§ Federico di Puglia e di Sicilia

Lo splendore del mondo




Luca Marescalchi



Ancora oggi il nome del grande Svevo rievoca un'età di insuperato splendore delle due Regioni, che videro create una lingua, una poesia, un'arte, e una diplomazia planetaria; e, infine, la grandiosa ipotesi di federazione tra la Germania e l'Italia del Sud, retta dalle Costituzioni Melfitane, con eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: un'anticipazione sui tempi in cui visse, e che fece del bacino mediterraneo il vero centro del mondo, con l'incontro delle culture, delle scienze e delle religioni latina, greca, araba.

26 dicembre 1194, a Iesi, nelle Marche: all'interno di una grande tenda sfarzosamente addobbata, eretta al centro della Piazza del Mercato, una folla di gentiluomini e prelati, fra cui diciannove fra Cardinali e Vescovi, è raccolta attorno a un letto. Vi giace una donna, assistita da un medico e da due levatrici: è in preda alle doglie del parto. I presenti attendono in silenzio, e silenziose sono le centinaia di persone che sostano fuori, nella piazza. Poi, d'improvviso, si levano grida di gioia, in italiano e in tedesco: una delle levatrici presenta agli astanti un neonato, un maschio. Mentre la madre, colta da collasso, perde i sensi, il bambino viene subito avvolto nella pelle di un agnello appena ucciso, poi lavato e unto di grasso, prima di essere fasciato di candido lino.
La puerpera è Costanza, moglie di Enrico Sesto, imperatore e re di Germania, in quei giorni a Palermo, dove il 24 dicembre era stato incoronato re di Sicilia. E' stata l'imperatrice a volere che il parto avvenisse in pubblico: Costanza, che ha quarant'anni compiuti ed è al suo primo figlio, intende così fugare ogni dubbio della sua maternità. Il marito, che merita largamente il soprannome de " il crudele ", non vedrà mai il suo erede, cui vengono imposti i nomi di Federico Ruggiero, anche se per la storia resterà, luminoso, solo il primo.
Sulle spalle del neonato pesa una eredità prestigiosa, ma difficile da mantenere, e densa di rischi. Suo nonno era Federico Primo, " Barbarossa " per gli italiani: colui che il 18 giugno 1155, con la consacrazione in San Pietro, aveva ottenuto - primo degli Hohenstaufen, duchi di Svevia - la corona d'oro del Sacro Romano Impero: grandissimo imperatore, e a suo modo anche giusto, era stato il Barbarossa, perito durante la seconda crociata alla frontiera con la Palestina, per essersi ostinato a traversare a cavallo un torrente in piena. Il padre, Enrico, a sua volta re e imperatore, ha dovuto combattere il regno di Sicilia, comprendente tutta l'Italia meridionale, da Napoli in giù, fino all'amatissima Puglia: regno portatogli in dote da Costanza, ultima discendente dei re normanni dopo la morte del nipote Guglielmo Secondo d'Altavilla. Enrico Sesto combatte duramente, e di lui si ricorderà soprattutto il comportamento spietato con i nemici: è sospettoso con tutti, ma sarà imperatore solo per sei anni, e per meno di tre sarà re di Sicilia. L'8 settembre 1197 muore a Messina: una colica, diagnosticano i medici. Veleno, insinuano alcuni, facendo persino il nome della moglie, che in realtà non lo aveva mai molto amato, e ne temeva sia il carattere violento, sia la tendenza a dare il primo posto alla corte palermitana ai nobili venuti con lui dalla Germania.
Federico non ha ancora quattro anni, quando la madre lo fa incoronare re di Sicilia, duca di Puglia e principe di Capua. Un biondo bambino tedesco sovrano del grande regno del Sud, popolato di latini, greci, arabi, normanni, centro di culture polivalenti e matrice di grandissime civiltà: sovrano solo di nome, ovviamente; ma Costanza sa governare, viene dalla splendida scuola dei normanni di Sicilia e di Puglia: rinvia in Germania i tedeschi troppo legati alla politica del defunto sposo, tiene rispettosamente a bada il Pontefice Innocenzo Terzo, che avanza delle pretese sulla Puglia, placa il malcontento dei baroni del regno, creando un Consiglio di Reggenza formato da nobili locali. Per fare tutto questo ha appena un anno di tempo: il 27 novembre 1198, Costanza muore, lasciando il piccolo Federico sotto la tutela di Innocenzo Terzo.
