§ La "questione meridionale" trent'anni dopo

E il Sud isṣ tre bandiere gialle




Raimondo Ruju



Un'industria episodica, le cattedrali della chimica e dell'acciaio coinvolte nella profonda crisi delle case-madri, l'agricoltura a rotoli; i programmi di riassetto del territorio rimasti in gran parte sulla carta: la montagna del Mezzogiorno continua a smottare compatta a valle e verso il mare, i fiumi distruggono in inverno
quel che si è bonificato in estate; il turismo stenta a trasformarsi ovunque in una solida fonte di reddito; e la cultura meridionale e italiana resta legata ai vecchi schemi, non si fa portavoce dei problemi, antichi e irrisoIti, del "paese reale", restando uno specchio infedele della storia e della cronaca dell'"altra Italia".

Il primo problema è quello del "sentirsi" o "dirsi" meridionali, cioè estranei alla realtà nazionale, italiana; e figuriamoci poi se, proprio in base a questa " specificità ", chi vanta la propria meridionalità può poi considerarsi proiettato nel tempo, e considerarsi cittadino di una patria più vasta, l'Europa. Giuseppe Galasso, il maggiore storico della società meridionale, è stato il primo a deplorare che siano proprio i meridionali a coltivare il fantasma della meridionalità, che sa di evasione, e anche di alibi, ma non di rigore di analisi, " di consapevolezza della propria condizione storica ". Galasso trova anche che è comodo " disporre di uno schema che giustifichi e, magari, nobiliti arretratezze, provincialismi, mediocrità ed impotenze ", e che è ancora più comodo poter inquadrare lo schema in un disegno di oppressioni da subire, di presunte energie conculcate e di rivoluzionamenti da vagheggiare. E' comodo, dice Galasso, ma non porta a nulla. Perché? Perché la meridionalità, come la " napoletanità ", che ne è l'aspetto più degradato, quando è intesa come " concezione ", può trasformarsi in un'ideologia " da assediati " e dar frutti mostruosi, come accade ai gruppi etnici minoritari ed emarginati delle grandi città americane. Gli italiani d'America, per esempio, rappresentano un caso tipico di comunità assediata 'che si barrica a difesa dei propri " valori ", delle proprie caratteristiche di razza e di cultura per reagire all'ostilità dell'ambiente sociale. Con quale risultato? Che l'italo-americano non è più un Italiano, ma neppure compiutamente un americano, perché si comporta in modo tale da apparire un fenomeno sociologico e culturale aberrante, una commistione confusa di sentimenti, di aspirazioni e d'i convinzioni contrastanti. Il che, senza alcun dubbio, ritarda la sua integrazione nella società americana e la sua definitiva promozione al rango dei cittadini americani di origine nordeuropea. L'italo-americano, dunque, non è un " bianco ": fa parte della popolazione " grigia " degli Stati Uniti, che corrisponde ad una condizione di " media inferiorità ", a metà strada tra gli americani di colore e gli americani bianchi.
Il pericolo per i meridionali sta perciò nel farsi essi stessi esiliati in patria, pericolo che ora, con l'avvicinarsi del " sogno europeo ", diventa più grave, perché il trauma di una modernizzazione accelerata potrebbe indurre il Mezzogiorno a " voler rimanere com'è ", o, addirittura, a voler tornare qual era. E allora le speranze di risolvere con l'aiuto dell'Europa i complessi problemi del Sud d'Italia, e di dar loro una dimensione europea, cadrebbero; e il Mezzogiorno "Sprofonderebbe nel Mediterraneo", cancellandosi da sé dalla carta dell'Europa di domani. L'amarezza di Francesco Compagna, che constata l'ambiguo tentativo di creare le premesse di un rigurgito del passato, assecondato, per cattiva cultura (Compagna dice " per poche letture "), da una imprevidente pubblicistica settentrionale, è comprensibile. Compagna è stato uno dei primi meridionalisti a prospettare I'" europeizzazione " della questione meridionale; ed ancora oggi ne è il più convinto assertore.
Ma - ha scritto di recente Franco Grassi - il collegamento fra Mezzogiorno d'Italia ed Europa non è così automatico come alcuni politici frettolosamente sostengono. Ci sono, da un lato, le pressioni economicistiche che cercano di dare al problema una soluzione " tecnica ", evitando ,investimenti " a rendimento procrastinato " come sono di solito quelli effettuati in aree genericamente depresse; e, dall'altro, le vecchie e intramontabili tentazioni assistenzialistiche, che ci porterebbero a ripercorrere la strada lastricata di errori degli anni del " meridionalismo ruggente ". E qui sarebbe opportuno precisare il vero significato della disputa comunitaria sul trasferimento di risorse dalle economie forti a quelle deboli. Non vorremmo che le resistenze tedesche e quelle francesi siano dovute alla riluttanza ad accollarsi, loro, il peso del Mezzogiorno d'Italia. Comunque, importante in questa fase ci sembra il ruolo della cultura meridionale, che dovrebbe impegnarsi perché il Sud acquisti una vera coscienza europea. Un compito ben arduo, se si pensa che tuttora il Mezzogiorno stenta a costruirsi una coscienza autenticamente unitaria (italiana). Il passato non è privo di insegnamenti.
