Mezzogiorno:
le promesse di spesa non mantenute sono il doppio rispetto al Nord. Il
novanta per cento dei miliardi disponibili non vien fuori dalle casse
regionali.
Le Regioni non spendono?
Questo è il titolo, di per sé emblematico, dell'ultimo
- in ordine. cronologico - di una serie di numerosi lavori di ricerca,
comparsi sul tema della finanza regionale. Lo studio, pubblicato da
Lauro Colombini, prende in esame soltanto alcuni dei molteplici aspetti
dell'attività finanziaria delle Regioni. Esso merita tuttavia
una particolare attenzione, in quanto giunge a pochi mesi di distanza
dalla pubblicazione del libro bianco sulla finanza pubblica, curato
da Mediobanca, e a questo, in un certo senso, contrappone un tentativo
di diversa sistemazione e lettura dei dati contabili.
Soprattutto, l'indagine mira a ridimensionare conclusioni che potrebbero
lasciar credere che " il difetto sia nella scelta istituzionale
regionale in sé, invece che nel mancato obiettivo di un profondo
e radicale sforzo di generale revisione dei metodi di amministrazione
dell'intero settore pubblico ".
Che la situazione dei conti regionali sia tutt'altro che confortante,
è un fatto certo, sul quale nessuno può discutere o per
il quale nessuno potrebbe creare un alibi valido. Pur nella difficoltà
di interpretare un insieme di dati organizzati in maniera fortemente
eterogenea, non pochi indizi mostrano infatti in modo incontrovertibile
la gravità dei limiti e delle incongruenze dell'attuale gestione
regionale delle risorse. Il dato più preoccupante - e al tempo
stesso il più pesante capo d'accusa dell'attività finanziaria
delle Regioni, mosso sia dallo studio che stiamo esaminando, sia dal
libro bianco di Mediobanca - è quello relativo all'entità
dei residui passivi, vale a dire all'ammontare degli impegni di spesa
già presi, e non mantenuti allo scadere di ciascun esercizio
finanziario. E a questo proposito, alcune cifre possono dire molto di
più di ogni commento: alla fine del 1976, l'ammontare dei residui
passivi su spese correnti e di investimenti sarebbe stato di circa tremila
e trecento miliardi di lire, su una competenza totale prevista per l'intero
anno di tremila e cinquecento miliardi di lire, pari cioè al
novanta per cento, o poco più!

Questa percentuale, inoltre, è il risultato di una media che,
disaggregata, mostra come le "inadempienze" riguardino per
oltre il cento per cento (per l'esattezza: il 118 per cento) le voci
di spesa per investimenti, e per un cinquanta per cento circa le spese
correnti.
Se poi si guarda alla concentrazione geografica del fenomeno, emerge
immediatamente che le regioni meridionali detengono, in termini procapite,
un clamoroso primato in fatto di residui passivi: come dire che un residente
nelle regioni del Mezzogiorno continentale e delle Isole ha " promesse
di spesa " non mantenute pari in media a circa il doppio di quante
ne abbia un suo connazionale residente al Centro o al Nord.
Va tenuto però presente che le regioni del Sud sono anche quelle
a cui viene assegnata, in termini procapite, la qualità maggiore
di risorse e che, rapportata invece al volume complessivo delle risorse
iscritte in bilancio, l'incidenza dei residui passivi risulta analoga
per le tre grandi aree. Considerando poi, accanto ai dati riguardanti
i residui passivi, quelli relativi alle giacenze liquide delle Regioni
che, ad esempio, per il 1976 ammontano ad oltre duemila e seicento miliardi
di lire - si ha davvero l'impressione di una totale inadeguatezza dell'apparato
regionale ad assolvere ai compiti che sono stati delegati dal potere
centrale. E l'esposizione dei dati e delle prove assumibili ad indici
dell'inefficienza delle amministrazioni regionali potrebbe continuare.
Ma ci si limiterebbe ancora alla registrazione di un fenomeno, peraltro
largamente noto. Su quale base, di fronte alla schiacciante evidenza
dei dati, è possibile fondare un qualche giudizio teso a riabilitare
l'operato delle Regioni?
Gli argomenti, in effetti, non mancano. Vi sono, ad esempio, diverse
incoerenze contabili che sopravvalutano il fenomeno dei residui passivi
stessi; vi sono vizi d'origine nel comportamento dello Stato nei confronti
delle Regioni, (si pensi ai ritardi con cui queste conoscono le quote
di loro spettanza sui fondi di sviluppo; oppure, ancora, all'assenza
di una qualche programmazione dell'accesso al credito da parte delle
Regioni); infine, resta pur sempre il fatto che l'istituto regionale
è ancora per molti aspetti in fase di attuazione, e che solo
l'esperienza può offrire, con il tempo, una razionalizzazione
del lavoro amministrativo.
Basta allora eliminare le disfunzioni di carattere tecnico perché
le Regioni diventino realmente uno strumento per migliorare l'efficacia
della politica della spesa pubblica, sia a fini anticongiunturali, sia
a fini di sviluppo?
Alcuni, forse con un eccesso di ottimismo, ritengono di sì. Ma
anche chi, ponendosi in un'ottica meno interna alla logica amministrativa,
non assegni un significato altrettanto cruciale agli aspetti tecnico-organizzativi,
non può non ritenere che un sostanziale miglioramento delle procedure
sarebbe un importante passo sulla strada di una razionale divisione
del lavoro e di un efficace coordinamento tra Potere centrale e Regione.
Discorso che, mettiamo subito in rilievo, vale per tutte le regioni;
ma, in particolare, per quelle meno favorire, le regioni meridionali.
E' in queste aree che occorre investire di più, e più
tempestivamente; è qui che occorre determinare il decollo. Il
Mezzogiorno non può consentirsi il lusso di grossi residui passivi,
se non vuole aggravare lo storico " solco " che lo divide
(anche in questo campo) dal resto del Paese.
E', questo, un problema eminentemente politico, di volontà politica.
Le forze sociali e politiche, se vogliono agire in modo coerente con
le proprie responsabilità, debbono essere consapevoli di questa
realtà: al di là delle diverse congiunture, l'avvio del
Sud verso una nuova fase di sviluppo e di occupazione non potrà
prescindere da profonde modifiche dei comportamenti, nel senso di un
totale sfruttamento delle risorse disponibili, di una loro utilizzazione
globale.

Ha scritto qualche giorno fa Leopoldo Pirelli: " In una famosa
parabola evangelica vi è la punizione per chi non mette a profitto
i propri talenti; credo che questa morale possa valere anche per un
caso " laico " (ed economico) come il nostro ".
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