Fin dai tempi del Barbarossa, i Papi avevano individuato negli Hobenstaufen gli avversari irriducibili del potere temporale della Chiesa: la divisione tra Ghibellini (da Waiblingen, un castello della casa di Svevia) e Guelfi (da Welf, soprannome dei duchi di Baviera) si delineava come quella tra partigiani dell'Impero e del Papato, con alcune sfumature ed eccezioni destinate a confermare la regola. Innocenzo Terzo accetta la tutela di Federico, in un certo senso pensando che in tal modo avrebbe potuto dominare almeno " quello " svevo e, in altro senso con qualche riserva mentale. Comunque, sbaglia ogni calcolo, perché non può sapere quanto grande sarà il temperamento di Federico.
Sono anni difficili, infoschiti da contese accanite per un feudo, un regno, un impero. La Sicilia è dilaniata da intrighi tra ministri e nobili tedeschi; in Puglia si insedia Gualtiero di Brienne che, sposato alla discendente di un ramo bastardo dei re normanni, rivendica la corona di Sicilia; la Repubblica di Genova trasforma Siracusa in una sua colonia. E in Germania Filippo Hohenstaufen, fratello di Enrico Sesto, lotta per il titolo di re e imperatore contro il guelfo Ottone di Brunswick. Federico, data la giovanissima età, è lontano da tutti questi affanni: vive nella reggia di Palermo, uno splendido palazzo in stile arabo-normanno, al centro di una città considerata allora " la più vasta e la più bella metropoli del mondo ", come ha affermato lo -scrittore arabo Ibn Gubair, che pure conosceva la favolosa Cordova dei Califfi. La corte che circonda il giovane re è orientale piuttosto che latina o germanica, e Federico ne esce liberamente per vagabondare nelle strade con altri suoi coetanei, percorre i quartieri risonanti di dieci idiomi diversi, si sofferma nei mercati e nelle botteghe dove si ammassano mercanzie giunte da ogni parte d'Europa, dall'Asia, dall'Africa. Palermo è anche la capitale della tolleranza: cristiani latini, greci ortodossi, tedeschi, normanni, saraceni, ebrei, vivono insieme in armonia, e non è ;sempre possibile distinguerli a prima vista. Vi sono cavalieri normanni e svevi che ormai hanno adottato nel vestire (e non solo nel vestire) la moda musulmana, e molte donne latine e greche si velano il volto come le arabe. Con ogni probabilità, l'educazione della strada, l'accompagnarsi a gruppi spesso turbolenti e a volte poco raccomandabili, non rientra negli schemi dell'etichetta; ma Federico impara a conoscere la gente, i suoi problemi,
i pregi e i difetti di un popolo ancora composito e in fase di gestazione in una terra di cui questo tedesco-normanno si sente profondamente figlio. Non trascura però gli studi, per i quali mostrerà ben presto una forte disposizione, e fra i suoi precettori ha il Cardinal Cencio Savelli, che sarà poi Pontefice.A conservargli la corona pensa Papa del momento, che - quando egli compie 14 anni - gli rimette nelle mani il " Regnum ", come veniva chiamato il dominio di Sicilia e di Puglia: a dire il vero, Innocenzo Terzo ne aveva amministrate le finanze abbastanza a proprio beneficio, e Federico, fatti i primi conti, si accorge di dover iniziare tutto da capo; ma non protesta: anzi si dichiara riconoscente e fedele. Il fatto è che ha ancora bisogno del Papa, se vuole essere ancora re di Germania e imperatore. Intanto prende moglie, sposa Costanza d'Aragona, più anziana di lui, che gli dà un figlio, Enrico. E Innocenzo Terzo convince nel 1212 la Dieta di Norimberga ad eleggere Federico re di Germania, sostituendolo ad Ottone di Brunswick che, per quanto guelfo, si era rivelato troppo indipendente e vorace una volta ottenuta quella corona, e l'altra da imperatore. Federico, invece, appare docile, sottomesso, fedele. Papa Innocenzo muore, e sale alla cattedra di Pietro Cencio Savelli con il nome di Onorio Terzo: il giovane re di Sicilia, e ora anche di Germania, è stato suo allievo. Onorio, che ha 90 anni, si ritiene certo della sua sottomissione alla Chiesa, e il 22 novembre 1220 lo incorona in Roma Imperatore del Sacro Romano Impero, titolo che formalmente gli attribuisce il potere terreno assoluto, il secondolposto dopo quello supremo pontificale.
