Le ultime cifre
confermano il movimento a forbice dei grafici sull'attività europea
ed americana. Nelle economie più deboli, quella italiana e quella
francese, la lotta antiflattiva è tanto più difficile, in
quanto tutti sono impegnati in una fase di ripresa, che rischia di essere
soffocata anche dagli aumenti petroliferi.
Un nuovo studio
mensile, realizzato da uno staff di esperti europei di analisi congiunturali,
con la collaborazione della Cégos-Economie, presenta un panorama
comparato delle gestioni a breve termine di quattro Paesi (Germania
Federale, Francia, Gran Bretagna e Italia), e della situazione negli
Stati Uniti.
Le ultime cifre confermano il movimento a forbice (dei grafici sull'attività
europea e americana: da questa parte dell'Atlantico, la crescita industriale
sale vigorosamente, al 7 per cento, mentre dall'altra parte decelera
in modo netto, a meno del 5 per cento. Nella Repubblica Federale Tedesca
si estende dopo essere partita dal " boom " dell'edilizia,
e come ha recentemente messo in rilievo uno studio delle Camere di :Commercio,
sono sempre più numerosi i settori che dimostrano un'attività
più vivace.
In Francia la ripresa è più recente, ma si sta a mano
a mano intensificando: persino l'edilizia e la costruzione di alloggi
andrebbero un po' meglio, ma non ancora le attrezzature. L'attività
italiana, a sua volta, che era partita in ritardo rispetto a tutti,
ora sta recuperando. L'Istituto Nazionale di Statistica ha annunciato
che nel corso del quarto trimestre del 1978 la produzione industriale
ha superato del 5,7 per cento quella del terzo trimestre, alimentando
una forte ripresa idei consumi. Una tendenza positiva che è stata
registrata anche per il primo trimestre di questo anno. Soltanto la
Gran Bretagna rimane sempre a rimorchio, con i suoi disordini sociali
e con gli effetti dello sciopero dei trasporti. Questi ultimi non sono
stati certamente catastrofici, come predicevano alcuni osservatori,
ma i dati sono di difficile interpretazione: per esempio, le vendite
al dettaglio sono state in dicembre molto forti (acquisti precauzionali,
sembrerebbe), ma nei primi tre mesi dell'anno sono di nuovo cadute,
registrando flessioni medie intorno al 3 per cento.
Negli Stati Uniti, dopo il fin troppo brillante quarto trimestre del
'78, durante il quale il prodotto nazionale lordo è aumentato
del 6,1 per cento, l'attività è ricaduta in gennaio e
nei mesi seguenti, l'indice della produzione industriale - che era aumentato
due volte di (seguito dello 0,5 per cento in novembre e in dicembre
- è stagnante sullo 0,1 per cento, e le vendite al dettaglio
sono rallentate dall'1,3 allo 0,4 per cento. Una recentissima inchiesta
indica che la propensione agli acquisti degli americani diminuisce,
poiché la maggioranza preferisce attendere tempi migliori. Allo
stesso modo, gli imprenditori più cauti riducono l'aumento dei
loro stocks.
Ripresa dunque della produzione in Europa e rallentamento negli Stati
Uniti: a breve termine questo riequilibrio avrebbe dovuto consentire
nuovi progressi sul fronte dei prezzi. Per il momento si osserva purtroppo
il contrario, con un convergenza assai inquietante dell'inflazione europea
con quella americana. La prima, che è bruscamente salita dal
7,5 al 9 per cento, adesso è esattamente allo stesso livello
della seconda. Numerosi Governi, che pensavano di essere riusciti a
tagliare definitivamente la testa all'idra dell'inflazione, vedono con
spavento quest'ultima ricrescere rapidamente. E' soprattutto il caso
della Gran Bretagna, dove l'aumento dei prezzi si è bruscamente
accelerato dall'8 al 12 per cento. Anche se il rialzo particolarmente
forte dei primi dell'anno (1,5 per cento) ha potuto essere provocato,
in parte, dagli aumenti che dall'inizio del nuovo cielo solare sono
più numerosi, rimane il fatto che diversi indicatori mostrano
che il deterioramento continuerà.
