Un'occasione
per conoscere gli altri, e per farci conoscere dagli altri. Il momento
di un rilancio produttivo del settore turistico, un'industria bianca,
pulita, che rende bene e crea occasioni di lavoro.
Ci sono almeno tre
momenti per " vivere " l'estate nella penisola salentina.
Il primo riguarda la fascia adriatica: qui il mare ha un suo sapore,
una sua salsedine gagliarda (33 per mille la salinità di questo
mare, la più alta del Mediterraneo) che dà un timbro e
un colore diversi. Tutto è conformato a questa salsedine aggressiva:
i paesi addossati, vogliamo dire quelli sorti sulla costa in tempi lontani
dai nostri, con case piccole, essenziali, veri e rifugi per l'uomo-pescatore
per l'uomo-artigiano: frutto dell'architettura spontanea che ha fato
la storia urbanistica di tante aree italiane, ma in particolare della
Puglia; e frutto dell'opera di artigiani-artisti che si tramandavano
precisi canoni architettonici, mai violati, ed in ogni caso assai lontani
dallo scompiglio creato dalle case di oggi, dalle sontuose dimore che
costellano i paesi nuovi, sorti quasi da un giorno all'altro, completamente
abusivi e legalizzati dallo stato di necessità, o dal dato di
fatto. Castro è emblematica: la vecchia città, il "
nucleo storico " è un gioiello inimitabile, vi si vive come
in un'unica casa, e si tratta invece di un intero paese con tante case
e tante strade, con le finestre aperte sul mare e aperte a mezzogiorno;
con le piccole inferriate insidiate dall'aria che porta con sé
il sapore del sale, odorosa e corrosiva. Il rapporto uomo-casa, qui,
era pari al rapporto uomo-paese. Si viveva come comunità, tutti
insieme, legati dalla stessa economia, dalle stesse vicende, dalle identiche
consuetudini, dalla medesima storia. La rivoluzione moderna ha portato,
accanto e oltre il vecchio paese, l'area degli appartamenti (da "
appartare " o " appartarsi ": che vuol dire vivere isolati
dagli altri). L'uomo non comunica più.
Otranto ha aperto le porte del suo castello a tutti: è bene che
sia così, dentro c'è passata tanta storia, certamente
più tragica che grande: una storia mista alla religiosità,
e forse mito. Baricentro di questo paese, la cattedrale: sorge come
una conchiglia, la piazza che la accoglie, e s'innalzano i muri con
schiettezza, dominati da uno splendido rosone: dentro, le ossa dei martiri,
a testimoniare che la fede cristiana non ebbe limiti, non si fermò
neanche di fronte al sacrificio ultimo. Sul pavimento, un mosaico che
forse anticipò Dante per alcune ardite soluzioni geometrico-figurative.
E' soprattutto, un silenzio sovrumano: un miracolo ha luogo fra queste
navate, e non è sufficiente a cancellarlo la vita tumultuosa
che si indovina fuori, nelle strade e sulla riva vicina del mare.
Leuca è una città che s'innalza alle spalle, verso il
Santuario e verso il gran faro recintato. In realtà, dire che
si innalzi è impreciso: è dalla gran gobba del faro che
s'indovinano le case di Leuca. Dapprima quelle artigiane, poi le altre,
vere e proprie dimore estive, sontuose alcune, d'una grande originalità
tutte, infilate sul lungomare, segnate da improvvisi ciuffi di palme,
con un sapore, più che mediterraneo, orientale.
Tutta la città sorge sul vuoto, Carsico deve necessariamente
essere il sottosuolo, perché carsiche sono le decine di grotte
che si stagliano sul pelo dell'acqua lungo l'arco costiero. Stupende,
alcune; altre di dimensioni inusitate; altre ancora raggiungibili solo
dal mare; e poi altre a più porte, o in fondo a corridoi bassi,
percorribili a fatica, con gruppi di stalattiti e di stalagmiti in formazione,
o già compiuti.
Sull'Adriatico, a Roca, avevamo visto altre grotte, con ogni probabilità
stazioni abitative di primitivi, poi trasformate in sedi permanenti
di monaci basiliani. Qui, a Leuca, almeno per alcuni di questi antri,
deve pur essersi trattato di remote stazioni umane: punti di riferimento
o di passaggio, o fors'anche spelonche come dimore definitive. Tracce
e segni di presenze umane sono state trovate da pazienti ricercatori.
E tutto ciò rende più affascinante il mistero di Leuca,
città bianca, protesa fra due mari che, insieme fusi, sono già
Mediterraneo. Sotto Capo Meliso, infatti, a picco rispetto al Santuario
e al faro, c'è il braccio di " mare spunnatu ", di
mare cioè senza fondo. Incredibile la profondità a pochi
centimetri dalla costa: e la densità dell'acqua, il moto mai
quieto del mare, la forza straordinaria delle onde che si frangono sulla
scogliera, ne sono un segno perentorio.
