Da Sud a Sud




L. C. Belli



Costiera di Amalfi

Ci sono due porte d'ingresso. La prima varca la dolce dentatura dei Monti Lattari, sotto, il fianco di Salerno: da qui si svela, improvvisa, Vietri sul Mare. L'altra, aggirata Sorrento, si spalanca nel gran baratro che va da Sant'Agata sui due Golfi alle interminabili scalinate di Positano, da cui si scorgono le isolette dei Galli, all'àncora nel blu del mare. Qui il Tirreno assume un pieno splendore, giuoca con le massime variazioni tonali, finge una vita immobile e sconfinati silenzi: sullo sfondo, vinte le foschie, si staglia la costa calabra. Scogli, strapiombi di rocce irti di macchioni d'alberi, spiaggette nascoste, picchi affioranti nel mare, acque trasparenti tanto da far leggere le pietre del fondo, una serie di piccole insenature: qui è il mondo delle sirene, la mitologia trova una naturale proiezione. Tra Vietri e Punta della Campanella la bellezza si fa quasi inquietante slancio religioso: perciò vi fiorirono i conventi, nei dossi più alti, più vicini al cielo: quello dei Cappuccini pende su Amalfi; quello di Santa Rosa sembra pronto a spiccare il volo dallo sperone di roccia tagliata dalla strada che si arrampica verso Agerola; l'altro ancora, sul fianco di Amalfi, costruito da San Francesco d'Assisi, e ora trasformato, come i precedenti, in albergo, medita silenzioso sulle abiure e sulle perfidie imposte da un progresso dissacrante. E il francescano convento di Maiori, violato dai corsari barbareschi nel 1435 e riedificato da quel maestro delle pietre e della fede che fu Bernardino da Siena; l'eremo di Santa Maria Avvocata su Monte Corona, a ridosso di Capo Orso; l'aureola policroma del Duomo amalfitano, con le trifore che svettano in cima alle scale; l'antichissima Badia di Santa Maria dell'Olearia, tra Capo Orso e la Torre di Cesare, nata come cenobio benedettino nel 983, con poverissime mura, un portico, l'edicola di Leone amalfitano lasciati all'estrema rovina nella superba umiltà della loro testimonianza.
Pastena è il piedistallo di Amalfi sulla strada che si inerpica fino a Pogerola: mezza dozzina di case fiorite sulla roccia con miracoli di giardini a limoni, viti, olivi, coronati da una spatolata di biacca: la chiesetta di Maria Santissima Assunta in Cielo, " la più brutta casa di Dio ", come la definì il benedettino Cesare Amato, con una pianta assurda: resti di un cenobio del nono secolo. sulla cima fortificata dell'antica Amalfi, coperti dalla mano pesante di un barocco pasticciato, reo di molti delitti analoghi in tanta architettura del Mezzogiorno (S. Maria a Cerrate, per esempio): ora le mura candide si snodano in due navate con soffitto a crociera verso un portico-terrazzo spalancato sull'antica Repubblica marinara e sulle sue torri di guardia, contemplati dagli occhi di un Cristo ligneo forse del '600 inchiodato a una croce cimabuesca. Rifatto è l'altare nel tipico mosaico amalfitano, e dalla Valle dei Mulini fin quassù è stato portato il fonte battesimale, una gigantesca pila delle antiche cartiere, poi ingentilita da un bassorilievo; e qui hanno trovato posto colonne, capitelli, urne cinerarie d'epoca romana e medioevale.
Ravello, poi Villa Cimbrone. Splendore frantumato in mille scorci suggestivi. Qui Eden, Chamberlain, i duchi di Kent e di Windsor, Greta Garbo e Stokowskij rimasero abbagliati: la natura quasi nordica, quasi boreale si sciolse di fronte al Tirreno. Come accadde per Wagner, ospite Ira le incantate architetture di Villa Ruffolo. Le note del giardino magico di Klingsor nacquero da un impasto di giardini sfolgoranti appoggiati all'azzurro intenso dell'acqua ai piedi dei monti bruni, disegnati da una mano assetata di perfezione. Ravello è una magia sempre viva nel tempo, un incantesimo che non conosce soste: stradine, scalinatelle che salgono e scendono, si accartocciano, si rovesciano, in un giuoco sottile e malioso. Ci si perde. La piazza è il baricentro del paese. La cattedrale l'acme. Fondata nel 1086 da Orso Papirio, primo Vescovo della città, contiene un ambone monumentale in marmo e mosaico policromo, levitante su sei colonne. Le sue porte di bronzo, del 1179, sono opera di un pugliese geniale, Barisano da Trani: su di esse spicca il volo il