D'altro canto, una sia pur minima giustificazione ai comportamenti " isolazionisti " dei meridionali c'è. Nulla nasce dal nulla. E la " meridionalità " è nata dalla delusione della politica di intervento pubblico e privato nelle regioni meridionali. Le cattedrali nel deserto, infatti, trovarono - è vero - il deserto intorno quando furono impiantate; ma quel deserto hanno conservato fino ad ora: non hanno fatto esplodere il verde, non hanno rivoluzionato il resto di niente. Le acciaierie di Bagnoli o di Taranto, la petrolchimica di Brindisi, la chimica di trasformazione della Calabria (,che è poi rimasta sulla carta, sebbene gli " investitori " abbiano succhiato il sangue a Cassa e a Stato), non hanno inciso che in minima, ma proprio minima parte nello sviluppo socio-economico delle aree interessate; non hanno creato industrie indotte; non è stata determinata quella catena automatica di iniziative collaterali, complementari e secondarie che si sperava. Non l'ha creata l'acciaio perché, si dice, l'acciaio va molto lontano, è un tipico prodotto d'esportazione; ma non l'ha creata neanche la chimica, e non l'ha creata la meccanica (l'Alfa Sud di Pomigliano d'Arco, ad esempio, o, il Nuovo Pignone di Bari o di Vibo Valentia). Solo l'iniziativa privata ha portato alla nascita d'i alcuni tessuti di piccole e piccolissime imprese (quelle medie sono veramente un'eccezione): ma ciò non può bastare a trasformare la faccia di un deserto. In trent'anni, dunque, il bilancio della politica meridionalistica è un grosso fallimento. Con in più il risultato che il Nord rimprovera al Sud chissà quali sacrifici, e non si chiede dove poi vadano veramente a finire i quattrini " investiti " nel Mezzogiorno. Sul mito dell'industrializzazione, degli incentivi, delle agevolazioni, il Nord in realtà ha realizzato una seconda propria economia: ha trasferito a Sud vecchie macchine e impianti logori, ha trasferito beni e servizi a prezzo altamente remunerativo, ha lavorato per produrre quanto occorreva alle regioni meridionali nella tipica politica delle commesse, dell'esportazione verso aree in via di sviluppo: ancora una volta, dunque, dalla politica meridionalistica sono state le regioni favorite a trarre i maggiori profitti. Inoltre, vale sempre il conto fatto da Rossi Doria e rifatto da Pasquale Saraceno; conti secondo i quali i soli trasferimenti di capitali pubblici dallo Stato alle imprese industriali del Nord durante il primo conflitto mondiale superano di gran lunga quelli trasferiti in trent'anni di meridionalismo statale al Sud. E di guerre mondiali ce ne sono state due!
Se l'industria piange, l'agricoltura non ride. Furono sbagliate non le premesse, ma le metodologie di attuazione della riforma agraria: allora si divise della terra come un sudario di mille brandelli, e volendo accontentare molti, si finì con lo scontentare tutti: aride terre del Sud, senza acqua, senza energia motrice, senza riassetto del territorio; solo la nuda terra, sassi e argille colpite dalle frane, diIavate dalle alluvioni e dagli straripamenti dei fiumi e dei torrenti, sconvolte dall'emigrazione; senza macchine e senza mercati di sbocco; con addetti che coltivavano estensivamente grano e ancora grano, come si gioca al lotto; che di fronte alle accanite concorrenze europee e mediterranee si sono trovati in una condizione di estrema debolezza. Sono cresciuti, oggi, redditi agricoli e prodotto vendibile, ma si sono persi decenni ,dietro alla demagogia; ci siamo persi mercati tradizionalmente nostri, per la mancanza di mezzi e di fondi agli Istituti di ricerca. L'Europa Verde ha fatto il resto. Non è un mistero :il fatto che a Bruxelles abbiamo mandato decine di uscieri e d'autisti, e nessun tecnocrate; e che sempre nella capitale belga ci sono andati, per gran tempo, politici inetti e impreparati. Abbiamo avuto contributi per svellere le vigne e contributi per piantar vigne; per abbattere capi di bestiame e per costituire la zootecnia; per produrre frutta e per distillare la stessa frutta: con il risultato, che, in tanto caos, l'agricoltore meridionale si è perso in un gran mare di contraddizioni e di comportamenti, non ha capito più nulla, e ha coltivato con la tecnica della rapina: quel che presumibilmente poteva richiedere il mercato, da lì a una stagione, e basta; in alternativa, l'emigrazione. E là dove qualcosa di serio veniva fatto, (nell'area calabrese di Gioia Tauro, ad esempio, coltivata a primaticci, soprattutto a fragole, con sicuri mercati di collocazione esterni) lo spettro di un impossibile quinto centro siderurgico ha portato ad espropri, a speculazioni, a distruzioni imperdonabili. Com'era accaduto per Sibari, dove ancora oggi è visibile il molo semisommerso dal mare per la creazione di un porto industriale che in realtà sarebbe stato, soffocato continuamente dagli spostamenti sottomarini delle sabbie, qui mosse da fortissime correnti: si sono buttati miliardi di lire, e come le streghe di Macbeth, si è lavorato ad un'opera senza nome.
