Dottori sprecati
Parliamo dei "
dottori " veri, non di quelli che vengono laureati dai romani nei
posteggi, negli uffici ministeriali e nei condomini con il portiere
in divisa. Uno più, uno meno, che importa? Quelli veri, ma disoccupati,
non sono di fatto altrettanto fasulli? Questo popolo di dottori in qualcosa
(sono 64 i nostri corsi di laurea, rispetto ai 32 della Francia, i 28
degli Stati Uniti, i 26 dell'Inghilterra), è il più denso
d'Europa e forse dei mondo: 20 mila laureati ogni anno, in media, a
partire dal dopoguerra; 63 mila nel '73; 73 mila nel '75; oltre 80 mila
nel '76; 130 mila nel '78.
E' bene che l'Università cominci a prendere la pillola. Questa
figliolanza facile, che va ad allungare la fila degli intellettuali
senza lavoro, non avrà un briciolo di terreno su cui arretrare:
il padre putativo (cioè lo Stato), ritiene di aver fatto la sua
parte consegnandole un pezzo di carta; l'altro padre (quello vero) nella
gran parte dei casi vorrebbe, a sua volta, chiudere bottega, o quantomeno
la borsa, ora che bene o :male la famiglia ha un figlio " dottore
".
A questo punto, spalancata la porta sulla vita, centinaia di migliaia
di giovani scoprono che il pezzo di carta li autorizza soltanto a mettere
un dott. sul biglietto da visita.
Fuori, non c'è posto: siamo la nazione europea che lascia senza
lavoro il maggior numero di neo-laureati. Il loro " titolo ",
rincorso per anni senza la minima garanzia che un giorno sarebbe stato
quotato in borsa, 59 volte su cento non è spendibile, è
rifiutato.
Questo nostro Paese che ha votato. l'animo nazionale alla sua tradizione
umanistica, si trova oggi a fare i conti, bruscamente, con urgenze forse
meno nobili ma più concrete; lo stomaco, nel suo piccolo, ha
anche lui la sua tradizione.
La politica di accantonare i problemi, in realtà li ha gonfiati:
e oggi esplodono. La laurea non evoca più i lontani scoppi dello
spumante. L'inquietudine ha suggerito, sciaguratamente, altri botti.
Da condannare, da isolare, da reprimere: ma a patto di sapere perché,
dai giovani, sale tanto rumore.
Si studiano, all'Università, 64 discipline. Nello spreco, non
c'è posto per la "disciplina ". Ma è disciplinato
un sistema che ha fatto di tutto fuorché darle un valore?
Elogio di un
ministro (per una breve stagione)
Napoleone diceva
che a dirigere i dicasteri finanziari sono più adatti gli umanisti,
" perché anche il burocrate più capace stenterà
a rivolgersi all'uomo, mentre un uomo di cultura imparerà presto
a governare la burocrazia ". Il paradosso ha una sua vena di verità,
anche se soggetta all'inevitabile confronto coi fatti. Rendere più
" umano " il rapporto fra Stato e cittadino è un vecchio
nodo mai sciolto fin dai tempi della " prima legge ": quella
- innaturale, ma necessaria - del diritto-dovere, da cui discende l'altra
- ancora meno naturale, ma vieppiù indispensabile - dell'ubbidiente-ubbidito
Ma tant'è: fuori da questa equazione c'è solo l'anarchia.
L'argomento ha avuto una sua attualità. Si è dato il caso,
infatti, che le circostanze abbiano dato ascolto, e ragione, al Bonaparte;
che il governo della non-sfiducia cioè, abbia costruito un momento
di fiducia insediando su una delle sue più impopolari poltrone
un personaggio che aveva tutta l'aria di volerla riabilitare. Come?
Sforzandosi di rendere più credibile lo Stato e meno sospettoso
il contribuente. Non è un'impresa facile in un Paese dove il
" contributo " è qualcosa di poco meno del sangue,
e a svenarsi, per così dire, non è affatto tutta la collettività,
ma' proprio la sua parte più esangue. Il ministro queste cose
le sapeva, e gli abbiamo fatto grazia delle geremiadi che accompagnano
questo inveterato scandalo nazionale. Ma qui, però, occorre che
a loro volta i cittadini comincino a credere, -prove alla mano, in un
cambio effettivo di rotta. A questa banca del globulo rosso non possono
versare - sempre, e tutto - solo i volontari o i circoscritti: va finalmente
chiamata a onorare la firma tutta la gente toccata dalla fortuna, ma
non dal fisco; col pedigree garantito, ormai, più dal conto corrente
che dal Ghota che riceve bene in casa, ma spedisce meglio in Svizzera;
rispettosa dei " valori ", purché siano bollati; superiore
a tante cose, ma in realtà pronta ai pratico, al terreno, specie
se edificabile. Ecco, signor Ministro (per una breve stagione): lei
sarebbe piaciuto sicuramente a Napoleone, ma era nel suo e nel nostro
destino che a compiacersi o meno del suo operato, oltre che del suo
talento, dovessimo essere noialtri, gente che fa le sue guerre quotidiane
senza che la storia se ne occupi, ma di cui si interessa la cronaca.
