Estate nel Salento




Romana Turchini, Raimondo Ruju



Un'occasione per conoscere gli altri, e per farci conoscere dagli altri. Il momento di un rilancio produttivo del settore turistico, un'industria bianca, pulita, che rende bene e crea occasioni di lavoro.

Ci sono almeno tre momenti per " vivere " l'estate nella penisola salentina. Il primo riguarda la fascia adriatica: qui il mare ha un suo sapore, una sua salsedine gagliarda (33 per mille la salinità di questo mare, la più alta del Mediterraneo) che dà un timbro e un colore diversi. Tutto è conformato a questa salsedine aggressiva: i paesi addossati, vogliamo dire quelli sorti sulla costa in tempi lontani dai nostri, con case piccole, essenziali, veri e rifugi per l'uomo-pescatore per l'uomo-artigiano: frutto dell'architettura spontanea che ha fato la storia urbanistica di tante aree italiane, ma in particolare della Puglia; e frutto dell'opera di artigiani-artisti che si tramandavano precisi canoni architettonici, mai violati, ed in ogni caso assai lontani dallo scompiglio creato dalle case di oggi, dalle sontuose dimore che costellano i paesi nuovi, sorti quasi da un giorno all'altro, completamente abusivi e legalizzati dallo stato di necessità, o dal dato di fatto. Castro è emblematica: la vecchia città, il " nucleo storico " è un gioiello inimitabile, vi si vive come in un'unica casa, e si tratta invece di un intero paese con tante case e tante strade, con le finestre aperte sul mare e aperte a mezzogiorno; con le piccole inferriate insidiate dall'aria che porta con sé il sapore del sale, odorosa e corrosiva. Il rapporto uomo-casa, qui, era pari al rapporto uomo-paese. Si viveva come comunità, tutti insieme, legati dalla stessa economia, dalle stesse vicende, dalle identiche consuetudini, dalla medesima storia. La rivoluzione moderna ha portato, accanto e oltre il vecchio paese, l'area degli appartamenti (da " appartare " o " appartarsi ": che vuol dire vivere isolati dagli altri). L'uomo non comunica più.
Otranto ha aperto le porte del suo castello a tutti: è bene che sia così, dentro c'è passata tanta storia, certamente più tragica che grande: una storia mista alla religiosità, e forse mito. Baricentro di questo paese, la cattedrale: sorge come una conchiglia, la piazza che la accoglie, e s'innalzano i muri con schiettezza, dominati da uno splendido rosone: dentro, le ossa dei martiri, a testimoniare che la fede cristiana non ebbe limiti, non si fermò neanche di fronte al sacrificio ultimo. Sul pavimento, un mosaico che forse anticipò Dante per alcune ardite soluzioni geometrico-figurative. E' soprattutto, un silenzio sovrumano: un miracolo ha luogo fra queste navate, e non è sufficiente a cancellarlo la vita tumultuosa che si indovina fuori, nelle strade e sulla riva vicina del mare.
Leuca è una città che s'innalza alle spalle, verso il Santuario e verso il gran faro recintato. In realtà, dire che si innalzi è impreciso: è dalla gran gobba del faro che s'indovinano le case di Leuca. Dapprima quelle artigiane, poi le altre, vere e proprie dimore estive, sontuose alcune, d'una grande originalità tutte, infilate sul lungomare, segnate da improvvisi ciuffi di palme, con un sapore, più che mediterraneo, orientale.
Tutta la città sorge sul vuoto, Carsico deve necessariamente essere il sottosuolo, perché carsiche sono le decine di grotte che si stagliano sul pelo dell'acqua lungo l'arco costiero. Stupende, alcune; altre di dimensioni inusitate; altre ancora raggiungibili solo dal mare; e poi altre a più porte, o in fondo a corridoi bassi, percorribili a fatica, con gruppi di stalattiti e di stalagmiti in formazione, o già compiuti.