Persino in Germania, dove si pensava fossero stati raggiunti risultati
decisivi, l'inflazione è nuovamente minacciosa, con la forte
accelerazione - dallo zero al 3 per cento, poi al 5 per cento - del
tasso trimestrale dei prezzi. Certamente, lo si può spiegare
con le sfavorevoli condizioni climatiche, e col fatto che è nel
mese di gennaio che si concentrano i maggiori ritocchi dei prezzi, per
esempio quelli degli affitti. Ma anche qui i timori non :sono infondati,
La moderazione tedesco-federale del passato non è stata ottenuta
grazie soltanto a quella salariale, ma anche attraverso la diminuzione
dei prezzi dei prodotti importati, dovuta alla crescita del marco. Ma
quest'ultima ha dei limiti, e l'intervento della Bundesbank per frenarla
sì è tradotto in una massiccia entrata di capitali, e
in una minacciosa crescita monetaria nel quadro dell'attuale forte ripresa.

A sua volta, la Francia non ha ancora raggiunto risultati molto significativi
contro l'inflazione, dal momento che il tasso dei prezzi non è
disceso molto al di sotto dell'8 per cento.
Per quel che :riguarda l'Italia, le odissee delle crisi politiche ricorrenti
non hanno certo aiutato una maggiore espansione dell'economia. Si può
dire, anzi, che gli italiani facciano un miracolo al giorno: "
tengono " bene, e anzi registrano progressi insperati nella produzione
industriale, nel commercio internazionale e nei consumi interni, malgrado
i freni imposti dall'inazione della classe politica. E il primo dei
miracoli italiani consiste proprio nell'avere evitato, diremmo quasi
quotidianamente, il collasso che molti, a livello europeo e mondiale,
si aspettavano.
In ultima analisi, sono soprattutto gli Stati Uniti a costituire il
principale focolaio d'inflazione. Le anticipazioni che sono state in
gran parte responsabili del " boom " della fine dell'anno
scorso (gli americani essendosi affrettati a comprare automobili e alloggi
per timore di un'ascesa dei prezzi e dei tassi d'interesse) continuano
ad esercitare la loro influenza. Da parte loro gli imprenditori, temendo
un controllo, si affrettano a recuperare il più in fretta possibile,
e anche in anticipo, l'aumento degli oneri. Risultato: l'inflazione
all'inizio del 1979 è sul 9 per cento, e l'indice dei prezzi
all'ingrosso ha battuto in gennaio il record di aumento del 1974, con
1'1,3 per cento.
Ma sono soprattutto gli aumenti del prezzo del petrolio a diventare
pericolosi: quelli del 14,5 per cento già decisi alla fine del
'78, e specialmente le nuove maggiorazioni causate dagli avvenimenti
in Iran, con l'Arabia Saudita che aumenta la :quotazione dei surplus
forniti, e AbuDhabi e il Qatar avendo deciso aumenti iniziali dal 7
all'8-10 per cento. Tutto questo ha determinato un nuovo clima di speculazione
internazionale, che stranamente richiama quello del 1973-74: i Paesi
produttori, come le compagnie petrolifere, hanno cominciato a ridurre
le loro forniture del 15-20 per cento, e al di là di questo,
dovuto all'arresto dell'esportazione iraniana, accrescendo ulteriormente
la tensione sui mercati e trascinando nell'aumento le materie prime
per l'industria.
Quest'atmosfera ha reso molto più difficili le lotte contro l'inflazione.,
Nei quattro grandi Paesi europei, soprattutto in quelli fragili come
l'Italia e la Francia, poi, la lotta è tanto più difficile
in quanto tutti sono impegnati in una fase di ripresa. Una ripresa che
rischia di essere soffocata da nuove " punture " dell'Opec,
che può decidere altri aumenti da un momento all'altro. Il che
è letale soprattutto per l'Italia, la cui industria è
in massima parte di trasformazione, e dunque fondata sulla disponibilità
del petrolio. Con un aspetto sfavorevole in più, determinato
dalla crisi della nostra industria chimica: se viene a mancare il greggio,
o se non manca, ma lo si deve pagare a prezzi molto più alti,
si rischia il tracollo delle produzioni e, insieme con questo, anche
il travolgimento dell'occupazione in questo delicato settore, occupazione
che riguarda tutta l'area territoriale, dal Nord favorito al Sud in
sviluppo, alle Isole (soprattutto la Sardegna).
E c'è anche un altro rischio: quello dell'aumento delle tensioni
internazionali. E' fuori discussione che, mettere in crisi l'Europa,
significa - per i Paesi produttori di petrolio - entrare in crisi a
breve termine, costretti come sono ad importare tutto proprio dall'Europa,
dagli Stati Uniti e dal Giappone. Una crescita abnorme dei prezzi nel
Vecchio Continente la pagheranno gli europei, ma la pagheranno anche
i Paesi importatori, la cui prosperità è strettamente
legata a quella dei Paesi industrializzati. I Paesi produttori di petrolio
lo hanno forse dimenticato?
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