Italia e Sme




Giorgio Cortesi



Il Governo italiano aveva dato, dopo Brema, una piena adesione di principio al progetto di creare una zona di stabilità monetaria in Europa. Si era, tuttavia, consapevoli delle difficoltà che si sarebbero incontrate nella definizione tecnica di un sistema in grado di assicurare il funzionamento di accordi di cambio di qualche severità tra economie ancora assai diversificate sotto il profilo monetario, senza richiedere alle economie più forti un grado di inflazione e alle più deboli un grado di compressione della domanda, non coerenti con il sistema di obiettivi che ciascun Paese ,si pone in termini di stabilità e di sviluppo. Le incertezze e le contraddizioni dell'Allegato tecnico al comunicato di Brema hanno comportato un affastellamento di problemi che non è stato possibile risolvere prima del vertice di Bruxelles, nonostante il ritmo incalzante della trattativa internazionale a livello di Comitato dei Governatori, Comitato Monetario, Comitato di Politica Economica e Consiglio Economia e Finanze.
Nei riguardi della realizzazione dei vari punti concordati a Brema, la posizione quale si presentava dopo l'Ecofin del 20 novembre era all'incirca la seguente: la condizione di realizzare un sistema altrettanto stretto quanto il serpente sembrava avviata a realizzarsi articolando il nuovo sistema su tre elementi: la sussistenza del serpente; la creazione di una fascia allargata nella quale avrebbero potuto inserirsi i Paesi con moneta fluttuante; l'utilizzo di un indicatore di divergenza basato sulla definizione di un paniere di monete comunitarie da usare come numerario del sistema.
L'assegnazione di un valore operativo alla divergenza comportava l'obbligo per il Paese divergente di intervenire in acquisto (o in vendita) sul mercato dei cambi, e la definizione di qualche agevolazione per i debitori involontari, a carico dei quali si sarebbero formati questi accumuli di valute. All'Ecofin l'opinione di maggioranza aveva definito quest'obbligo di intervento come una regola, o una forte presunzione soggetta ad eccezioni da giustificare da parte del Paese divergente verso l'alto; la questione del trattamento dei crediti sorgenti a carico del debitore involontario era stata rimessa ai capi di Stato e di Governo.
Su entrambi questi punti il Consiglio Europeo non ha realizzato progressi per la resistenza dei Paesi a moneta forte: alla formula della " eccezionalità " essendosi sostituita quella delle " speciali circostanze " e la definizione del trattamento del debitore involontario essendo stata rinviata di sei mesi.
Anche l'attuazione concreta di una coordinazione delle politiche di cambio nei confronti di terzi Paesi, specialmente importante in vista della crisi del dollaro e dell'ampiezza potenziale dei movimenti di fondi tra l'arca del dollaro e l'Europa, è rimasta ferma agli enunciati di Brema, senza che abbiano trovato definizione e conseguenti linee operative.
Per quanto riguarda le misure economiche parallele, le richieste italiane - chiaramente delineate nei lavori preparatori del vertice si imperniavano sulla necessità che ai Paesi meno prosperi andasse un aiuto sostanziale (come riconosciuto a Brema) della Comunità per poter superare, integrando le necessarie politiche economiche interne, le difficoltà che essi avrebbero incontrato per l'adesione allo Sme. Lo spirito di queste richieste era quello di inserire nella politica comunitaria, in analogia con quanto avviene a livello nazionale, l'obiettivo di redistribuzione delle risorse quale nuovo elemento nella gestione del Bilancio comunitario; principio attualmente assente come è dimostrato dal fatto che la presente gestione ha sotto questo profilo effetti sostanzialmente perversi.
Anche nel campo delle misure parallele sembra dunque potersi rilevare nelle conclusioni di Bruxelles un certo arretramento rispetto a Brema.
La pausa di riflessione chiesta dal governo italiano prima dell'adesione è sorta quindi dall'esigenza di valutare attentamente i vari elementi dell'accordo emersi a Bruxelles e dall'opportunità di ottenere alcune garanzie ed assicurazioni dai nostri partners.
Inflazione e sviluppo non sono complementari; soltanto nel caso in cui un'inflazione da costi sia combattuta con il solo strumento monetario, senza il concorso di adeguate politiche fiscali e dei redditi, si può avere nel breve periodo un effetto di rallentamento dello sviluppo. L'obiettivo fondamentale del programma triennale del governo italiano consiste nello sciogliere quei nodi che impediscono la ripresa di un processo stabile - e quindi non inflazionistico - di accumulazione e di sviluppo.
