§ Il basso Salento

Le terre del "Capo"




Enrico Surdo



I vertici del " Capo " sono tre. A occidente, un'area archeologica che è tra le più ricche della Puglia, Ugento; ad oriente, la porta per l'Egeo e per il Mediterraneo estremo, Otranto; in fondo, appena dietro Punta Ristola, raccolta sotto le colline che quasi la proteggono, Leuca. Il cuore del basso Salento è ancora oggi un cuore sitibondo. Dentro la terra, sotto la terra calcarea, tufacea, ingannatrice, scorrono rivoli segreti, con alcune aorte e qualche sprofondo ricolmo, dal quale i tubi precompressi pompano acqua preziosissima. E malgrado ciò, la terra sembra sempre riarsa, e non cambiano né il colore del cielo né quello della campagna. Alberi anch'essi sitibondi, gli olivi laminati d'argento, sui confini dei poderi, e dentro le piane segnate da serre; e piante basse, accanto ai fichi che stanno scomparendo e ai fichidindia che stanno pure scomparendo: piante di " primaticci ", irrigate da serpenti di plastica volanti: il miracolo è proprio in questo contrasto tra il verde che vuole esplodere e l'insieme del paesaggio che resta essenziale, asciutto, d'un bianco abbagliante nelle case, dello stesso bianco nei tortuosi muri a secco che segnano strambi confini e il culto contadino della proprietà di un fazzoletto di terra.
Le Serre s'increspano con pigrizia, sono brevi colline, e non vanno mai tanto in alto. Da Serra a Serra, i paesi come manciate di calce, tanto che le larghe strade d'asfalto sono lì, da non molto, a disagio: scavalcano lontane periferie, è la nostra crescente fretta che ci fa perdere ormai tutte le occasioni di riassaporare paesaggi e scorci, o forse è la perenne vicinanza, o è l'antica consuetudine con questi incontri a farei " volare " sui nastri di bitume. Si trascorre distanti dai mercati ridotti delle piccole piazze paesane (e le piazze che si aprono sempre di fronte alla chiesa, o ai palazzi civici), l'economia locale viveva anche degli avventori improvvisati, dei passeggeri incuriositi: d'estate, per lo più, quando il Capo, come il resto della Penisola Salentina, come d'incanto si ripopola.
L'inverno è scandito ancora oggi dalle lettere che consegna il postino alle famiglie degli emigrati. E cos'altro è rimasto, qui, se non la rendita del pubblico impiego; che cosa, se non le opere pubbliche sparse; e che cosa, se non le rimesse dall'estero? Un'economia da corte dei miracoli è di per sé un miracolo, vive nel breve giro della protezione del vicinato, della corte, del vicolo, per i più intraprendenti della piazza. Sono decenni, ormai, che queste sono considerate aree di espulsione, fasce impoverite demograficamente dalle partenze con i " treni della speranza ", al di là dell'unica frontiera riconosciuta, quella del paese, verso italiane terre sconosciute (ma almeno la lingua sembra comprensibile), e verso terre ostrogote e celtiche.
Eppure, qui nacquero poeti la cui fama travalicò tutto, e pittori la cui grandezza fu da tutti riconosciuta. " Capuano " fu Girolamo Comi, che cantò: " L'architettura solare / delle giornate perfette / dona più altezza alle vette più profondità al mare, concilia fuochi turchesi / con tenerissimi allori e suddivide in riflessi eterni, carni di fiori./ Tutto l'azzurro combacia / - sferica e morbida selva d'aliti d'oro e di perla / con la votiva tenacia delle radici e dei frutti e degli spiriti tutti ".
