Sperando che il Governatore non tiri il freno




Guido Carli



Il dato Istat sulla produzione industriale di gennaio indica una crescita " grezza " del 4,8 per cento rispetto al corrispondente mese dell'anno precedente. L'indagine della Confindustria valuta nel 4,5 per cento la crescita media per il primo trimestre 1979 rispetto al corrispondente periodo del '78. Nel dicembre scorso lo stesso campione di industrie aveva individuato nel 2,6 per cento la crescita prevista per il primo trimestre '79; la flessione nella produzione industriale è stata perciò spostata di un trimestre (il secondo '79) e valutata nel 2,9 per cento.
Occorre domandarsi il motivo di questo mutamento di valutazione per il primo trimestre '79 e del persistere di ipotesi involutive del ciclo produttivo. Nel gennaio scorso s'individuò nelle tre incertezze (sindacale, politica, internazionale ) l'origine delle attese sfavorevoli circa lo sviluppo dell'attività produttiva. In 'quel momento, probabilmente, furono sopravvalutate le incertezze sindacali e sottovalutate le incertezze politiche e internazionali nei loro riflessi inflazionistici.
Ora, il dato della crescita della produzione industriale per il secondo trimestre '79 potrebbe significare che le attese non sono rientrate, ma sono solamente scivolate nel tempo. Gli indicatori che danno fiato a queste attese non volgono certo al meglio. Sul fronte politico, si può avanzare l'ipotesi che gli industriali avevano " preso sul serio ", il programma di lotta all'inflazione e di riequilibrio della finanza pubblica, concretatosi nel documento Pandolfi prima, e nel piano triennale poi. Non avevano perciò stimato alle porte un ciclo di scorte ed un'accensione dei consumi di natura Inflazionistica; avevano cioè creduto, e non è un segreto, nel successo dell'azione governativa di Andreotti. Ma i dati nuovi sono stati rapidamente acquisiti: prezzi al consumo, prezzi all'ingrosso e scala mobile puntano decisamente verso l'alto e la domanda " tira ". Il " quadro magico " dello schema delle compatibilità di Pandolfi pare per buona parte compromesso.
Sul piano internazionale, le incertezze paiono per ora non incidere sul livello di attività produttiva, mentre rapidamente si capitalizzano in spinte all'aumento dei prezzi ed alla più rapida creazione monetaria. Il ciclo di scorte è ormai innestato all'interno e all'estero e solo il vincolo finanziario (nelle quantità e/o nei tassi d'interesse) può limitarlo.
Quali riflessioni possono trarsi dagli andamenti osservati o previsti?
Innanzitutto, che la politica economica giunge ancora una volta all'appuntamento sguarnita nelle difese. Il primo bimbo che grida " il re è nudo! " rompe l'incanto. A costo di voler apparire noioso, conviene ricordare che la filosofia dell'Operazione sviluppo lanciata nel gennaio '78 era appunto quella d'impedire che un ciclo di scorte si innestasse nell'attività produttiva invece di un ciclo d'investimenti e si proponeva di apprestare strumenti per un taglio del disavanzo pubblico allargato di 10 mila miliardi, al momento necessario. Si è invece ampliato il disavanzo pubblico, non si sono apprestati gli strumenti dinamici d'intervento e si profila la necessità di una " frenata ". Ancora una volta sarà il settore produttivo la farne le spese. Concordo con autorevoli interpretazioni che, in questo momento, una scarsa elasticità produttiva della forza lavoro sposterebbe la domanda interna sull'estero, aumentando le importazioni e riassorbendo rapidamente l'avanzo di bilancia. Secondo le stesse interpretazioni, occorrerebbe contrastare questo processo, che ha origine nel cielo delle scorte, con un innalzamento dei tassi dell'interesse. Questo desta una qualche preoccupazione nel mondo produttivo, per le note conseguenze di questa manovra sui bilanci delle imprese e il processo di accumulazione. Appare ancora una volta l'asimmetria di trattamento tra il settore produttivo e la pubblica amministrazione: invece di tagliare il disavanzo del settore pubblico allargato, si taglia l'attività produttiva.
Il mondo imprenditoriale è cosciente che il comportamento della Banca d'Italia è residuale rispetto alle decisioni delle organizzazioni sindacali e del bilancio pubblico " allargato ". Tuttavia, pur avendo abbandonato le speranze di innestare il ciclo di investimenti desiderato e programmato dall'imprenditoria industriale (come testimonia l'indagine Csc dell'agosto 1978), non ritiene si debba promuovere un arretramento dell'attività direttamente produttiva con interventi di politica monetaria che si innesterebbero, aggravandoli, negli effetti recessivi degli stabilizzatori automatici del sistema.
Le previsioni per il secondo trimestre '79 e alcuni " calcoli a tavolino " sembrano dare ragione a questo modo di pensare. Un innalzamento dei tassi dell'interesse sovrapporrebbe effetti deflattivi nel momento in cui il ciclo pare spontaneamente produrli; si ripeterebbero cioè quegli sfasamenti nei tempi di azione della politica monetaria osservati in passato.
Nel caso in cui la produzione industriale raggiungesse nel 1979 valori medi annui intorno ad un indice di 133 contro gli oltre 125 dello scorso anno ( + 6 per cento in media), il profilo prevedibile sarebbe tale da presentare nel secondo semestre dell'anno una decelerazione del tasso di crescita, con valori nel quarto trimestre prossimi a quelli che assicurano un equilibrio dei conti con l'estero ( + 3,5 per cento). Se così fosse, politiche monetarie restrittive avrebbero il solo effetto di accentuare la caduta produttiva e prolungarla nel tempo. Questa sollecitata neutralità della moneta potrebbe anche causare un impiego di parte delle riserve valutarie accumulate nel 1978. Questo dovrebbe essere considerato del tutto rispondente alla funzione attribuibile alle riserve valutarie di fungere da fondo anche per il ciclo di scorte: quando queste ultime si riducono, come nel 1977-78, le riserve crescono e quando tendono a salire, le riserve calano.
Al di là di queste considerazioni, sull'attività produttiva, persiste l'incognita dell'evoluzione che avranno le aspettative inflazionistiche nel prossimo futuro. Lo scarso convincimento imprenditoriale sulla durata della " ripresa " e lo avvio dello Sme potrebbero operare nella direzione antinflazionistica. Resta però aperto il problema del ritmo di alimentazione dei redditi familiari; ecco perché oggi , ancor più di ieri, anche gli aspetti economici dei rinnovi contrattuali e delle rivendicazioni di ogni genere in atto, da valutate congiuntamente con la scala mobile, assumono un'importanza da non sottovalutare, sia per gli iniqui espropri derivanti dall'inflazione, sia per il prevedibile impatto sull'occupazione di possibili politiche monetarie restrittive. Questa volta non si potrà certo addurre l'ignoranza o la non coscienza a giustificazione di comportamenti incoerenti con i dati del problema e gli obiettivi di sviluppo del Paese.

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