Ma appunto l'esistenza di fattori interni di rigidità (essenzialmente nei riguardi del costo del lavoro e del disavanzo corrente del settore pubblico) richiede quegli elementi di gradualità e flessibilità nel processo di irrigidimento dei cambi, per cui ci siamo battuti in sede di definizione dello Sme e che crediamo di avere in larga misura acquisiti, anche se speriamo di dovercene valere solo raramente e in modo ordinato.
Pur essendo convinti del fatto che la chiusura del ventaglio dei tassi d'inflazione dovrà essere fatta verso il basso, riteniamo che la durevolezza del nuovo sistema monetario europeo dipenderà in larga misura (da una effettiva simmetria di obbligazioni fra forti e deboli. Per questo abbiamo sollecitato nelle trattative una rigorosa definizione degli obblighi del Paese divergente e un trattamento particolare dei debitori involontari, il mantenimento ai fini del calcolo della divergenza della lira sterlina nel paniere, la definizione di una strategia nei confronti del dollaro.
Ove il movimento di riflusso dal dollaro connesso all'intensificarsi del processo di diversificazione dei portafogli in valuta delle autorità e dei privati dovesse continuare, la domanda di valute-riserva alternative tenderebbe presumibilmente a concentrarsi sulle monete europee più forti. Queste, a loro volta, in assenza di una politica concertata, a livello europeo verso il dollaro e di una effettiva simmetria nell'accettazione delle conseguenze degli interventi, trascinerebbero verso l'alto il paniere " Ecu " ad una velocità che potrebbe rivelarsi difficilmente sostenibile per le meno forti.


Proprio la necessità di evitare che il problema del dollaro possa accentuarsi e rappresentare un elemento disgregatore per lo Sme richiede di accelerare il processo di reale convergenza monetaria in Europa. E' molto importante a questo riguardo avere ottenuto dai nostri associati l'impegno a considerare i primi mesi di attuazione dello Sme come un periodo di sperimentazione, che metterà capo ad una revisione delle regole operative. Ed è importante che il Presidente del Consiglio italiano abbia avuto le assicurazioni di cui ha dato comunicazione al Parlamento il 12 dicembre, nel senso che il nostro Paese non sarà chiamato a subìre un sensibile apprezzamento del cambio medio effettivo della lira, soprattutto ove ciò derivasse da spostamenti di fondi verso i poli di maggior forza monetaria in Europa, dovuti a movimenti speculativi contro monete terze.
Come dimostra la recente controversia franco-tedesca sui montanti compensativi, un problema che si porrà in occasione dei riallineamenti delle parità di cambio sarà quello di decidere in quale misura comparativa i mutamenti dei cambi dovranno realizzarsi per via di svalutazioni e per via di rivalutazioni (in termini di Ecu). La rivalutazione di una moneta comporta infatti la riduzione dei prezzi agricoli regolamentati, politicamente assai difficile, nel Paese che rivaluta, o la creazione di un montante Compensativo. I Paesi a moneta forte insisteranno che i riallineamenti delle parità si facciano per via di svalutazione delle monete deboli. L'esistenza di un mercato agricolo regolamentato aggiunge quindi difficoltà alla vita dello Sme.
Ho recentemente affermato che nel Sistema monetario europeo la lira entra assai ben difesa. L'avanzo della bilancia dei pagamenti è larghissimo, le riserve valutarie elevate, il credito internazionale dell'Italia ristabilito e l'offerta di prestiti insistente.
Alla fine del 1975, la Banca Centrale aveva debiti verso l'estero per 6,3 miliardi di dollari, mentre le valute convertibili di cui disponeva erano ridotte a 1,2 miliardi. Il 1978 si è chiuso con un debito inferiore ai 3 miliardi di dollari e con valute convertibili superiori ai 10 miliardi (salite ancora a circa 11 a fine febbraio 1979). L'indebitamento netto a breve termine delle banche italiane sull'estero, pari a 0,7 miliardi di dollari alla fine del 1975, dopo essere salito fino ad una punta di 6,5 miliardi al luglio 1977, ha preso a scendere, attestandosi, a fine gennaio, a circa 5,9 miliardi. Ma a rafforzare la posizione valutaria del Paese non è stata solo la capacità di attrarre movimenti di capitale verso l'Italia della quale hanno dato prova le Banche italiane; è stato soprattutto il miglioramento delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Le imprese italiane, e particolarmente quelle di medie e piccole dimensioni, hanno mostrato una forza di penetrazione sui mercati internazionali che ricorda gli anni migliori del nostro sviluppo economico. Vi sono anche segni di una accresciuta attitudine ad economizzare le scorte di materie prime per certi livelli di produzione.
