Capitale comunque




Libero Lenti



Il ritorno al " privato " di cui tanto si parla oggi, specie in Italia, dove il " pubblico " ha finito col deludere molti, non ha mancato di rianimare il dibattito sulla maggiore o minore validità del " capitalismo " per il funzionamento dei sistemi economici modernamente organizzati. Il futuro del capitalismo: crisi, o sviluppo? Per rispondere a questa domanda sembra opportuno intenderci bene sul significato da attribuire al capitalismo. So benissimo che su questo concetto si sono via via incrostate numerose ideologie. Difficile, quindi, è ripulirlo al fine di rappresentarlo allo stato puro, o meglio ancora, per intenderlo in base al suo significato letterale. A questo proposito non vorrei passare del tutto come un ingenuo quando constato che ogni sistema economico, quale che sia il suo grado di sviluppo, è in sostanza capitalistico, nel senso che ha bisogno di capitale per funzionare. Di capitale " reale ", e cioè, per intenderci meglio, di tutti quei mezzi materiali che servono per aiutare gli altri fattori di produzione, ed in particolare il lavoro, nei processi di produzione. Per questo motivo, pur sapendo di andare contro corrente, sono sempre piuttosto propenso a classificare i sistemi economici in relazione alla maggiore o minore quantità di capitale, ripeto reale, a loro disposizione.
Ciò significa che i sistemi economici sono oggi più o meno capitalistici, in relazione a svariate vicende che nel tempo hanno permesso processi più o meno lenti d'accumulazione del capitale.
Non entro nel merito delle modalità con cui questi processi si sono svolti. Modalità, si capisce bene, che dal punto di vista morale possono essere più o meno riprovevoli. Si può discutere finché si vuole sulla mancata rivoluzione agraria nel nostro Paese nella seconda metà del secolo scorso. Ma alla fine della discussione si deve necessariamente ammettere che la distribuzione delle terre, e particolarmente di quelle più feconde, non avrebbe consentito il decollo del nostro sistema economico basato sull'accumulazione del capitale. In altre parole, non avrebbe consentito di soddisfare le condizioni per allargare la produzione mediante il travaso nel settore industriale del capitale, o del sovrappiù, tanto per contentare qualche ideologo, accumulato in quello agricolo. Più che d'un conflitto di classi, si può così parlare, in termini storici, d'un contrasto di generazioni. Se una generazione, volente o nolente, non risparmiasse, quella successiva non potrebbe godere dei mezzi di produzione accumulati in precedenza. Analogamente, se in questo momento s'allarga l'orizzonte di queste considerazioni, ci si può domandare quanto sia lodevole o riprovevole, a seconda dei punti di vista, il comportamento d'alcuni Paesi produttori di petrolio, i quali, per capitalizzarsi, e per capitalizzarsi in fretta e senza sforzi, approfittano della loro posizione monopolistica facendo leva sul possesso di risorse naturali, possesso di cui non hanno alcun merito.
Il problema, però, quando ci s'interroga sul futuro del capitalismo, non riguarda tanto la dimensione quanto la proprietà dei mezzi di produzione. Deve essere pubblica o privata? Anche in questo caso non si può fare a meno di precisare che la nozione del capitale diventa significativa solo nel momento in cui è impiegato in combinazione con gli altri fattori di produzione, poiché solo da questa combinazione risulta un reddito da distribuire ai fattori di produzione. In altre parole, per intravedere che cosa sarà del capitalismo nel prossimo futuro, bisogna in particolare rendersi conto se la proprietà pubblica o quella privata consentano un maggiore o minore impulso alla formazione ed alla distribuzione del reddito ed ancora se diano luogo ad un più o meno celere processo d'accumulazione del capitale. Fatti, è appena il caso di rilevarlo, strettamente connessi tra di loro.
Che una proprietà pubblica generalizzata di mezzi di produzione, vale a dire non limitata per motivate ragioni ai mezzi impiegati in specifici settori, consenta una maggiore quantità di reddito, è per lo meno dubbio. Questo dubbio investe poi anche il problema d'una sua più equa distribuzione. Se si riduce la dimensione della torta, comunque la si voglia distribuire, la letta che tocca ad ognuno non può che essere più piccola. Non a caso, quando si parla del capitale, alcuni lo definiscono un " servo sciocco " dei processi di produzione. Raramente, infatti ha voce in capitolo in questi processi.
Non lo si può considerare un servo sciocco quando invece è al servizio d'un altro fattore di produzione, e cioè dell'imprenditore. Naturalmente, l'azione dell'imprenditore deve essere animata da una precisa ansia creatrice, stimolata dalla ricerca di nuove possibilità di mercato, condizionata da notevoli dosi di rischio. Il rapporto di dipendenza, in questo caso, diventa in realtà un rapporto di collaborazione perché l'imprenditore rischia in proprio.
Quando, invece, l'imprenditore, se ancora lo si può definire così, (spesso inconsultamente) capitali " monetari " pubblici, non solo è sciocco il capitale, ma anche il capitalista.
La proprietà pubblica del capitale, si dice, consente però di conseguire altri obiettivi che non sono quelli dell'ottenimento d'una maggiore quantità di reddito. Obiettivi, per esempio, connessi con una diversa distribuzione del reddito.
E quando si dice diversa, non si vuote solo alludere ad una distribuzione più equa tra i diversi membri d'una collettività, ma anche ad una distribuzione più equilibrata tra beni e servigi pubblici e privati, ed altresì ad una distribuzione più uniforme in aree caratterizzate da un diverso grado di sviluppo economico, e via dicendo. Anche in questo caso, però, è generale l'impressione che ci si facciano molte illusioni sulla possibilità di far leva sulla proprietà del capitale per ottenere questi risultati L'esperienza insegna, e particolarmente l'insegna nel nostro Paese, che la proprietà pubblica del capitale alimenta particolarmente fenomeni di parassitismo che nulla hanno a che fare con la produttività e quindi con la formazione e la distribuzione del reddito.
Non so a quale conclusione s'arriverà nei convegni promossi per rispondere alle domande sul futuro del capitalismo. Probabilmente a nessuna. Ognuno resterà della sua opinione. Ma ciò non significa che questi dibattiti siano inutili. Se non altro servono per mettere in evidenza che senza un adeguato processo d'accumulazione del capitale, e se si vuole senza capitalismo, non v'è possibilità di progresso economico. Ed ancora, consentono di mettere in luce che non è tanto la proprietà pubblica oppure privata del capitale che conta, quanto le modalità del suo impiego. Ed a tutt'oggi, salvo prove contrarie, la proprietà privata, rispetto a quella pubblica, è quella che ha consentito, e consente di conseguire i migliori risultati sia per quanto riguarda la produzione che la distribuzione del reddito.

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