" L'agricoltura
italiana - dice il piano economico triennale -deve diventare un settore
ad elevata efficienza produttiva... ". Per raggiungere questo obiettivo,
occorre assicurare la piena utilizzazione delle risorse disponibili,
in particolare della terra; riorganizzare le strutture fondiarie; ammodernare
i processi di produzione, di trasformazione e di distribuzione dei prodotti
agricoli secondo le direttrici indicate nella relazione previsionale
e programmatica e nello schema del piano agricolo-alimentare. Il Piano
Triennale non ha dunque ambizioni di originalità per l'agricoltura:
richiama proposte e documenti che già ci sono, e leggi già
approvate dal Parlamento. La principale tra queste è la "
Quadrifoglio " (numero 984 del 1977), ma vi sono anche i regolamenti
della CEE e le leggi di finanziamento delle Regioni e della Cassa per
il Mezzogiorno. La somma di tutti gli stanziamenti prevista da queste
leggi raggiunge, nel triennio, 9.689 miliardi di lire poco più
di 3.200 miliardi per anno. Una cifra sbalorditiva, con la quale si
potrebbe attuare la più grossa " rivoluzione " agricola
del nostro secolo. Essa corrisponde al 15-16 per cento della produzione
lorda vendibile dell'agricoltura, ed è pari press'a poco all'investimento
annuo lordo (comprensivo di quello privato e pubblico) effettuato nel
1978 in agricoltura.
Se, dunque, questa eccezionale alluvione di miliardi pubblici si riversasse
sull'agricoltura, l'investimento globale verrebbe moltiplicato per tre
o quattro volte, e la produzione aumenterebbe a un tasso annuo senza
dubbio superiore al tre per cento indicato dal piano. Molti gravi problemi
economici e sociali del Sud " assetato " verrebbero avviati
a soluzione, mentre altri, come l'ampliamento delle dimensioni aziendali,
la dotazione di mezzi mobili nelle aziende, la forestazione, il recupero
di terre abbandonate, lo sviluppo di una vasta zootecnia, sarebbero
affrontati con energie nuove. Purtroppo, è stato rilevato, le
leggi che stanziano tanti mezzi esistono e sono già operanti,
ma non producono nessuno degli effetti che abbiamo indicato. La "
Quadrifoglio ", ad esempio, ha già stanziato per il '78
fondi per 670 miliardi di lire, ma neanche uno di quei miliardi è
stato erogato, neanche una lira si è trasformata in macchine,
in bestiame, in impianti irrigui; neanche un centesimo in investimenti
agricoli. Lo stesso si può dire dei quattrini previsti per le
strutture agricole dell'Italia in alcuni regolamenti CEE. In realtà,
l'alluvione di miliardi pubblici si traduce in modesti rivoli, alimentati
molto spesso da leggi vecchie di decenni, e - bisogna dire - per fortuna
ancora attive, anche se i mezzi di cui furono dotate sono stati abbondantemente
erosi dall'inflazione. E' per questo che, leggendo il Piano Triennale,
alcuni hanno commentato amaramente che, come esercitazione umoristica,
era vecchio e poco divertente.
Occorre tuttavia tener presente che in Italia si fa ormai in media un
piano ogni sei mesi, e che spesso da questi piani sono nate leggi poliennali.
Gli estensori del Piano Triennale si sono per lo meno preoccupati di
redigere un istruttivo inventario di quello che nel recente passato
è stato predisposto per l'agricoltura. Si tratta di una materia
enorme, di cui basterebbe tradurre in fatti solo una piccola parte per
ottenere risultati concreti. Cosa impedisce tutto questo? Lo stesso
Piano Triennale, nelle splendide pagine iniziali, rileva che l'amministrazione
pubblica è divenuta incapace di investire e che con il passaggio
delle competenze dallo Stato alle Regioni (o ad enti decentrati) questa
deficienza si è aggravata, e, di conseguenza, sono peggiorati
gli effetti negativi. La terapia di questa malattia dello Stato, sempre
secondo il piano, è un'energica azione di stimolo e di coordinamento,
e una radicale revisione degli aspetti procedurali e strumentali delle
maggiori leggi esistenti. La " Quadrifoglio ", tanto per restare
al discorso iniziale, ne avrebbe certamente bisogno. Ma operazioni del
genere, di ricostruzione tecnica e morale dell'amministrazione, impegnerebbero
per molto tempo. E il piano è solo triennale.