Il secondo? Federico ritiene che dovrebbe essere il primo, ma si guarda bene dal proclamarlo. E promette qualsiasi cosa gli venga richiesta dal Papa, in particolare di rinunciare alla corona di Sicilia in favore del figlioletto Enrico - poiché la strategia della Chiesa considera con sospetto l'unione sotto una sola persona della Germania e dell'Italia Meridionale, con i capisaldi della Sicilia e della Puglia - e di guidare una Crociata in Palestina. Promette senza la minima intenzione di mantenere quanto ha promesso. Il " Regnum " è la sua patria e la sua forza, e se gli è utile essere re di Germania, la prospettiva di doverci vivere gli fa orrore. Quanto a partire per una Crociata, Federico non crede a questo genere di imprese: alle guerre preferisce la diplomazia, e non trova alcun motivo valido per andare oltre il mare a combattere i musulmani, che personalmente stima, e dei quali apprezza la cultura e l'arte. In nome della religione? Accusato durante tutta la sua vita di essere un eretico, o addirittura un ateo, Federico pensa che un'idea religiosa non abbia bisogno di montagne di morti per affermare la propria verità. Onorio, sebbene sia di carattere mite, ha invece il gusto delle Crociate - e infatti convince il re di Francia a farne una sanguinosissima, contro gli " infedeli " di casa sua, gli eretici Albigesi - e Federico riesce a stento a eludere i suoi appelli. Non vi riesce affatto, però, con il successore, Gregorio Nono, che oltretutto lo detesta: il nuovo Pontefice, vista la resistenza di Federico a separarsi dalla corona di Sicilia e Puglia, e visto il suo rifiuto di andare a combattere in Terra Santa, lo scomunica.
Il grave provvedimento lascia piuttosto indifferente Federico, ma esso può fornire armi e pretesti contro di lui ad avversari e ribelli. Se è proprio indispensabile, libererà Gerusalemme, ma lo farà a modo suo. Dopo la prima Crociata, la città del Santo Sepolcro era stata tolta ai cristiani del Saladino, nel 1187: ora fa parte del regno del Sultano Malik Al Kamil, territorio che si estende dall'Egitto alla Siria. Il sovrano di Palermo è in ottimi rapporti con Al Kamil, i due si scrivono spesso, per motivi di Stato ma anche per scambiarsi pareri in materia di filosofia e di scienza. Stando così le cose, Federico propone al Sultano di rendere ai cristiani la sola città di Gerusalemme, consentendo la " libera disponibilità dei luoghi santi ", Fra l'altro, rimasto vedovo, egli ha sposato Jolanda di Brienne, che gli ha portato in dote il diritto di successione alla corona di Gerusalemme. Dopo una serie di trattative, condotte con grande affabilità e con reciproco ;scambio di ricchissimi doni, si giunge all'accordo, tenuto segreto. Il 18 giugno 1228, Federico parte dal porto di Brindisi alla testa di cinquanta navi cariche di " crociati ", fra cui le truppe saracene che formano la sua guardia personale. A Gerusalemme lo attende Al Kamil per consegnargli la città: si ripetono i gesti di cortesia, Federico visita sia i luoghi cristiani, sia le moschee, il sultano ordina ai muezzin di non lanciare il richiamo serale alla preghiera per un riguardo verso il nuovo sovrano.