Nella memoria (scriveva ancora il Corni): oh bei paesaggi uniti dalle diverse età dell'anima... " Capuano " fu il Ciardo, il maestro Vincenzo di schiere di pittori: e il suo pennello ritrasse marine capuane e campagne capuane e capuani notturni lunari: con le forti pennellate e con i colpi di spatola, antica rabbia e rivolta d'anima, e dolcissime espressioni pittoriche, assai spesso racchiuse in " un'architettura solare ": olivi e olivi, nelle campagne del Ciardo, gli stessi dai tronchi sofferti delle terre che lo videro nascere, olivi tra immense solitudini, in spazi fisici pure così brevi, così " conclusi ". E le marine, (in armonia con il Comi), fruscianti " di un sorgivo brulichio / di rutilanti smeraldi ", che rispecchiano " la giovinezza d'azzurri perfetti / modulandone il respiro nativo ".
Le serre, dicevamo. Che, non essendo montagne, non proteggevano. Così, la storia del Capo altro non è che la cronaca di ininterrotte persecuzioni: piratesche e saracene, lungo la costa segnata dalle torri di vedetta; e prima ancora greche e illiriche, e poi ancora bizantine. Gli altri invasori giunsero dal nord, scorrere questa pianura era un gioco, ma era una pianura smagrita dalla povertà: vi trovarono rifugio sicuro solo i monaci semieremiti, e l'itinerario delle grotte e delle cripte resta sempre d'un fascino eccezionale. Fu dunque, il Capo, terra della solitudine, e se non vi si fossero alternati, com'è nella natura del mondo, il giorno e la notte, com'è stato detto, sarebbe parso una revoca del tempo da parte del Creatore.
Ai tre vertici, cambia il ritmo, e quasi cambia l'aria, fatta trasparente dal mare (dai mari, che solo a Leuca vanno a fondersi). Otranto e la sua drammatica storia si aprono -ai turisti, che hanno scoperto da tempo questo gioiello adriatico, incoronato da altre gemme, da Porto Badisco a Castro, a Santa Cesarea Terme; Ugento svela a poco a poco le ricchezze che ha gelosamente custodito in grembo, e da qui emergono reperti archeologici rivelatori di una civiltà che fu autoctona, prima ancora che japigia o messapica, e poi influenzata dai popoli greci migratori; e Leuca, sirena bianca, sta a mezza strada, eppure al vertice (un vertice capovolto), del Capo: culmine splendido di una terra che quasi a questi agglomerati di case prelude: nell'architettura spontanea, nell'urbanistica essenziale, nelle terrazze a filo del vento e delle salsedini che, venendo da oriente e da occidente, sui crinali delle serre si incontrano e fondono, nei giardini " grecanici " che si aprono al limitare di tutte le case, nel profumo del lattice degli oleandri, dolce e velenoso, e nelle rampe delle strade meno frequentate, ormai, e che d'inverno quasi si chiudono su se stesse, come le strade e le case: occhieggiando, di tanto in tanto, quando il cielo schiara ai colpi della tramontana e alle sferzate del grecale: allora viene qui il profumo di una terra non straniera, la terra di Grecia, coronata dalle vette dell'Epiro: che ha le stesse case, gli stessi scorci, le medesime corti, gli identici vicoli; e che parla quasi la stessa lingua, con le sillabe scandite e terse, come fossero imbiancate di calce.
Ha scritto un poeta di Maglie, porta d'ingresso verso il Capo, a proposito, di Otranto, ma certo per tutta la terra che si allarga alle spalle, (nella traduzione, da Nicola G. De Donno, di Donato Moro): " Mare di sale, vento senza canto: / Ad Otranto cinque secoli di vento, / frange di cornacchie in cielo, e questo spavento / che dura ed il rimbombo di quello schianto // Così ti sei consumata a pelle e chiesa, Otranto / ma ogni anno sul ceppo agli Ottocento / si disarticolano, le ossa, ed al Salento / gli carmini memorie, e chiami pianto // Fanciulli nudi con rena per veste / alghe sporche di schiuma di mare / scavano scavano a niente trovare // O per trovare reliquie di Santi, / esca di Paradiso, a distrarre / pena di pane vera a vano vanto ".

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