Se l'Italia e il Sud pagano troppo




P. G.



L'Italia paga troppo per l'Europa? Si era molto insistito, a Bruxelles e altrove, sull'esigenza di trasferimenti di risorse all'interno della CEE in favore delle economie più deboli e di Sostegni all'Italia e alla Irlanda, nel contesto dello Sme; ed ecco che i calcoli degli stessi esperti comunitari indicano che il nostro Paese è uno dei maggiori " contributori netti " al bilancio europeo, assieme alla Gran Bretagna e alla Germania. Esistono due metodi di calcolo possibili del dare e dell'avere dei diversi Paesi a questo bilancio: in base al primo, nel '78 l'Italia ha versato circa 800 miliardi più di quanti ne ha ricevuti; in base al secondo, più di 350 miliardi. Comunque, sempre " più ". La differenza è notevole, ma la sostanza non cambia: siamo sempre in passivo.
Il fatto è talmente paradossale e in contrasto con gli orientamenti definiti al livello dei Capi di Governo a proposito dell'effetto di convergenza economica che dovrebbe risultare dalle spese europee, che le relazioni critiche sono comprensibili. Trovandosi in una situazione analoga, la Gran Bretagna ha minacciato di bloccare la politica agricola e di opporsi ad ogni iniziativa che permetta nuove spese.
E' necessaria molta prudenza nel valutare questi fatti. Infatti, sarebbe un po' comodo pensare di aver trovato a Bruxelles il bersaglio su cui riversare le colpe e le responsabilità di quello che non funziona in Italia. Che si utilizzino argomenti polemici per ottenere miglioramenti della politica d'intervento europea, può anche andar bene. Ma senza dimenticare, ad esempio, che una parte del passivo italiano risulta dal fatto che alcuni contributi europei cui l'Italia aveva diritto l'anno scorso non sono stati utilizzati per ritardi amministrativi o per altre lacune interne, e che altri sono stati riscossi solo nei primi mesi di quest'anno per ragioni di contabilità.
Comunque, il 1979 è diverso dal 1978: i trasferimenti verso l'Italia sono quest'anno notevolmente più cospicui, grazie al raddoppio del Fondo Regionale, all'incremento e allo snellimento del Fondo Sociale, alla creazione di nuovi strumenti finanziari nel contesto del Sistema monetario europeo. E altri progetti sono allo studio, soprattutto per aiutare gli agricoltori italiani ad utilizzare i meccanismi, finora troppo complessi, della ristrutturazione agricola.
Esistono tuttavia due limiti a ogni sforzo. Il primo è rappresentato dal rifiuto altrui di trasformare il bilancio europeo in uno strumento di convergenza delle economie; il secondo è una questione di dignità e di opportunità politica. L'Italia deve evitare di apparire un questuante perpetuo, e oltre tutto inefficiente a livello di " eurocrazia " o burocrazia europea; inoltre, in certi settori, il contributo italiano alle spese comuni sta scivolando circa al livello olandese, Paese con 14 milioni di abitanti. Scendere ancora renderebbe difficile la pretesa di conservare il rango di uno dei " grandi " della CEE, come numero di rappresentanti in seno alle Istituzioni e come peso di voti nelle decisioni. Si paghi pure in più, ma si mandi a Bruxelles (come fanno gli altri) chi sa il fatto suo, non gli esclusi dai " giri " di politica interna italiana.

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