritti sulla carta, e di eseguire gli interventi nei tempi, nei modi ed entro i costi indicati dal piano stesso. L'entusiasmo che può derivare dal " privilegio " del Sud diminuisce notevolmente, infatti, nel momento in cui si passa, in un confronto realistico, dal capitolo della spesa pubblica a quello dedicato, appunto, ai problemi della gestione: quest'ultimo, com'è stato intelligentemente notato, tanto ispirato da un perfezionismo armonioso di movimenti fra le istituzioni e gli strumenti e le leve del " piano ", quanto il primo è pieno di cupi " moniti " sull'abnorme evoluzione " quantitativa " e sull'involuzione " qualitativa " della spesa pubblica, oltre che sulle responsabilità degli " enti decentrati ", soprattutto le Regioni e i Comuni. E non è ancora tutto.
Il documento programmatico afferma che il piano triennale vuol essere " un aumento di sintesi globale " fra i diversi soggetti o organi dell'attività di programmazione, (dal Parlamento al Governo, dalle Regioni ai Sindacati, dalle Amministrazioni dello Stato alle aziende parapubbliche e agli organismi professionali) perché tale maggior forza di sintesi " è essenziale per la guida dell'economia ". Ma si può veramente credere a qualcosa come una primavera italica all'approssimarsi dell'anno 2000? 0 non era più realistico parlare di un iniziale recupero di quelle " facoltà di buon governo " che in altra epoca meno convulsa e presuntuosa il nostro Paese dimostrò di possedere? Tanto per avvalerci ancora di un esempio, riesce abbastanza difficile accordare fiducia all'obiettivo delle " 800 mila abitazioni " (e nel programma si legge proprio " abitazioni ") che dovrebbe essere raggiunto nel triennio mercé l'incontro tra poteri centrali, iniziativa privata e Regioni. Non riusciamo ad accreditare questi obiettivi, anche se ora c'è una legge sulla contabilità regionale rivolta a stimolare azioni programmatiche di medio periodo, e se di recente è stato approvato il disegno di legge sulla finanza locale che fa obbligo (possiamo dire) alle Regioni di darsi " entro sei mesi una normativa degli strumenti urbanistici ".
Premesso tutto questo (e non occorre specificare quanta parte riguardi proprio il Mezzogiorno) passiamo all'intervento straordinario. La prima considerazione da fare riguarda la generosità dei mezzi finanziari: 20.948 miliardi di lire correnti, che si riducono a circa 15.500 miliardi " in termini reali " ai prezzi del 1978 (il tasso medio d'inflazione per il periodo, qui del 26 per cento circa, è stato però calcolato in misura inferiore di un paio di punti rispetto a quello previsto dal piano triennale). Logicamente, le somme indicate non rappresentano né disponibilità liquide, e neanche stanziamenti: si tratta di " autorizzazioni ad assumere impegni ".
La seconda considerazione di fondo deriva dalla continuità della tipologia degli interventi, giudizio tanto più positivo in quanto; certe novità introdotte ad ogni rinnovo di legge " meridionalistica " si sono rivelate per gran parte o velleitarie o dannose. Dunque, da un lato si completano i progetti speciali per i grandi schemi idrici, e ci si propone di ampliare quello irriguo per 400 mila ettari; dall'altro, si prosegue, con opportuni approfondimenti, nei progetti promozionali (zootecnia, agrumicoltura, forestazione) e infrastrutturali (versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria; Sicilia sudorientale per le industrie; porto-canale di Cagliari).
Inoltre, il progetto per il disinquinamento del Golfo di Napoli (sulla cui necessità ed urgenza nessuno può avere dubbi, visto che Napoli e il suo territorio sono la sintesi perfetta di tutta la fame, la miseria, l'arretratezza, in una parola di tutte le contraddizioni del Sud e della politica d'intervento nel Sud) sarà integrato con quello destinato a porre rimedio alla congestione dell'area metropolitana; un analogo progetto, com'è noto, esiste anche per la città di Palermo.