campanile romanico del Trecento. Scala, madre dell'Ordine di Malta, nella fresca discesa nella Valle del Dragone. A Scala si può scendere da Villa Cimbrone, all'ombra di Monte Comune, il ciclope a guardia di Positano, la ripara dai venti del nord, incorniciandola di verde. Scendendo, la strada dà le vertigini, si rigira nella ripida conca, sembra una mano a giumella per raccogliere l'acqua di fonte: case raccolte, rosse bianche gialle: poi Positano, un progetto di balconi terrazze gradinate giardini, una linea sull'altra di case, come un anfiteatro greco. E' ancora, a stagione morta, villaggio di pescatori. All'ombra del palazzotto muratiano vi si celebrano le glorie di Flavio Gioia, medioevale fantasma cui si è attribuita l'invenzione della bussola. Andando verso Amalfi, promontori' lievi, rientranze, e certi improvvisi precipizi, alberi laminati dal sole, macchioni filtranti riflessi di mare, casupole sparse. Praiano è un campanile pendente dal cielo con un: filo di roccia: la cupola della chiesa a piastrelle rimanda lontani Intrichi di luce dei faraglioni, si vena di lame dorate, di morbidi fermagli: case sparse sulla china, pronte a precipitare in mare. Piccole spiagge scavate ai piedi dell'alto muro costiero, pretesti per soste non programmate, rifugi dal maestrale che morde quando la terra s'abbuia. La cala di Praia chiusa tra due torve muraglie Ira le quali si insinua il sole: scorcio caravaggesco. Accoglie le barche nelle ore della tempesta.
La Grotta dello Smeraldo, a Conca dei Marini: stalattiti e stalagmiti, acqua smeraldina, architetture fantastiche: il presepio subacqueo che milioni di anni hanno costruito goccia dopo goccia. La natura ha pazienza. Furibondi colori nella Cola di Furore, l'acqua allarga la foce del vallone addensandosi d'azzurro, lambisce sulla spiaggia le barche dei pescatori, poco più in là le case povere e stupende sono incastrate nella roccia: la strada salta d'improvviso da un costone all'altro, sospende tra cielo e mare speroni di montagna che non hanno più centro di gravità. Amalfi è una sosta nella storia e dentro di noi. Se si danno le spalle al mare, occhi e memorie si perdono nelle file di case svettanti dalle rughe montane, dall'alto balcone di Pogerola, trasparente con la sua chiesa di Santa Marina, alla lunga arcata del cimitero allineata al mare: qui tornano alla mente i fasti " della prima Repubblica marinara d'Italia, e i bagliori delle guerre con Pisa, con Genova, con Venezia, la magnificenza dei traffici con l'Oriente, il colore di queste vele potenti già nel decimo secolo; la Torre dì Zito, antica prigione repubblicana per Giovanna d'Aragona; sotto la torre, quel gioiello del Duomo di Sant'Andrea, del 937, più volte rimaneggiato, con la facciata rifatta nel 1861, i lucidi mosaici disegnati da Domenico Morelli, i pilastri delle navate che celano sotto gli stucchi barocchi le colonne di Paestum, la gran porta di bronzo forgiata nel 1065 a Costantinopoli, gli splendidi amboni a mosaico con frammenti del decimo secolo, e quel campanile unico nella grazia delle sue cupolette arabo-sicule e nei suoi archetti romani.
Poi le lunghe volte dell'Arsenale della Repubblica: la preziosità delle Tavole Amalfitane, primo codice del mare; la pittoresca Valle dei Mulini, produttrice di carta, tagliata dalle acque del Canneto. Amalfi è la stella polare di una galassia inimitabile, tra Positano e Ravello in prima luce, Maiori e Minori adagiate sulle sabbie bianche, tra i preziosi villaggi di Cetara, Erchie, Raito, Atrani, Vettica.
Vegliata dalla sua torre normanna, e da quella di Mezzacapo, Maiori, andati via i turisti, è di una superba solitudine appena interrotta dal traffico della borbonica statale 163. Di fronte a Capo d'Orso conobbe la sconfitta, nel 1528, l'imperiale flotta di Spagna per mano di don Filippo Doria, comandante dei navigli francesi. E chi sa se, nel ricordo di quello scempio lo spirito piegato del Vicerè Ugo di Moncada riesce a placarsi nella luce del faro che segna ora le tracce a battelli meno: bellicosi, mentre la costa s'incurva verso l'etrusca Vietri, frangiata di sabbia, trapunta dai colori delle sue ceramiche. In un giro, da qui, si spalanca la fauce autostradale per Napoli. Un altro mondo.