E questa ci dice che tutti i giorni che un ministro di fine cultura
umanistica, di accattivante gradevolezza umana, di chiara volontà
democratica, è quello che ci vuole non perché così
la pensa il " grande corso ", ma perché gli italiani
se ne sono persuasi.
Lei, signor ministro, ha portato molte novità, di cui alcune
assai promettenti. Siamo disposti fin d'ora a rimpiangerla, sempre a
patto che alla " non sfiducia " succeda una formula meno sospettosa:
tal che si possa, finalmente. (e perdoni l'espressione grossolana),
tirare un po' il fiato. E magari grazie anche all'umanesimo.
Ecologia
Ogni tanto si ha
motivo di riprendere il discorso sul dissidio tra uomo e natura: qualcosa
di fatale che regola da sempre un rapporto d'inimicizia nato ai tempi
in cui la creazione, quasi in odio a noialtri e a se stessa, ci ha generato.
Questo presunto rancore è solo l'immagine letteraria di una "
rivalità " che la storia sa decifrare lucidamente. Se la
natura è matrigna, e sappiamo che in larga misura lo è,
non possiamo risponderle con l'animo dei figliastri: questo meccanismo
vendicativo, accettabile a livello psicoanalitico e antropologico, si
risolverebbe tutto a nostro danno. A no] spetta di dare a tale rapporto
un significato razionale, accettando realisticamente la nostra condizione
di subordinati ma anche il nostro ruolo di ribelli, consapevoli d'essere
i protagonisti privilegiati di una " vicenda " che qualcuno
vuole nata dal caso, altri dalla necessità, altri ancora da un
disegno che sfugge a qualsiasi criterio. Ma se siamo qui sulla terra
dobbiamo pur viverci, e a chi converrebbe rifiutarsi all'intelligenza
per proclamare solo la fatalità? Non certo a noi, che abbiamo
fra l'altro il destino di morire ben prima di ciò che ci ha visto
nascere. Chi non ha pensato,, guardando anche solo un albero, che esisterà
ancora quando noi non ci saremo più? E allora, perché
accanirci contro un bene col quale dobbiamo convivere e che ci consente
di sopravvivere? Ragioniamo su: - Che 45 mila prodotti chimici, immessi
nel mercato ogni anno, modifichino in maniera irreversibile le cellule
del nostro corpo; - che alle 700 specie di animali scomparse in mezzo
secolo, se ne accodi, docilmente, un altro centinaio in via di estinzione;
- che i laghi, i mari e gli oceani muoiano, uccisi dall'uomo; - che
le malattie diffuse dall'acqua inquinata abbiano colpito in un anno
500 milioni di persone uccidendone 10 milioni, delle quali circa la
metà erano bambini;
- che in alcune parti del mondo. l'inquinamento dell'aria abbia già
ridotto del 16 per cento la quantità di luce solare modificandone
la qualità;
- che una serie di malattie, mai comparse prima, irrompa nel mondo a
causa di tali alterazioni;
- che a lungo andare l'umanità possa essere scacciata dalla terra
per far posto ai materiali di rifiuto;
- che si conservino gli alimenti irradiandoli con il cobalto 60; - che
gli enzimi delegati a " mangiare lo sporco, " mangino anche
i nostri globuli rossi;
- che il latte sia stato chiamato liquide-cadavre perché trattiene
sostanze radioattive, antibiotici, pesticidi, fluoro e bacilli della
tubercolosi;
- che la concentrazione degli insetticidi in alcuni alimenti arrivi
a impedire nei bambini la normale ossigenazione del sangue; - che i
composti irrorati sugli agrumi colpiscano il fegato e i reni;
- che i fosfati organici facciano morire in un anno migliaia di persone;
- che il mercurio vada inquinando le falde d'acqua da cui le città
traggono il fabbisogno idrico, avveleni i fiumi e via via raggiunga
i mari e gli oceani;
che tutto ciò accada è forse colpa della natura?
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