Sta prendendo luogo un turismo a largo raggio, e questa industria senza ciminiere e senza smog può dare più concrete prospettive al Mezzogiorno. Ma anche in questo campo ci sono deficienze pubbliche: le aree omogenee di sviluppo turistico, previste dai programmi del vecchio Comitato Interministeriale per il Mezzogiorno, carta erano e carta sono rimaste. Una gigantesca rivoluzione cartacea ha caratterizzato il meridionalismo di Stato in trent'anni: e se oggi si parla di crisi del Paese, e si tratta di una crisi che investe tutto, industria, agricoltura, commerci, occupazione, lavoro nero, è anche perché in trent'anni non si è fatto granché per risolvere i problemi del Sud. Il vecchio dualismo economico tra l'Italia favorita ed esportatrice e l'Italia non favorita e importatrice, dualismo sul quale si è sempre fondata l'economia del Nord, sopravvive in tutte le sue forme, e sembra destinato, a restare ancora per gran tempo la ragione di tutte le politiche d'intervento nel Sud. Un Sud malato nella produzione, nel consumo, nell'occupazione: tre bandiere gialle per un malessere permanente, dal quale otto regioni non riescono a venir fuori se non facendo ricorso come sta per accadere ancora una volta all'emigrazione: è ripresa quella interna, e Torino e Milano sono di nuovo i due grandi punti di riferimento; si proseguirà con i Paesi europei? Difficile prospettiva, con una Svizzera apertamente xenofoba, con la Germania Federale e con la Francia sulla difensiva, con l'Inghilterra ormai satura. Torneremo alle angoscianti emigrazioni transoceaniche? Cioè: ricominceremo, come negli ultimi anni del secolo scorso, a tentare fortune pionieristiche? E di quale pionierismo dovrebbe ormai trattarsi? Il futuro è buio, un interrogativo, o tanti interrogativi, cui non è facile, e forse possibile, dare risposta.
Su quello che, per un valido sviluppo del Sud, può fare la politica, si è ormai, detto tutto e il contrario di tutto. E la cultura? Cosa ha fatto la cultura meridionale per denunciare i problemi irrisolti del Mezzogiorno? E' stato scritto che all'allargamento degli interessi della cultura come " weltanschaung " del Sud ha contribuito lo spostamento della questione meridionale dalla problematica italiana a quella europea e occidentale, :con l'avvio dato da studiosi di valore, da Salvatore Francesco Romano a Bruno Caizzi, a Rosario Villari, e poi Luciano Cafagna, Manlio Rossi Doria, Francesco, Compagna, Carlo Rodanò.
Da qui, i dibattiti alla Sorbona (con il notevole dibattito, sulla questione se la narrativa italiana sia riuscita a realizzare con concretezza di visione la realtà del Sud); in Germania, con lo storico Vochting in prima linea; in America e in Inghilterra.
Da un altro punto di vista, quello del cinema, al di là forse de " La terra trema ", " Il sasso in bocca ", " Salvatore Giuliano ", con i quali si poneva in termini sinceri e drammatici il problema antico della fame, del banditismo, delle sue compromissioni con la politica, nel Sud, la decima musa non ha saputo, potuto o voluto realizzarsi compiutamente, dal momento che con altre produzioni ci si è perduti dietro a un Sud di volta in volta erotico, fumettistico, frammentario, folcloristico, con gli sbruffi per il grosso consumo.
In pittura, il problema fu brevemente ma efficacemente affrontato da Vincenzo Ciardo (" Valore della tradizione nella pittura meridionale ", nella rivista l'Albero, 1960): discorso che meriterebbe di essere ripreso e sviluppato sul filone progressivo dell'impostazione realistica dei pittori meridionali, risalendo sia pure per sommi capi fino alla Scuola di Napoli dell'olandese Van Pitloo.
Per la recente narrativa italiana che ha il Sud come sfondo, o tema, o problema, l'elenco si fa abbastanza lungo. Nei brani che presentiamo diverso è il peso, differenti sono le implicazioni culturali, varie le capacità di oggettivazione. Ma certo, si tratta di un phylum frammentario, legato più agli interessi culturali e alla sensibilità dei singoli scrittori che a una " ideologia " meridionale tout court: fatto positivo, ove non si voglia cadere in quella " meridionalità " di cui dicevamo all'inizio; ma anche con aspetti negativi, ove si pensi che, al di là di alcuni vitali lavori di scavo della realtà meridionale (dalla quale non è poi consentito staccarsi, come se fosse un problemino di puro esercizio letterario), abbiamo avuto troppo spesso degli specchi infedeli, e a volte deformanti, della realtà.