Il 1978 è stato. sotto questo profilo, un anno particolarmente favorevole per il cooperare di diversi fattori: margini di competitività ancora buoni, assenza di importanti rinnovi contrattuali e dunque di troppo forti spinte dal lato dei costi, livello basso della domanda interna, ragioni di scambio favorevoli nei rapporti con i fornitori di materie prime., Per il 1979 si deve prevedere, e in un certo senso sperare, una configurazione in parte diversa. La crescita della domanda interna dovrebbe essere più forte, e così quella delle importazioni, soprattutto se tra le componenti della domanda interna gli investimenti rappresenteranno il fattore più espansivo. Tanto più necessario sarà allora il mantenimento di una dinamica dei costi interni coerente con la necessità di un flusso adeguato di esportazioni.
Le previsioni del programma triennale recentemente presentato dal Governo sono basate sull'ipotesi che, nonostante il prossimo rinnovo di gran parte idei contratti di lavoro, resti invariato nell'industria il costo del lavoro per ora lavorata in termini reali. Anche in questa ipotesi, per la cui realizzazione occorrerà da parte di tutti forte consapevolezza delle compatibilità economiche e finanziarie, si prevede che il saldo attivo della bilancia dei pagamenti del 1979 si riduca a poco più della metà di quella del 1978.Negli anni successivi, se la crescita del prodotto interno lordo si manterrà su un tasso del 4 per cento circa e se si realizzerà un aumento della quota degli investimenti nella domanda interna, l'avanzo esterno tenderà gradualmente ad annullarsi.
Negli ultimi tempi il rialzo dei tassi d'interesse sui mercati internazionali ha pressoché interamente annullato il differenziale esistente con i tassi interni. Nell'aprile 1978 il rendimento nominale dei Buoni Ordinari del Tesoro semestrali superava di 4,6 punti il tasso a sei mesi sul mercato dell'eurodollaro. Nel corso dell'ultima settimana di febbraio del 1979 questa differenza era di appena 0,6 punti. E' vero anche che il tasso d'inflazione negli Stati Uniti è oggi assai più prossimo a quello italiano che allo inizio del 1978, ma ciò non è sufficiente a compensare del tutto il mutamento delle posizioni relative. Ne risulta attenuata, per i capitali in cerca di investimento sul mercato internazionale, la spinta a dirigersi verso l'Italia. D'altra parte anche nelle ultime settimane l'afflusso di valuta nel nostro Paese è stato abbondante, né va trascurato il pericolo di ostacolare, proprio nel momento in cui si sta rafforzando, una ripresa produttiva che consente alle imprese guadagni di produttività ed è pertanto benefica sul fronte stesso dell'inflazione. La politica dei tassi dovrà trovare un comportamento soddisfacente tra queste esigenze in parte contrastanti.
L'urgenza di affrontare i nodi della situazione italiana non è nata con l'adesione allo Sme: essa è stata avvertita in misura crescente fin dalla seconda metà del 1976. Alcune azioni compiute hanno permesso un notevole miglioramento della situazione monetaria negli ultimi due anni. Il miglioramento rimarrà precario finché non verranno superati in modo più duraturo gli ostacoli che in questi anni hanno impedito una crescita stabile. Il primo di questi ostacoli si localizza nella finanza pubblica ed è rappresentato dal livello elevato del disavanzo e da una composizione della spesa nella quale troppo bassa è la quota degli investimenti pubblici. Il secondo è rappresentato da una dinamica del costo del lavoro che dal 1973 ad oggi ha ecceduto largamente (soprattutto in termini nominali) quella propria in altri Paesi industriali ed ha impedito una creazione di posti di lavoro sufficienti.
Negli ultimi sei mesi l'azione del Governo si è indirizzata a questi obiettivi sia con la presentazione, a fine agosto, del documento Pandolfi, sia con la legge finanziaria sul 1979, sia, più recentemente, con la presentazione del programma triennale. In quest'ultimo vengono indicate le condizioni e le politiche necessarie per affrontare i nodi della situazione italiana: da un lato, un'espansione degli investimenti pubblici che sia accompagnata da una diminuzione del rapporto tra disavanzo corrente della Pubblica Amministrazione e prodotto interno lordo; dall'altra, una sosta nella crescita dei salari reali, in un contesto non inflazionistico. Questi sono i due momenti complementari di una strategia di crescita stabile. La partecipazione allo Sme è coerente con questa strategia.


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