Ma Gregorio Nono non apprezza la iniziativa; anzi, grida allo -scandalo, riconferma la scomunica e invita re e principi cristiani a partire per una Crociata, non a Gerusalemme, ma contro Federico Secondo: chi lo ucciderà sarà benemerito, e potrà partecipare alla spartizione dei suoi territori. Nessuno accoglie l'invito. Ma il conflitto fra il Papato e l'Impero è insito nella realtà delle cose, anche se si tratta di due entità non troppo ben definite. L'imperatore, che si vuole discendente dell'antica Roma, per esser tale deve venire incoronato dal Pontefice. Dal canto suo, il " Vicario di Cristo " gode di una potenza spirituale sorretta da una forza materiale pressoché inesistente: spesso il Papa non riesce nemmeno ad occupare la sede apostolica di Roma, e deve vivere in esilio. Ma la stessa corona imperiale, pur conferendo a chi la cinge il titolo di " sovrano di tutte le terre ", è nei fatti privata di gran parte del suo valore dall'esistenza di regni nazionali ormai da tempo autonomi: l'imperatore si limita quindi ad essere il sovrano dell'Europa Centrale - un sovrano che deve di continuo affrontare vassalli potenti e infidi - e dell'Italia, dove la sua autorità si scontra con quella del Papa e con l'altra, delle autonomie comunali, spesso alleate. L'imperatore può comandare, ma di rado deve attendersi di essere ubbidito, a meno di essere in grado di usare la forza: e le sole truppe sicure di cui Federico Secondo potrà mai disporre sono quelle di Sicilia e di Puglia: del " Regnum ".
Federico guarda però al di là delle tattiche guerresche, in ciò diversissimo dai suoi predecessori, uomo e monarca in anticipo sull'epoca nella quale vive." La corona imperiale non aveva mai adornato il capo di un imperatore altrettanto geniale ", ha scritto di lui lo storico inglese Runciman. " Splendore del mondo ", lo chiameranno i suoi contemporanei. In tempi in cui i re dell'Occidente spesso sapevano tracciare poco più che la loro firma, Federico è anche sul piano intellettuale tra i più notevoli ingegni di ogni razza e nazione. Parla e scrive correntemente l'italiano, il tedesco, il francese il latino, il greco, l'arabo. Ha profonde cognizioni di diritto, filosofia, medicina, storia naturale. Fonda a Napoli un'Università che sarà presto alla pari con quella, più antica, di Bologna; chiama a Palermo dotti d'ogni paese; costruisce in Puglia Castel del Monte, il gioiello che corona la nostra regione come uno splendido diadema: segue, naturalmente, il suo temperamento " ecumenico ", di ogni religione. La sua corte diviene un'accademia di letterati: nasce la " scuola poetica siciliana ", che rompe con la tradizione dei " troubadours " provenzali e dei " trouvères " francesi, creando un nuovo linguaggio che sarà poi quello di Dante, del Petrarca, del Boccaccio. Federico non è solo il creatore, ma anche uno dei rappresentanti più significativi - di lui restano solo quattro componimenti poetici, e la opera " Dell'arte di cacciare con gli uccelli " -, e con lui Jacopo da Lentini, l'ideatore del sonetto, Pier delle Vigne, Giacomino Pugliese, Rinaldo d'Aquino, Arrigo Testa, Cielo d'Alcamo, Odo delle Colonne. La corte di Palermo non somiglia ,a nessun'altra; e nessun altro imperatore ama la Puglia quanto questo.
Il re di Sicilia vive nella sua capitale, come nell'altra residenza di Lucera, con il fasto di un monarca orientale e con lo spirito libero e tollerante che gli è proprio, circondato da poeti, musici, scienziati, teologi, e danzatrici: si interessa a tutto, dalle discussioni filosofiche alla caccia con il falcone; assiste volentieri a spettacoli che la morale corrente
giudica " peccaminosi ", ma mette al bando prostituzione e gioco d'azzardo, che invece prosperano in tutte le terre cristiane. Morta Iolanda di Brienne, si è risposato con Isabella d'Inghilterra: dai tre matrimoni ha tre figli e una figlia, più molti altri naturali, come Enzo, Manfredi, Selvaggia, Costanza, che egli tratta alla pari con quelli " legittimi ". Difficile contare le sue " avventure sentimentali ". Per quanto non di grande avvenenza fisica, è dotato di un fascino irresistibile, e anche senza le sue corone le donne gli cadrebbero volentieri fra le braccia. Ma Federico si concede la bizzarria di avere un harem, come i sultani. Un modo - a lui, che ha un debole particolare per le donne d'Arabia, molto gradevole - per riaffermare il proprio anticonformismo.