Il Gattopardo
Tomasi di Lampedusa

Noi siciliani siamo stati avvezzi da una lunga, lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si scampava dagli esattori bizantini, dagli emiri berberi, dai viceré spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così ( ... ). In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di " fare ". Siamo vecchi..., vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il " la ". Noi siamo dei bianchi quanto lo è lei..., e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra.
Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.


Cristo si è fermato a Eboli
Carlo Levi

Parlavo con i contadini, e ne guardavo i visi e le forme: piccoli, neri, con le teste rotonde, i grandi occhi e le labbra sottili, nel loro aspetto arcaico essi non avevano nulla dei romani, né dei greci, né degli etruschi, né dei normanni, né degli altri popoli conquistatori passati sulla loro terra, ma mi ricordavano le figure italiche antichissime. Pensavo che la loro vita, nelle identiche forme di oggi, si svolgeva uguale nei tempi più remoti, e che tutta la storia era passata su di loro senza toccarli. Delle due Italie che vivono insieme sulla stessa terra, questa dei contadini è certamente quella più antica, che non si sa donde sia venuta, che forse c'è stata sempre. Humilemque vidimus Italiam: questa era l'umile Italia, colme appariva ai conquistatori asiatici, quando sulle navi di Enea doppiavano il capo di Calabria.


Maracanda
Francesco Zedda

Da due giorni, don Barisone era uscito di casa e non era più tornato. Questo, in Barbagia, è annunzio di morte... Al terzo giorno, fu trovato dai cani, morto, dietro una siepe, a Filistorro, a mezza strada tra Maracanda e Orgosolo. Ai latrati dei cani accorsero tre servi pastori, che stavano lì col gregge, videro il vecchio, pancia all'aria, le braccia aperte. Il cavallo era lì accanto, con le redini legate a una quercia. Dalla bocca di don Barisone uscivano, tanti biglietti da cento, come foglie di lattuga. Sangue, sul petto e sul ventre lacerati dalle coltellate...


L'amara scienza

Luigi Compagnone

Grattacielo. Come in America. Grattacielo. Colme raccontava papà. Allora anche Napoli è America, grazie a Nostro Signore. America, ricchezza, progresso, vita per tutti; e io, Madonna santa, che non lo sapevo; da anni sempre chiuso, lì, ai Tribunali; da anni e anni vicino a papà: e non ero anch'io un uomo? Un napoletano? E invece niente sapevo del mondo, niente di questa città mia; papà raccontava e diceva: New York; pareva una bugia, e invece era vero, è vero; e rialza il capo, per camminare pian piano cogli occhi lungo il corpo del grattacielo...