La Bocca dell'Inferno

Questo lo chiamavano il " Salento grande ": viti dopo viti, campi segnati da confini di olivi e dalle modeste gobbe delle Serre che non sono ancora Murgia. La roccia grigia, smussandosi grado a grado, introduce ai trulli. Qui il bianco si esalta nel candore delle mura perimetrali a circolo, poco alte, cupole a mattoni, e in cima segni emblematici dipinti o scolpiti. Qui culminava il territorio dei Messapi. E qui è la Bocca dell'Inferno. Così chiamavano le Grotte di Castellana. La gente vi girava al largo, e la voce popolare raccontava che lo sprofondo si era creato quando due fratelli, uno dei quali cieco, erano venuti a dividere il raccolto comune: il cieco aveva chiesto equità nella divisione, e poiché l'altro, mentendo, lo aveva ingannato, era stato ingoiato da quella frana che conduceva diritto al mondo dei dannati. " Abbiamo scoperto qualcosa che è più bella di Postumia ", dissero i due speleologhi che, nel '38, riuscirono a calarsi in profondità e a tracciare il primo itinerario. Attraverso tenebre sempre più fitte, dopo un chilometro e mezzo di cammino sotterraneo, erano giunti in una vastissima caverna, dove stalattiti e stalagmiti rivelavano forme trasparenti e levigate: la pioggia, penetrando attraverso o strato di terra, dallo spessore variante da quaranta metri a pochi centimetri, aveva cristallizzato la storia della natura nei millenni, creando un mondo lunare di fiori d'alabastro purissimo, colorati di rosa, d'azzurro, di giallo, per gli ossidi e i sali ferrosi. Dopo la prima cavità, la cui volta aveva un giorno ceduto, e le cui pareti erano ricoperte da microscopiche alghe verdi per l'azione profonda del calore del sole (e il verde dilaga ogni qualvolta compaia un raggio di luce o una fluorescenza artificiale), è un susseguirsi di gallerie, il cui incanto è fatto di queste inesorabili coerenze chimiche, di questo cristallizzarsi di leggi fisiche in trasparenti rivelazioni: un mondo dopo l'altro si stringono e dilatano, in una immobilità piena di segni, di silenzi antichi, di echi antelucani, il cui riflesso non sarà mai esaurito. E la stranezza di questa disincarnata teoria di figure è l'adeguarsi a forme umane o animati, fissate in un superamento che pare l'essenza stessa della forma, consueta eppur lontana, intima eppure irraggiungibile.
Gli scenari si susseguono ininterrottamente: la Caverna della Civetta, il Corridoio dell'Angelo, la Sala dell'Altare, la Grotta Bianca. E ciascuna di queste armonie agghiaccia espressioni simboliche e primordiali, come il Serpente del Male e le Tavole della Legge; o configura, per mirabile rispondenza, i misteri più grandi della cronologia umana e della storia che può non essere più soltanto umana, nel Presepe, il cui splendore supera ogni colore. La natura, che sembrava propensa a svelarsi, ha volontariamente ripetuto il giuoco: accoglie nel suo cuore, e respinge, fatalmente, al di là del muro invisibile del suo mistero.
E' stato detto che lo chiamano " fenomeno " questo suo aspetto: ed è, pare, un fenomeno carsico. La roccia calcarea permeabile lascia filtrare l'acqua in profondità; attraverso una fitta rete di pozzi naturali e di cunicoli, si sono formati veri e propri fiumi sotterranei, che hanno aperto il passaggio al loro incontenibile desiderio di mare. Hanno scavato grandi gallerie, lasciandole incompiute per inabissarsi più profondamente, seguendo il loro cammino brado giù, e più giù, nell'anima del mondo. Si va da cinque a seicentomila anni. E se la fantasia umana ha cercato, poi, di vedere nelle sottili sfoglie dell'alabastro sempre più rosa, sempre più azzurro, sempre più verde, oggetti esseri miti, ciò si deve forse al desiderio comprensibile dell'uomo di aggrapparsi alla vita, alle sue consuetudini, ai suoi limiti: perché sperduto è l'uomo di fronte a questa disumana sensibilità della natura, contratta e volta ad avverare una Legge che infinitamente la trascende.


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