Per uno scudo




Cesare Zappulli



Sette capi di Stato o di Governo, nella riunione parigina del Consiglio d'Europa, hanno concordato infine di mettere in moto la macchina del Sistema monetario europeo, detto in sigla Sme. Un ottavo, James Callaghan, ha ripetuto il proposito del Regno Unito di stare a guardare per qualche mese prima di annunciare o rifiutare l'adesione. E un nono, Giulio Andreotti, ha meritato l'applauso e il compianto del consesso per avere offerto all'Europa monetaria la sua testa.
Disse di no alla conferenza di Bruxelles del 4-5 dicembre 1978 che propose di varare in fretta e furia lo Sme a partire dal lo gennaio 1979; rientrò in Italia, accolto dalle frecce degli europeisti che lo tacciavano di diserzione, e inseguìto dai messaggi telegrafici di Giscard d'Estaing e Schmidt che lo esortavano ad osare; fu tormentato per qualche giorno da un dilemma amletico; e infine rovesciò la decisione e disse di sì, nella chiara consapevolezza che, facendolo, colmava la misura con i comunisti, offriva il casus foederis per la denuncia della grande alleanza, metteva fine al suo governo. Avesse agito fin da principio con maggiore risolutezza, vedremmo oggi in lui il presidente che, al bivio fra l'Italia europea e l'Italia populista, sterzò verso l'Europa. La crisi sarebbe venuta lo stesso, ma Andreotti sarebbe cresciuto politicamente di un palmo e avrebbe trovato materia per lasciare a bocca aperta il suo elettorato romano e napoletano, incline a pensare che sia meglio mettersi con l'Europa che con il Terzo Mondo. A nostro avviso, insomma, Andreotti ha perso una battuta.
Può darsi però che questo nostro Erasmo abbia avuto le sue buone ragioni di perplessità. Vedremo come si comporterà la lira in misura di Ecu (sigla di european currency unit, e, casualmente, corrispondente di scudo in francese) che è il nuovo numerario intereuropeo, risultante da un "paniere" di monete, in cui ciascuna valuta nazionale entra in misura determinata, con i suoi vizi e le sue virtù. L'ultima quotazione ufficiale dell'Ecu, alle ore 14,30 di venerdì 9 marzo, era di lire 1.140.20.
Le ipotesi possibili, ora, sono tre. La prima che, naturalmente, auspichiamo è che la lira assolva al suo impegno, si tenga dentro la banda di oscillazione permessa, ed anzi con il tempo possa rinunciare al privilegio di moneta debole accettando come le altre un margine, massimo o minimo, del 2,25 per cento. Se ciò si verificasse, potremmo anche noi nutrire la speranza che un giorno, fra due anni o tre o cinque, eliminate le oscillazioni, tutte le monete europee si saldino in parità rigide: ciò che equivale a giudizio di distinti economisti come Triffin, Mundell, Kinleberger ad avere una moneta europea unica, ancorché variamente denominata dietro ogni frontiera.
La seconda ipotesi è che la condotta della nostra finanza pubblica, dettata fino al progetto Pandolfi dalla compiacenza inflazionistica o dalla paura dei governi, sommandosi con la irresponsabilità sindadacale, ci costringa a uscire dallo Sme tre o sei mesi dopo esserci entrati. Il Governatore della Banca d'Italia, dottor Paolo Baffi, ha scritto a proposito dei sindacati e della necessità di dare scadenza semestrale agli scatti della scala mobile che " quando gli occhi si apriranno alla luce, si coglieranno i frutti della conoscenza ". L'ultima ipotesi è che l'Italia faccia gran conto sull'abbondante apparato di crediti che lo Sme mette a disposizione - attraverso l'European monetary fund, prefigurazione della Banca centrale europea - dei Paesi in difficoltà, vale a dire di quelle monete che, consumato il loro margine di oscillazione in basso, non riescono a " reggere " la parità con l'Ecu. Si tratta, in altre parole, di mettersi a fare istituzionalmente il Paese disastrato (o semplicemente ingovernabile) sollecitando l'altrui soccorso.
Un giovane economista inglese, Roland Vaubel, ha criticato molto severamente questo capitolo degli accordi Sme, giudicando che i crediti " sussidiati ", (vale a dire a tasso più favorevole di quello di mercato) fra le Banche centrali avranno effetti inflazionistici, funzionando come un incentivo per i Paesi a moneta debole a peggiorare deliberatamente la propria posizione. Il congegno, dice Vaubel, funzionerebbe come l'indennità di disoccupazione in quei sistemi economici che la concedono anche a coloro che volontariamente hanno abbandonato l'impiego (è così in Germania), con il risultato che ognuno è incoraggiato a perdere il posto e la disoccupazione aumenta.
Abbiamo forse noi una riserva. mentale di questo genere? Pensiamo di entrare nello Sme per tirarne tutto il sugo possibile prima di esserne messi alla porta (ipotesi numero due)? E' impossibile pronunciarsi perché questo nostro sorprendente Paese è capace perfino di serietà. Perciò prima di giudicare l'adesione italiana allo Sme, converrà affidarsi al tempo: mesi, non anni.

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