Radici di Puglia
Giuseppe Cassieri

i primi segni dell'opera dell'uomo sono dati dai muri a secco o " muricce ", e dalle " specchie ", costruzioni unicellulari megalitiche che alcuni collegano ai " castellieri " dell'Istria e della Bosnia, a sottolinearne il raccordo illirico. La " masseria " è invece una già complessa costruzione agricola: esito di trasformazioni economiche avvenute in drammatiche congiunture nel rapporto con la terra. Dapprima la prevalenza del pascolo, poi la cerealicoltura estensiva, in ultimo la viticoltura. Le origini sono longobarde, il nome è celtico: " mas " ossia " campagna ", più " er " ossia abitazione. La simbiosi non si è granché alterata.


Napoli Silenzio e grida

Carlo Bernari

Solo in pochi passi la caffetteria era stata separata con un tramezzo provvisorio dal resto della casa: si trattava però di una pietosa finzione, poiché la mescolanza di affetti, di affari, di affanni, è la nostra vocazione, direi il vero genio che ci ispira nei momenti più tetri della nostra esistenza. Ecco perché nelle grandi calamità, quelle che provano le strutture morali di un popolo, noi ( ... ) riusciamo a dimostrare al mondo chi siamo, di che cosa siamo capaci. Dateci una guerra, dateci una rivoluzione, dateci un'eruzione, un colera, e vi si fa vedere se siamo o non siamo un popolo unito, che dico popolo, una famiglia, una ciurma ammutinata, che, stretta attorno all'albero di maestra, è decisa a salvar la pelle e la nave. Ma ci occorre un pericolo contro cui batterci.


Noi lazzaroni
Saverio Strati

Eravamo una cinquantina di terroni, sul treno. Era detto nella richiesta di lavoro che a Chiasso bisognava scendere per la visita medica. (...)Che sapevamo di mondo e di viaggi ....? Avevo guardato dal finestrino durante tutto il viaggio, per vedere come fosse il Nord. Da Roma in poi il cielo era grigio, da Bologna in su il cielo era scuro. Anche le case erano scure e la gente camminava raccolta in se stessa per il freddo ( ... ). Ci affrettammo a mettere giù dai bagagliai le nostre scatole di cartone, legate con cordicelle, i nostri sacchi zeppi di pane e di altro, e ci trovammo al freddo crudo, da fare cascare gli uccelli secchi a terra ( ... ). Non riuscivo a connettere per il freddo.
Dentro di me bestemmiavo come un dannato. Tremavo, battevo i denti. Ero così scoraggiato, che pensai di tornare indietro. Ma c'erano donne con bambini e mi feci forza. I bambini piangevano, e le donne che venivano dalla Sicilia si guardavano smarrite intorno (...). Fui uno dei primi ad essere visitato. Mi guardarono in gola, mi osservarono i denti come si fa con i cavalli, mi auscultarono il cuore e le spalle, mi toccarono i testicoli, m'infilarono perfino un dito in c… ( ... ). Quando fummo, sul treno che ci portava verso Zurigo, stemmo in silenzio, vergognosi. Nessuno di noi osò parlare di quella visita. Avevamo accettato di venderci giorno dopo giorno, ci eravamo offerti spontaneamente e non potevamo protestare.


Il feudo
Antonio Altomonte

Sulla strada di casa, Michele avvertiva, in accordo con lo sguardo che ripassava particolari già quasi dimenticati, il dialetto piano, semplice, dei sensi a colloquio coi luoghi da cui per tanto tempo era rimasto lontano. Si ritrovò nella scorza rugosa e scura dell'olmo, quando le sue braccia di ragazzo non ne circondavano per intero il tronco, nelle cacce ai nidi tra le fronde: e fu come l'inizio di una lunga storia tra lui e gli orti, che erano tanti capitoli di geometria piana... Poi, oltrepassata la curva a gomito, alzò gli occhi e vide il vecchio attraversare l'aia, la schiena curva piantata sul tronco... C'era anche una donna, seduta all'ombra della casa che dava sull'aia... Michele gridò: "Pa'". Ma il richiamo, formulato a quel modo, suonò falso, forestiero, come quello di un clacson per una strada di campagna. E si corresse: " Padre! Padre! ".


Calabria grande e amara
Leonida Répaci

Diletti come la delinquenza, la violenza, la tracotanza provocatoria, la vendetta, il punto d'onore, l'omertà, il delitto per commissione, la lupara da malia o da camorra, l'andar sempre armati come in pattuglia di guerra: tutti questi difetti sono frutti di società patriarcali fortemente accentrate sull'unità familiare, appaiono relitti storici delle dominazioni stabilite con le armi, del sicariato baronale, della segregazione della donna in casa e della sua soggezione al padre, al fratello, al marito, della rissosità tra le varie fazioni in lotta per il predominio comunale. Sono diletti destinati a estinguersi con la circolazione delle idee, con la diffusione della cultura...


