C'è un'inversione
di tendenza nei conti del nostro paese con l'estero? Dopo il miglioramento
che va ben oltre il previsto, registrato dalla nostra bilancia dei pagamenti
nel '77 (2.129 miliardi) e nel '78 (6.896 miliardi), una caduta nel
febbraio di quest'anno (425 miliardi) ripropone l'interrogativo sulla
natura della bilancia dei pagamenti italiana, sulle sue componenti strutturali,
congiunturali e internazionali. Domanda tutt'altro che accademica, perché
la risposta può influire sulla politica monetaria.
Già un anno fa, un economista, sollevando il problema, aveva
sostenuto che il miglioramento della bilancia dei pagamenti era in parte
da attribuire a modifiche strutturali dell'interscambio, in particolare
una parziale sostituzione delle importazioni. Ne seguì una polemica,
cui presero parte economisti, politici, esperti, soprattutto nella messa
a punto del piano triennale e della relazione previsionale e programmatica.
Uno studio della Banca Commerciale dà una risposta nuova e approfondita.
Ci siamo posti tre quesiti, dicono gli esperti e i responsabili dell'Istituto
bancario: a) l'attivo è il risultato di un insieme di circostanze
favorevoli, oppure è il segno di un durevole aggiustamento di
fondo dei rapporti economici e finanziari dell'Italia con l'estero?
b) nel primo caso, quali sono i limiti di guardia oltre i quali l'eventuale
ritorno verso condizioni meno favorevoli potrebbe determinare nuovamente
tensioni nella bilancia dei pagamenti e/o nel tasso di cambio? c) nel
secondo caso, in quale modo converrebbe spenderne la parte che eccede
un prefissato valore? Cioè, converrebbe apprezzare la lira o
espandere la domanda interna attraverso politiche fiscali e monetarie
meno restrittive?
Bilancia Commerciale. L'attenzione maggiore si è soffermata
sulle componenti dell'interscambio, che per la loro dimensione possono
muovere più facilmente l'ago della bilancia dei Pagamenti. La
Comit ammette significative razionalizzazioni, ma non ha trovato segni
evidenti di trasformazioni davvero strutturali né nella tipologia
delle produzioni, né nei processi produttivi. Del resto, si afferma,
risultati diversi sarebbero stati sorprendenti, data la scarsa dinamica
degli investimenti e la mancanza di efficaci politiche di ristrutturazione
dopo la crisi energetica.
La Comit perviene comunque a un'interessante scoperta: " Il modello
di specializzazione delle esportazioni non è sostanzialmente
mutato nel corso degli anni '70, anzi per alcuni prodotti relativamente
nuovi, quali per esempio le macchine per ufficio e gli elettrodomestici,
si è registrata una perdita di peso relativo. Viceversa, nei
prodotti tradizionali, (mobilio, calzature, altri prodotti manifatturieri),
l'indice mostra un trend ascendente. Lo stesso sopraggiungere della
crisi energetica non sembra aver prodotto un significativo sforzo di
riqualificazione dell'offerta interna contrariamente a quanto avvenuto
negli altri Paesi industriali. E' significativo osservare a questo proposito
che mentre per l'area Ocse la quota delle esportazioni meccaniche sul
totale diminuisce dal 1970 al 1974 e aumenta da quell'anno al 1976,
per l'Italia risulta progressivamente decrescente; ciò vale "
a fortiori " ancora di più per il macchinario elettrico
e non elettrico, ove la quota del '77 è inferiore a quella registrata
nel '70 ".
L'analisi delle ragioni di scambio (il rapporto tra il valore delle
importazioni e delle esportazioni) rivela poi che è rimasta sostanzialmente
invariata la redditività dei settori nel quali l'Italia aveva
un vantaggio di prezzo in passato (settori tradizionali), mentre è
diminuita la redditività delle esportazioni nei settori nei quali
l'Italia era più debole (settori nuovi).
La ridotta propensione a importare, che pure si è verificata
nel '78, viene spiegata dagli economisti della Banca Commerciale come
effetto di nazionalizzazioni avvenute al margine dei processi produttivi
esistenti che si sono concretizzate in minori sprechi nell'uso degli
input e in una gestione più oculata delle scorte di materie prime
e dei prodotti intermedi.
L'Italia ha anche beneficiato di alcuni fattori esterni che hanno rafforzato
dal 1976 in poi gli effetti delle politiche economiche volte a riassorbire
i consistenti disavanzi della crisi energetica.
Nel '78 l'economia italiana ha realizzato un saldo delle partite correnti
(merci più servizi) pari al 2,2 per cento del prodotto interno
lordo (superiore cioè di circa tre miliardi di dollari rispetto
a quello che avrebbe conseguito, se l'andamento si fosse uniformato
a quello medio dei Paesi industriali).
Turismo. Tra i servizi, la voce che ha contribuito maggiormente
all'avanzo valutario e che in futuro dovrebbe dare un gettito crescente
è il turismo.

Negli ultimi anni,
afferma la Comit, si possono individuare in questo settore i sintomi
di qualche miglioramento strutturale. Da un lato, infatti dal '75 al
'77 le presenze di stranieri in Italia sono sempre aumentate (cinque
per cento; 1,8 per cento; otto per cento, rispettivamente), dopo che
nel '73 se . ne era registrata una crescita nulla e nel '74 una riduzione
del quattro per cento, risultati negativi imputabili ad eventi congiunturali
ed accidentali, quali la recessione mondiale, l'aumento del prezzo.
del petrolio e la scoppio dell'infezione colerica nel Sud. Dall'altro,
la quota italiana di turismo internazionale, costantemente scesa a partire
dal 1966 e fino al 1973, da quell'anno ha cominciato a riprendersi.
Movimento di capitale. Oltre al turismo, i punti di forza nei
prossimi anni, secondo la Comit, potrebbero essere i movimenti di capitale.
Tra il 1960 e il 1975, secondo la Banca d'Italia, sono stati illegalmente
esportati diecimila miliardi di lire, poi nel '76 e nel '77 sono, rientrati
prima 500, poi 54 miliardi rispettivamente, per effetto della legge
159. Ma i risultati più duraturi si potranno avere per l'effetto
dissuasivo delle più severe norme valutarie. Queste misure, afferma
la Comit, hanno stabilmente ridotto l'intensità del deflusso
di capitali per ogni dato grado d'incertezza politica. Negli ultimi
due anni, i movimenti clandestini di capitali sono stati pressoché
nulli. Conclusioni. L'avanzo della bilancia dei pagamenti negli ultimi
due anni, sostengono gli economisti della Comit, ha lasciato un'eredità,
una specie di rete di salvataggio. Alla fine di marzo le riserve accumulate
dal nostro Paese (oro e valuta) sfioravano i ventisette miliardi di
dollari. Ma gli stessi mettono in guardia contro i facili entusiasmi:
basta un'alterazione del 2,5 percento nei prezzi delle importazioni
e delle esportazioni per causare un disavanzo di duemila miliardi, pari
all'attivo delle partite correnti nel '78. Si capisce quindi, conclude
lo studio della Comit, quale forza dirompente nei confronti dei conti
con l'estero abbiano le attese degli operatori economici. L'accumularsi
di avverse aspettative può alla lunga sfociare in improvvise
crisi valutarie, in grado di far giustizia di equilibri che troppo frettolosamente
si erano considerati acquisiti.

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