I calabresi disputano ancora oggi: è migliore la costa sabbiosa,
o quella rocciosa? In sordina, lo fanno anche i salentini. Da Ugento
in su, tranne pochi tratti di rocce che affiorano improvvisamente, e
sulle quali vi sono annidati antichi nuclei abitativi, hanno inizio
le lunghe spiagge sabbiose, che poi portano alle dune della fascia settentrionale
del Salento. Le sabbie ci sono anche sull'adriatico, e basterebbe ricordare
in proposito quelle di San Cataldo, o di San Foca, o le brevissime spiagge
di Roca, alle spalle del castello diroccato di Maria d'Enghien. Ma nel
versante ionico sono decisamente più grandi: come in Calabria,
una regione che ha la roccia dalla parte del Tirreno.
Ugento, antica capitale messapica, forse, ha una storia che è
ancora tutta da scoprire. Vi si scava, legalmente e illegalmente: ed
emerge tutto Ciò che fu, appunto, messapico, greco e italiota.
Una miniera alle spalle di un mare che ha fondali bassi e dolci, e che
riflette le case sorte sul ciglio della costa. Ma la vera storia non
e su questo mare, è alle sue spalle, dove fiorirono un popolo
e una civiltà per lo meno pari a quella etrusca (il Ribezzo,
di Francavilla Fontana, è l'unico studioso italiano che ha tentato
di decifrare la scrittura messapica, rimasta misteriosa come quella
etrusca). Ma le vicende umane hanno voluto che gli etruschi diventassero
assai, più famosi, perché a contatto, e in conflitto con
i Romani. Non così i Messapi, che caddero sotto il dominio di
Roma quando Irpini e Sanniti da una parte, e Bruzi e Lucani dall'altra,
accaniti oppositori della più grande città dell'antichità,
vennero vinti, anche se mai definitivamente sottomessi. Un unico destino
legò Ugento ad Alezio e a Manduria, i tre vertici dell'area messapica.
E sotto le armi di Roma fu sepolto il mistero di un popolo civilissimo
e fiero.
Ci sono decine di centri costieri, sorti negli ultimi anni ai lati della
strada litoranea che porta verso nord. Non hanno dunque una storia.
La storia va a Gallipoli, al suo grande nucleo isolano legato alla terraferma
da un ponte su un braccio di mare, oltre il castello che fu inutile
difesa contro le flotte veneziane. Questo nucleo è intatto, e
il miracolo è proprio questo: perché oltre il ponte dove
ha inizio il gran rettilineo che poi innaturalmente si biforca verso
Alezio e verso Taviano, la città va di metro in metro imbruttendo,
fino allo scempio degli alveari creati sulle dune dalla parte delle
sabbie di scirocco: questa non è più Gallipoli, è
un'area senza nome.
Gallipoli vera muore con la Fontana Greca: nella città vecchia
pullula una vita autentica, genuina; lì si coglie la misura giusta
di questa gente generosa, fervida, creativa. Oltre questa linea ideale,
tra ponte e fontana, si entra in un altro mondo.
Santa Maria al Bagno è una gran vasca che culmina alla Punta
dell'Aspide. Poi., Santa Caterina, alle cui spalle, sulla collina, si
ripete il miracolo delle splendide ville che abbiamo incontrato a Leuca:
Mondo Nuovo, lo chiamano. E invece ha un sapore classico, così
immerso nel verde com'è, così incantata com'è l'aria:
si indovinano le spiagge serene che si aprono poco lontano, a Porto
Selvaggio.
Più su, la costa lascia le rocce affioranti, e si trasforma in
un gigantesco pianoro dalle dune varianti. Si preannuncia Porto Cesareo,
antico borgo di pescatori in parte trasformato da strutture edilizie
degli ultimi dieci o quindici anni. Ma non è andata del tutto
persa la primitiva fisionomia urbanistica. Tranne qualche perfidia e
alcuni tradimenti, le dune resistono all'uomo, imbrigliata da piante
basse e torve, battute dal vento che viene dagli ovadi, i giacimenti
di triglie massacrati dalle reti a strascico. Come tutti gli altri nuclei
antichi delle coste salentine, Porto Cesareo è un agglomerato
di case bianche, del bianco che sbalordì un viaggiatore per altri
versi distratto, il Lenormant.
Nei dintorni, Sant'Isidoro: spelonche di pescatori sul mare (sembra
stiano " dentro " il mare, quando si riflettono nelle acque)
e alcune ville recenti, sparse sul costone.
Poi, a nord, cambiano il colore del cielo e della terra: oltre si va
verso Taranto, città che fu una capitale di Magna Grecia. Il
Salento come Messapia si ferma a Manduria, fra le mura e le tombe megalitiche.
Le ciminiere del Siderurgico dicono che il mondo, di là, è
tutto diverso: un mondo in tuta blu, E' l'altra faccia del mondo artigiano
e contadino, in buona parte superstite, o immutato nella sostanza, del
Salento.
|