Caratteri
Mario La Cava

Aveva diviso il terreno fra le sue tre figlie sposate; ed ugualmente il vecchio Carrà era rimasto come se fosse il padrone. Andava sempre nelle belle giornate, sia d'estate sta d'inverno, a guardarlo dall'alto di esso, dove c'era una capanna, e ora faceva una cosa ora un'altra, secondo le forze che lo accompagnavano. Si sentiva come a casa Sua nel fondo, e quando faceva caldo si metteva in mutande e camicia ed usciva dalla capanna, dove restava anche la notte, per girare lungo, i sentieri che avevano dall'altra parte la gente che lo vedeva, senza preoccuparsi di nulla; perché era un uomo antico e quel suo costume non faceva tanta impressione


Conversazione in Sicilia

Elio Vittorini

Era splendido, così lontana nello spazio, e mia madre disse ch'era una terribile estate. Questo significava non più un filo d'acqua in tutti i torrenti per cento chilometri da ogni parte e dinanzi agli occhi nient'altro che stoppie da dove il sole spuntava sino a dove tramontava. Non c'erano case per venti, trenta chilometri da ogni parte, eccetto, lungo la linea, le case cantoniere schiacciate a terra dalla solitudine; e ch'era una terribile estate significava non una ombra per tutti quei chilometri, le cicale scoppiate al sole, le chiocciole vuotate dal sole, ogni cosa al mondo diventata sole.


L'uva puttanella

Rocco Scotellaro

Vedevo stranamente le cose: potevo essere a seicento metri sul livello del mare, digradanti erano le terre fino, al fiume, e dal fiume si alzavano altre terre di fronte e il bosco nerastro di Cognato; e le Dolomiti sterili in fondo da dove veniva il fiume, e dietro il nostro bosco, nascosto allo sguardo. Dove il Basento pareva uno specchio, era per la sua vena allargata in un grande pozzo. Tutto questo, i boschi, le terre, il fiume mi pareva che riempisse il cielo, il cielo col suo colore solito era lontano e alto come una tela.


Voci di Vallea
Dante Troisi

Convinti che anche a Vallea impareranno presto a praticare il sequestro di persona, i professionisti pretendono almeno il doppio degli onorari abituali e i possidenti dimezzano il compenso agli operai, per costituire un fondo di riserva da destinare al pagamento, della taglia. E cioè, per difendere dai banditi il patrimonio sinora meritatamente accumulato, hanno bisogno di un altro patrimonio da raccogliere e crescere col sacrificio dei clienti e dei dipendenti, affinché, al momento del riscatto, il prezzo della salvezza ricada e pesi tutto sulla comunità che non è capace di proteggerli.


Il vento nell'oliveto
Fortunato Seminara

- Guardate - mi dice un contadino con un gesto d'ira, mostrandomi i rami d'olivo caduti a terra, o rimasti sospesi agli alberi. - In una notte la neve ha causato più danni, che il vento durante tutto l'inverno. Contro il vento l'olivo si difende meglio che contro la neve; perché investita di fianco, ciascuna pianta si ripara dietro l'altre - Riconosciuto il male, il contadino pensa ai rimedi; ma qui non è altrettanto felice e perspicace: i suoi rimedi sono, fantastici, assurdi, o addirittura miracolosi. Quando nevica, non si dovrebbe dormire; dovremmo stare tutti sotto gli olivi pronti a scuotere la neve... - Alla fine sorride. - Se tutto accadesse secondo i nostri desideri, saremmo felici, - dice. Ma la felicità, si vede, non è per noi...


Gli alunni del tempo

Giuseppe Marotta

Noi del Pallonetto siamo,, da epoca immemorabile, gente così: malata fino alle ossa di " petizioni ", di " esposti ", di ardenti invocazioni scritte. Quale nostro dominatore greco, romano, svevo, normanno, angioino, spagnuolo, francese eccetera, non abbiamo linciato coi fervidi appelli?
Tiranni e liberatori di ogni ceto e periodo, testimoniate: è vero o non è vero? Noi ce ne infischiamo dei vostri abusi e delle vostre dittature, come ce ne infischiamo dei vostri alberi della libertà e delle vostre unità d'Italia; noi vi caricammo di " esposti ", eccellenze, perché unità e disunione, preti e antipreti, eguaglianza e disuguaglianza, mazzate e carezze, non si mangiano. E' chiaro? Donna Giulia Capezzuto, dovendo nutrirsi con 15 mila lire di pensione, dove intravede uno spiraglio di Cardinale o di Sindaco o di Prefetto o di semplice nababbo indigeno o forestiero, là piazza la botta della " supplica ". Datele qualche nome, al resto pensa lei.