Nuovo, soprattutto per le cospicue risorse finanziarie che gli sono attribuite, è il progetto per le aree interne (circa 3 mila miliardi di lire) che nelle ambizioni dei programmatori dovrebbe far perno sul potenziamento delle economie locali, in modo particolare delle comunità montane, e servire in qualche modo da antidoto Ad ulteriori movimenti di esodo, ad improvvise espulsioni demografiche (ci sembra ovvio che la polemica facile contro i cosiddetti " interventi a pioggia " è passata di moda, parallelamente al gonfiarsi dell'inventario delle conseguenze sociali, economiche e civili derivate dall'imprevidente abbandono delle aree dell'" osso " del Mezzogiorno).
E' il caso di chiedersi, a questo punto, quali riserve o perplessità siano state sollevate fino a questo momento, o meritino di esser sollevate. Un'opinione abbastanza diffusa tra gli esperti è che l'ampliamento dell'irrigazione costituisca un grosso errore per una serie di motivi " endogeni " e internazionali (incertezza sulle destinazioni colturali, ad esempio; e poi difficoltà gravi nell'incrementare il flusso delle esportazioni per la concorrenza dei Paesi del Maghreb e per il prossimo ingresso nella Comunità Economica Europea della Grecia, della Spagna e del Portogallo), mentre si raccomanda di procedere alle trasformazioni fondiarie connesse agli allevamenti zootecnici, tenendo conto del pesantissimo disavanzo della nostra bilancia dei pagamenti alimentare. Per quel che riguarda, poi, le zone interne, sembra che non si abbiano idee del tutto chiare sul " quid agendum ": e infatti, il documento programmatico tocca tutte le materie ritenute suscettibili di avviare uno sviluppo. Non rientra, è vero, nei compiti dell'intervento straordinario la questione dei centri di smistamento ferroviario, dei terminali per containers " e delle stazioni di confine, ma c'è da supporre che ogni meridionalista alieno da demagogia darebbe volentieri un bel pezzo di programma stradale in cambio della eliminazione delle strozzature cui abbiamo accennato.
Il settore industria richiederebbe per sé solo non un articolo, ma un vero e proprio saggio, legato com'è all'avvenire del Paese e alla sua permanenza nel ,gruppo delle nazioni sviluppate, o alla recessione oltre la linea del Terzo Mondo. In questa sede possiamo rilevare: che probabilmente le previsioni di investimento sono " approssimate per eccesso "; che quelle relative all'occupazione sono meno mirabolanti di quanto hanno riferito, equivocando, alcuni pur grossi quotidiani italiani; che non sembra verosimile una " svolta " rispetto agli ultimi sette-otto anni di depressione, se in primo luogo non si riformano le procedure per gli incentivi, per cui, se tutto andrà bene, intercorrerà da un minimo di dieci mesi a un massimo di dodici - teorici, s'intende, dal momento che l'operatività italiana è tardigrada - perché un'iniziativa fino a dieci miliardi di lire possa essere ammessa al godimento dei contributi, e questo a regime d'inflazione a due cifre. Osserveremo ancora come la proroga decennale dello sgravio degli oneri sociali, pari a circa il 29 per cento dei salari, appare una misura imponente se non addirittura determinante, ma nella realtà perde consistenza, in quanto il periodo utile per l'accensione del beneficio è confinato al triennio e si configura pericolosa per le imprese di un medesimo ramo rimaste escluse.
Per concludere: l'intervento straordinario nel Sud per il 1979-81 rispecchia il coraggio, i pregi, le lacune, ed anche certe ambiguità del Piano Triennale. Ma non attuarlo in tutta la sua complessa orditura significa solo far concessione alla più spericolata demagogia, e non muovere un dito per tentare di risolvere almeno alcuni dei più vecchi e gravi problemi del Mezzogiorno d'Italia.

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