A parte, dunque, i miliardi fantasma, che cos'altro c'è nel piano
per l'agricoltura? Poco, o nient'altro. Per la trasformazione dei prodotti
agricoli si propone la creazione di una finanziaria che raccolga tutte
le partecipazioni azionarie dello Stato nel settore alimentare. Se,
come pare, si tratta del discusso progetto di creare l'ente alimentare
nazionale, sia pure con la buona intenzione di riorganizzare le numerose
industrie decotte del settore, non c'è da attendersi una gran
gioia da parte del mondo dell'agricoltura. Fino ad oggi, enti del genere
hanno dato solo risultati disastrosi. E d'altra parte, non è
da interventi del genere che ci si può attendere una crescita
della produzione agricola. Nel piano vi sono anche alcuni buoni consigli
che il Governo sembra dare a se stesso per la politica agricola comunitaria.
Uno di questi, è la soppressione degli importi compensativi,
che però lo Stato, per ora e con buoni motivi, sembra deciso
a non seguire. Neanche questo, dunque, solleciterà un aumento
della produzione agricola. Allora, quali speranze ci sono di realizzare
quel tre per cento previsto dal piano? Dal '70 al '78 la produzione
agricola è rimasta pressoché stazionaria. Se le statistiche
hanno un senso, per il futuro, piano o non piano, non dovremmo aspettarci
niente di meglio.

I progetti speciali
della Cassa per il Mezzogiorno
Porto-canale di
Cagliari.
Produzione intensiva di carne: Marche; Lazio; Abruzzo; Molise; Campania;
Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna.
Sviluppo dell'agrumicoltura: Basilicata; Calabria; Sicilia.
Strada mediana transcollinare aprutina: Marche; Abruzzo.
Utilizzazione intersettoriale delle acque del Tirso. Schemi idrici intersettoriali
di Puglia.
Schemi idrici intersettoriali della Basilicata.
Utilizzazione intersettoriale delle acque del Biferno.
Approvvigionamento idrico-potabile delle isole Elba e Giglio.
Attrezzature di approdi turistici sul Tirreno e Adriatico meridionale.
Sviluppo agro-turistico della Sila, Serre ed Aspromonte
Sistema viario interregionale per lo sviluppo della Campania interna.
Assetto territoriale del versante tirrenico della provincia di Reggio
Calabria.
Sviluppo dell'irrigazione: Abruzzo; Calabria; Sicilia; Sardegna.
Schemi idrici intersettoriali della Sardegna. Schemi idrici intersettoriali
della Calabria. Direttrice interregionale dorsale appenninica Rieti-Benevento.
Schemi idrici intersettoriali: Lazio; Marche; Molise; Campania.
Piano acque Sicilia e schemi idrici intersettoriali Sicilia.
Le cifre cancellate dal piano
Prima di inserirle
nella bozza del Piano Triennale, i collaboratori del Ministro del Bilancio
le hanno ripetutamente controllate, Per maggiore sicurezza è
stato promosso anche un piccolo vertice, al quale hanno preso parte
esperti e specialisti del Bilancio, dell'Ufficio Studi della Banca d'Italia
e della Svimez. Ma quando la bozza del Piano Triennale è finita
sul tavolo del Presidente del Consiglio, alcune cifre sono scomparse
dalla stesura definitiva.
A spaventare i responsabili della politica e della politica economica
sono state un paio di tabelle sulle previsioni di occupazione nel prossimo
triennio. In particolare, i dati che sono stati fatti depennare riguardano
le ipotesi di nuova offerta di lavoro e la ripartizione fra Centro-Nord
e Sud dei nuovi posti di lavoro. Secondo le proiezioni degli esperti
del bilancio, nel triennio 1979-81 si presenteranno sul mercato del
lavoro circa 500 mila persone, di cui 330 mila al Sud e 170 mila nel
Centro-Nord. I famosi 550-600 mila posti di lavoro in più previsti
dal Piano saranno creati, invece, per il 60 per cento nel Centro-Nord
(330-360 mila), e per il 40 per cento al Sud (220-240 mila). Nonostante
l'aumento di occupazione ipotizzato dal Piano, quindi, anche nel prossimo
triennio non sarà per niente eliminato lo squilibrio fra domanda
e offerta nelle regioni favorite e in quelle arretrate. Nell'Italia
Centro-Settentrionale le occasioni di lavoro disponibili saranno di
gran lunga superiori al numero di lavoratori che si presenterà
sul mercato; mentre nelle regioni meridionali resterà un ulteriore
vuoto di circa centomila posti di lavoro per far fronte localmente a
tutta la nuova offerta di manodopera. E per la vecchia offerta di manodopera
saranno tempi ancora più duri. Questo fatto, se da un lato consente
al Governo di non dover per forza mantenere in vita nelle aree centro-settentrionali
aziende decotte (un nuovo caso Innocenti sarebbe impensabile), dall'altro
offre ulteriori argomenti a coloro i quali ritengono insufficiente la
caratterizzazione meridionalista del piano. E la Presidenza del Consiglio,
che già fiutava burrasca politica nell'aria, (puntualmente verificatasi),
ha ritenuto opportuno chiudere sul nascere la probabile polemica, cancellando
le cifre.
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