La contrada degli ulivi
Giuseppe Bonaviri

Alla Stizza i ragazzi dormivano di traverso, nel letto grande dove dormiva pure Antonio, e se ne stavano sotto la coperta vecchia che si sdruciva, coi sogni di lupi e di briganti per la persona. Antonio e il suocero consumavano in silenzio le loro ulive, cotte fra il carbone, e del pane, dura che bisognava umettare prima di masticare... Era andato via nel tardo pomeriggio, perché il sole era forte e luceva sinanco sulle pietre della trazzera, e tutti si erano raccolti sul ciglio del monte delle dise a salutarlo, ché di là si vedevano persino i pendii aridi di Casagrande... A tutti piangeva il cuore nel vedere massaro Michele allontanarsi sotto i carrubi della vallata di Mirabella, e il vecchio si era voltato una sola volta per salutare con una mano e poi ( ... ) non si era voltato più e camminava presto perché si sentiva un peso sul cuore, come ci avesse avuto sopra la grande pietra liscia ch'era avanti la casa di don Francesco.


Don Giovanni in Sicilia
Vitaliano Brancati

Bisogna poi aggiungere che la storia più importante di Catania non è quella dei costumi, del commercio, degli edifici e delle rivolte, ma la storia degli sguardi. La vita della città è piena di avvenimenti, amicizie, risse, amori, insulti, solo negli sguardi che corrono fra uomini e donne; nel resto, è povera e noiosa... Le donne ricevono gli sguardi, per lunghe ore, sulle palpebre abbassate, illuminandosi a poco a poco dell'albore sottile che formano, attorno a un viso, centinaia di occhi che vi mandino le loro scintille. Raramente li ricambiano. Ma quando levano la testa dall'attitudine reclinata, e gettano un lampo, tutta la vita di un uomo ha cambiato corso e natura. Se lei non guarda, le cose vanno come devono andare ... : uguali, comuni, insipide, tristi: insomma, com'è la vita umana. Ma se lei guarda, sia pure con mezza pupilla, oh, ma allora...


Il giorno della civetta
Leonardo Sciascia

- Io - proseguì poi don Mariano - ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre... Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo...
- Anche lei - disse il capitano con una certa emozione... Al di là della morale e della legge, al di là della pietà, era una massa irredenta di energia umana, una massa di solitudine, una cieca e tragica volontà: e come un cieco ricostruisce nella mente, oscuro ed informe, il mondo degli oggetti, così don Mariano ricostruiva il mondo dei sentimenti, delle leggi, dei rapporti umani. E quale altra nozione poteva avere del mondo, se intorno a lui la voce del diritto era stata sempre soffocata dalla forza e il vento degli avvenimenti aveva soltanto cangiato il colore delle parole su una realtà immobile e putrida?