In suo grande disegno politico consiste in una federazione imperiale che unisca Italia e Germania, armonicamente retta da leggi nuove, sul modello delle Costituzioni Melfitane che egli applica al regno del Sud. Un sistema fiscale centralizzato, eguaglianza di tutti i cittadini, o sudditi, di fronte alla giustizia, e su tutti la potestà dell'imperatore, garante della pace e del rispetto delle leggi. Troppi interessi sì oppongono a questa grandiosa ipotesi. I prìncipi tedeschi non vogliono rinunciare ai loro privilegi, i comuni italiani aspirano a una libertà totale, il Papa non può abdicare al primato.
Chi vede in Federico un aspirante tiranno, chi un pericoloso utopista. L'imperatore ha sempre preferito trattare piuttosto che combattere, ma sarà costretto a scendere in campo contro il suo stesso figlio, Enrico, il primogenito cui ha trasferito la corona di Germania, che si ribella, complotta con i Guelfi, e viene dal padre imprigionato e diseredato; poi contro la Lega dei Comuni lombardi, che sconfigge nel 1237. Ma il nemico più implacabile resta il Papa, che ora è Innocenzo Quarto, e nel 1245, al Concilio di Lione, fa cadere ancora una volta su di lui la scomunica, bollando tutti gli Hohenstaufen come " razza di vipere ".
Il sogno sta svanendo, il re poeta deve abbandonare la sua corte di soavi piaceri per rivestire l'armatura dei guerrieri svevi, e la fortuna delle armi non gli arride più: il figlio Manfredi è sconfitto dai Guelfi di Parma nel 1248, e l'anno seguente i bolognesi fanno prigioniero Enzo, altro figlio naturale, che ha il titolo di re di Sardegna. In Sicilia, una congiura contro l'imperatore vede implicati alcuni tra i suoi fidi: uno di loro è Pier delle Vigne che, arrestato e accecato, si uccide prima del supplizio.
Nel novembre 1250 Federico, diretto verso l'Italia del Sud per arruolare nuove truppe, si ferma nel castello di Ferentino, presso Foggia: è stanco, tormentato da una malattia intestinale, e alla vigilia dei 56 anni, molto invecchiato. L'imperatore non ha dubbi, e lo dice ai suoi: è la fine. Manda a chiamare Berardo, Arcivescovo di Palermo, perché anche se scomunicato vuole confessarsi; e, dopo aver dettato il testamento, muore. E' il 13 dicembre 1250. " Il cielo si rallegra ", esclama Innocenzo Quarto quando apprende la notizia a Lione, dove si è rifugiato per paura del suo grande avversario. Piange invece la gente di Sicilia, e piange la gente di Puglia: da quel momento, le due regioni cadranno nel lungo buio delle dominazioni straniere: la storia le abbandonerà.
Morto lo " Splendore del mondo ", la vicenda degli Svevi in Italia durerà con i figli Corrado e Manfredi, e con il nipote Corradino ancora diciotto anni. L'eredità del grande Federico sarà dispersa sotto i colpi congiunti del Papato e dei francesi della casa d'Angiò. Ma sarebbe forse più giusto affermare che Federico non ebbe né predecessori, né eredi; che unica fu la personalità di questo svevo nato per caso in una terra tanto lontana dai castelli degli Hohenstaufen, che ne conserva ancora, quasi un antico mito, il nostalgico ricordo: e il corpo, in una maestosa tomba di porfido rosso nella cattedrale di Palermo, la corona in capo, un globo aureo (simbolo imperiale), accanto alla mano sinistra, e indosso una tunica di lino, ornata di scritte in arabo.


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