§ Un'indagine del Cesam

Di chi sono le industrie meridionali




Palmi Gaias



Di recente, il Centro studi aziendali " Giuseppe Cenzato " (Cesam) ha pubblicato i risultati di una complessa indagine sui titoli di appartenenza dell'industria dislocata nel Mezzogiorno.
Chi volesse verificare in quale proporzione l'industria meridionale è di proprietà degli stessi meridionali, e in quale misura lo è di grandi gruppi pubblici, di gruppi privati non meridionali, di gruppi privati non nazionali, può trovare nell'indagine del Centro studi risposte assai precise. E anche chi volesse verificare in quali regioni e in quali settori i diversi protagonisti dell'industrializzazione meridionale (l'iniziativa pubblica, l'iniziativa esogena italiana e non, l'iniziativa endogena) hanno dato prova di maggiore e più convincente vitalità.
In ogni caso, invece di enfatizzare la " volontà politica " di industrializzare il Sud, o di piangere sul " fallimento " dell'industrializzazione, gioverebbe di più al dibattito sul " bilancio " e sulle " prospettive " dello sviluppo meridionale ragionare concretamente sui dati forniti dal " Giuseppe Cenzato ", nella cui raccolta si scorgono la guida metodologica, la scrupolosità filologica e l'esperienza stessa dello studioso che se ne è interessato: Lucio Sicca.
Consideriamo ora quello che l'indagine ci dice a proposito dei 5.588 stabilimenti manifatturieri operanti nel Sud, con almeno 20 addetti: 4.647 unità (l'83%) possono dirsi di proprietà meridionale; e solo 941 stabilimenti risultano sotto il controllo dell'imprenditorialità non meridionale., pubblica (45%) e privata. Il rapporto sembra quindi tutto sbilanciato dalla parte della imprenditorialità endogena: ma si inverte se si considerano i dati relativi all'occupazione. Infatti, i 941 stabilimenti controllati dall'imprenditorialità esogena assorbono il 55% dell'occupazione complessiva dei 5.588 stabilimenti manifatturieri con più di 20 addetti. Dunque, le aziende di origine meridionale danno luogo ad una occupazione media inferiore a quella cui danno luogo le aziende di origine non meridionale.

Le attività non manifatturiere

Il Cesam afferma perciò che " la presenza dell'imprenditorialità non meridionale nell'attività manifatturiera è oggi cospicua " e che è stata " determinante ai fini dello sviluppo di numerose aree ", perché la dimensione media delle unità manifatturiere operanti nel nostro Sud si aggira intorno ai 110 addetti, ma tale media sale a circa 350 addetti per gli stabilimenti controllati dalla imprenditorialità esogena, mentre scende a circa 60 addetti per gli stabilimenti controllati dalla imprenditorialità endogena. Va pure rilevato che la dimensione media sale ulteriormente, a 570 addetti, se fra gli stabilimenti creati dall'imprenditorialità esogena, si considerano solo quelli che fanno capo alle aziende a capitale pubblico.
Di conseguenza, il quadro a grandi linee è contrassegnato dalla prevalente presenza delle aziende meridionali per quanto riguarda la piccola industria, delle aziende private non meridionali per quanto riguarda la media industria e delle aziende a capitale pubblico per quanto riguarda la grande industria (25% dell'intera occupazione manifatturiera rilevata nel Mezzogiorno).


Se poi si considerano le regioni di insediamento, il quadro è contrassegnato, sempre per grandi linee, dalla prevalenza della Campania per quanto riguarda la grande industria a capitale pubblico (40% del totale meridionale) , e del Basso Lazio per quanto riguarda la media industria privata di iniziativa esogena (99 stabilimenti con circa 30 mila addetti, poco più che in Campania, ma molto più che in altre regioni). Se ne può dedurre che la forza di attrazione per gli investimenti non meridionali è maggiore nel Nord del Mezzogiorno e in particolare è quella attribuibile all'asse di sviluppo Roma-Napoli, che potrebbe diventare l'asse di equilibrio a livello nazionale rispetto all'asse Milano-Torino, tradizionalmente dominante nella geografia economica e urbana della Penisola. Mi limito qui a rilevare che questo potrebbe essere un dato positivo, purché acquisendo la forza che l'asse Milano-Torino aveva acquisito negli anni '50, quest'asse Roma-Napoli possa assolvere, nei confronti del resto del Mezzogiorno, più a Est e più a Sud, la stessa funzione - ai fini della propagazione della civiltà industriale - cui l'asse nord-occidentale ha allora, negli anni '50, potuto assolvere nei confronti dell'Italia nord-orientale e centrale.
Se infine consideriamo i settori che per impianti e per addetti sono venuti acquisendo la maggiore consistenza grazie all'iniziativa esogena, si registra, sia per l'iniziativa esogena dei privati, sia per quella delle aziende a capitale pubblico, la prevalenza abbastanza marcata dell'industria metalmeccanica: il che mi rallegra, dal momento che condivido l'opinione di Prodi sulla necessità dello sviluppo di questo settore nel Mezzogiorno, come settore portante dell'industrializzazione.

Dimensioni delle aziende

Per concludere, direi che la strategia dell'industrializzazione possibile, quale emerge dalla fotografia che il Cesam ci ha fornito della industrializzazione reale, richiede un'ottica del medio per quanto riguarda le dimensioni aziendali. Quindi: da un lato, è indispensabile l'apporto ulteriore della privata imprenditorialità esogena, che ha rappresentato finora l'alternativa insufficiente o l'integrazione insoddisfacente all'ottica del grande, perseguita dalle partecipazioni statali, e all'ottica del piccolo, oltre la quale ancora stenta ad avventurarsi l'iniziativa endogena; dall'altro lato, è auspicabile la promozione di quest'ultima, onde possa diventare più agguerrita, e così, via via, sempre più e sempre meglio, per imitazione e per sezione, varcare la soglia che dall'ottica del piccolo adduce all'ottica del medio.
In altri termini, possiamo ben dire che i principali, anche se non i soli, punti di riferimento per una strategia della industrializzazione possibile nel Mezzogiorno sono le industrie medie, congeniali all'iniziativa privata, così a quella che potrebbe scendere dal Nord come a quella che potrebbe essere promossa nel Sud. Quanto al ruolo delle aziende a partecipazione statale, mi pare che per ora debba principalmente consistere nella ristrutturazione o riconversione dei " punti di crisi " e nel contribuire, come possono, a creare occasioni sempre più propizie per nuovi investimenti privati, indotti, e per il consolidamento e l'ampliamento di quelli che sono stati pionieristicamente realizzati nel corso di questi anni.


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