Racconti siciliani
Danilo Dolci

Il primo di tutti, dopo la guerra, alla punta della piazza, si chiamava Cianciana: forse fu per scopi politici. Quello che suo padre stava a Belvedere: ragione di sopprimerlo perché era impiegato e avendo paura che questo poteva dire, l'hanno fatto scomparire.
Michelangelo Randisio e il figlio di Zu Matteo Capra sono scomparsi e poi hanno trovato l'ossa quando hanno cercato nella fossa dove avevano buttato il figlio di donna Calorina Saporita. E hanno trovato tante ossa che potevano caricare un carretto. Anche quelle di Gullotta Angelo. E era scomparso pure il fratello di Ciccio Navarra. Questa foiba si trova sul Monte Casale.
Poi c'erano tre fratelli di Grisì, che abitavano qui, a Corleone, e uno l'hanno trovato in mezzo: al binario, un altro fratello è venuto in licenza e la sera stessa l'hanno liquidato vicino all'armiere, e il terzo ha cambiato, posto e non sappiamo dove. Che quello che era venuto dalla licenza aveva detto che la mafia di qui se la doveva adoperare come stuzzicadenti. E l'hanno sentito, e di giorno l'hanno liquidato, a bruciapelo in testa, per la strada.
Poi c'era un palermitano, che da piccolo abitava a Corleone, e poi è scomparso, si chiamava Montesano Pietro... Poi Pino Orecchione..., Poi qui in paese c'è stato Vito Capra, il perché pronosticavano le persone che faceva lettere di estorsione, l'hanno sparato di sera. Poi c'è stato un altro che si chiamava Selvaggio, ..., e ci hanno sparato, la gente dice che portava un po' di bandanza. Poi c'è stato un altro chiamato Mariano Governale, che è, stato ucciso nella seconda traversa di Sant'Elena. Ci hanno sparato a lupara e poi gli hanno spaccato la testa col calcio del fucile; questo dicono per fatti di onore... A Scalisi Mariano gli hanno tagliato le mani dopo averlo sparato, in contrada Bingo... Qui a Corleone dappertutto si spara, dove si piglia piglia... Amenda Salvatore, ci dicevano lo sceriffo perché era una guardia di pubblica sicurezza che si era ritirato, ci hanno sparato a lupara, che con la pistola c'è un colpo solo, a lupara sono più sicuri. Dicono che faceva l'infame, - Carnazza successe, - si dice, come quando c'è una mula in terra: carne morta in terra, significa...
Il figlio di Tana Cascietta l'hanno ammazzato dove c'è la fontana rotonda, ..., per affari d'interesse; e il padre di questo era stato sparato a Malvello. A Piano delle Donne, si chiamava Schillaci, era stato impiegato a guardare animati, forse per divisione di furti, dice il popolo; ... Di Palermo fu ucciso nella casa di una femmina, che voleva partire per l'America. Poi in contrada Bichinello, in mezzo la strada fu sparato Vincenzo Guarino: era un pezzo grosso di mafia... Un altro chiamato Passalacqua, ..., forse diverbio tra giovani, per spartizioni. Un altro, in contrada Signoruzzo, in campagna. Ci hanno scaraventato la testa un sasso... Dopo questa uccisione fu ammazzato il boia di Roccamena: lui, il bambino furono ammazzati, il mulo, il cane e la capra. Navarra l'hanno sparato mentre era in macchina... Collura, di sera è stato... I due fratelli Marino... A due guardie campestri... Lo Bue Carmelo ... uno di Cammarata... Mancuso Mariano... Cuccia Salvatore ... Monteleone Mariano... Nicolosi... Il figlio di Cacascio ... Giuseppe Orlando... Turiddu Bono... Leoluca Mondello...


Un treno nel Sud
Corrado Alvaro

Ai piedi della montagna muta e pericolosa, è disteso Partinico sulla feconda pianura. Case uguali, strade uguali, alla apparenza come uno di quei padiglioni di fabbriche a vari reparti col profilo triangolare dei tetti dei vari padiglioni...
Uno sprone del monte, una roccia marina arenata in questa pianura, forma nel mezzo del paese una fantastica costruzione, una torre o una cattedrale. La gente si rasenta appena, si saluta appena, ma le trecento famiglie vedove e orfane dei confinanti, banditi, assassinati, vestite di nero, col velo nero dalla testa alle ginocchia le donne, tutte uguali nel lutto per fatti cui la loro ragione non arriva e che si confonde in una uguale sventura sociale, aspettano la cucina popolare che stanno mettendo insieme... per avere una minestra, vedove e orfani. ( ... ) E' come se tutti, da una parte e dall'altra, fossero travolti; da un dramma più grande di loro.


Un popolo di formiche
Tommaso Fiore

Non occorre dirti che c'è anche una Puglia non letteraria, non retorica, del tutto ignorata, desolata, tetra, respingente, disperata, da tutti per calcolo e per viltà trascurata, quella della Murgia di Nord-ovest e dei suoi anche più rozzi contadini. Bisogna che tu impari ad amarla, anche perché non sanno o non possono amarla gli altri ( ... ). Il paesaggio, nella sua desolata sconfinatezza, nella sua assenza di linee forti, suggestiona ed invita l'occhio a frugare con uno struggimento di morte. Nessuna traccia di alberi, tranne intorno ai paesi per due o tre chilometri; sotto l'oceano di luce eguale, perspicua, sotto le grandi nuvole accavallate, anche l'altopiano nudo è un succedersi di ondate di grigio e ferrugigno lievemente mosse, all'infinito, con solo lo stacco dei terreni più scuri arati e dei verdoni matti dei prati...


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000