Dopo la svolta della lira verde




B. M.



Dopo le discussioni sollevate dalla Francia sul problema delle transazioni reali, in seguito all'accordo Sme e in particolare sulla modifica degli accordi agricoli, il governo italiano ha ottenuto una svalutazione della lira verde pari al nove per cento. Tale svalutazione si verificherà in due tempi: in una prima fase, sarà del cinque per cento; a fine anno, si aggiungerà un altro quattro per cento.
Gli effetti sono duplici: da un lato, si potrà verificare un effetto positivo per quanto riguarda il miglioramento delle posizioni competitive dell'Italia nella produzione agricola europea; dall'altro, invece, sarà necessario preoccuparsi per gli effetti che tale politica potrà avere sul tasso d'inflazione. Il problema più immediato riguarda infatti il tasso d'inflazione: il mese di febbraio ha fatto registrare un tasso di crescita dei prezzi all'ingrosso pari all'1,7 per cento: il che significa che ci troviamo di fronte a un fenomeno inflazionistico in netta ripresa, che potrebbe concludere l'anno con un tasso vicino al 18-20 per cento.
La situazione è, dal punto di vista dei prezzi, e quindi del costo della vita, decisamente grave. Una svalutazione della lira verde significa un aumento dei prodotti agricoli che noi importiamo, e i prodotti agricoli entrano come componente fondamentale nel calcolo del costo della vita e quindi della valutazione dello scatto della contingenza. Ciò significa che, mentre si inizia e si protrae la battaglia per i rinnovi contrattuali che determineranno certamente un incremento del costo del lavoro, un altro incremento viene aggiunto dalla svalutazione della lira verde. Qui si delinea dunque un conflitto fra l'interesse congiunturale del Paese e l'interesse di carattere strutturale. Se da un punto di vista congiunturale la svalutazione della lira verde costituisce infatti un elemento negativo, da quello strutturale è certamente un fatto positivo. I vantaggi, difatti, derivano allo incremento nel processo di sostituzione che finalmente può modificarsi per quel che riguarda il grave peso che l'importazione dei prodotti alimentari costituisce per la nostra bilancia commerciale.
Da molti anni, da quando abbiamo firmato gli accordi di Bruxelles, abbiamo sottoscritto un meccanismo che era sostanzialmente primitivo per l'economia agricola italiana. Noi siamo entrati nel Mec, e abbiamo accettato una politica dirigistica in cui i Prezzi di alcuni prodotti agricolo-alimentari erano nettamente superiori a quelli che si verificavano fuori d'Europa, unicamente perché consideravamo di avere una struttura di consumi abbastanza diversa rispetto a quella dei Paesi nord-europei; ma, dal 1962, data in cui vennero firmati gli accordi, la struttura dei consumi agricoli e alimentari italiani si è trasformata radicalmente: e nella nuova condizione i cambi fissi che hanno regolato il mercato unitario fino al 1972 hanno costituito in qualche modo un punto di riferimento abbastanza certo per i prezzi agricoli. Ma da quando ai cambi fissi è subentrato un regime di cambi fluttuanti, è stato necessario introdurre delle politiche chiamate appunto " montanti compensativi ", per controbilanciare la svalutazione della lira nei confronti delle altre monete forti europee. La presenza dei montanti compensativi ha impedito che l'aumento di domanda di prodotti agricolo-alimentari, come la carne, il latte, le uova, all'interno dell'Italia si trasformasse in aumento di prezzi e quindi si sono avuti incentivi per la produzione italiana. Il fatto che i montanti compensativi non consentissero sostanzialmente una svalutazione della lira nei confronti delle altre monete forti europee ha reso l'agricoltura italiana sempre più soggetta alla tensione concorrenziale europea.
La svalutazione della lira verde, a questo punto, ha un significato notevole. Infatti, finalmente, il meccanismo dei prezzi può diventare una forma di incentivazione per la funzione agricola del nostro Paese.
Del resto, i dati sulla funzione zootecnica degli ultimi anni sono abbastanza favorevoli. E sarebbe ora che approfittando di questo fatto si ponessero in atto delle politiche, particolarmente nelle regioni meridionali, volte a consolidare lo sviluppo della produzione zootecnica italiana che grazie a Dio risente meno della pressione concorrenziale europea.
Ma qui giuoca un ruolo decisivo la possibilità che l'Italia avrà di utilizzare le risorse reali che il sistema monetario potrà mettere a disposizione dei Paesi più deboli per livellare il suo indice di produttività all'interno, in particolare nei settori agricoli, e in modo specifico nelle regioni del Mezzogiorno.
Ecco come un periodo di natura congiunturale, cioè un aumento inflazionistico, può avere in realtà un effetto positivo sulla competitività agricola italiana. Tutto però è affidato alla capacità di fare una politica in grado di trasformare le risorse e le nuove occasioni che il mercato ci offre in veri e propri investimenti.

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