Sull'Adriatico, a Roca, avevamo visto altre grotte, con ogni probabilità stazioni abitative di primitivi, poi trasformate in sedi permanenti di monaci basiliani. Qui, a Leuca, almeno per alcuni di questi antri, deve pur essersi trattato di remote stazioni umane: punti di riferimento o di passaggio, o fors'anche spelonche come dimore definitive. Tracce e segni di presenze umane sono state trovate da pazienti ricercatori. E tutto ciò rende più affascinante il mistero di Leuca, città bianca, protesa fra due mari che, insieme fusi, sono già Mediterraneo. Sotto Capo Meliso, infatti, a picco rispetto al Santuario e al faro, c'è il braccio di " mare spunnatu ", di mare cioè senza fondo. Incredibile la profondità a pochi centimetri dalla costa: e la densità dell'acqua, il moto mai quieto del mare, la forza straordinaria delle onde che si frangono sulla scogliera, ne sono un segno perentorio.
I calabresi disputano ancora oggi: è migliore la costa sabbiosa, o quella rocciosa? In sordina, lo fanno anche i salentini. Da Ugento in su, tranne pochi tratti di rocce che affiorano improvvisamente, e sulle quali vi sono annidati antichi nuclei abitativi, hanno inizio le lunghe spiagge sabbiose, che poi portano alle dune della fascia settentrionale del Salento. Le sabbie ci sono anche sull'adriatico, e basterebbe ricordare in proposito quelle di San Cataldo, o di San Foca, o le brevissime spiagge di Roca, alle spalle del castello diroccato di Maria d'Enghien. Ma nel versante ionico sono decisamente più grandi: come in Calabria, una regione che ha la roccia dalla parte del Tirreno.
Ugento, antica capitale messapica, forse, ha una storia che è ancora tutta da scoprire. Vi si scava, legalmente e illegalmente: ed emerge tutto Ciò che fu, appunto, messapico, greco e italiota. Una miniera alle spalle di un mare che ha fondali bassi e dolci, e che riflette le case sorte sul ciglio della costa. Ma la vera storia non e su questo mare, è alle sue spalle, dove fiorirono un popolo e una civiltà per lo meno pari a quella etrusca (il Ribezzo, di Francavilla Fontana, è l'unico studioso italiano che ha tentato di decifrare la scrittura messapica, rimasta misteriosa come quella etrusca). Ma le vicende umane hanno voluto che gli etruschi diventassero assai, più famosi, perché a contatto, e in conflitto con i Romani. Non così i Messapi, che caddero sotto il dominio di Roma quando Irpini e Sanniti da una parte, e Bruzi e Lucani dall'altra, accaniti oppositori della più grande città dell'antichità, vennero vinti, anche se mai definitivamente sottomessi. Un unico destino legò Ugento ad Alezio e a Manduria, i tre vertici dell'area messapica. E sotto le armi di Roma fu sepolto il mistero di un popolo civilissimo e fiero.
Ci sono decine di centri costieri, sorti negli ultimi anni ai lati della strada litoranea che porta verso nord. Non hanno dunque una storia. La storia va a Gallipoli, al suo grande nucleo isolano legato alla terraferma da un ponte su un braccio di mare, oltre il castello che fu inutile difesa contro le flotte veneziane. Questo nucleo è intatto, e il miracolo è proprio questo: perché oltre il ponte dove ha inizio il gran rettilineo che poi innaturalmente si biforca verso Alezio e verso Taviano, la città va di metro in metro imbruttendo, fino allo scempio degli alveari creati sulle dune dalla parte delle sabbie di scirocco: questa non è più Gallipoli, è un'area senza nome.
Gallipoli vera muore con la Fontana Greca: nella città vecchia pullula una vita autentica, genuina; lì si coglie la misura giusta di questa gente generosa, fervida, creativa. Oltre questa linea ideale, tra ponte e fontana, si entra in un altro mondo.
Santa Maria al Bagno è una gran vasca che culmina alla Punta dell'Aspide. Poi., Santa Caterina, alle cui spalle, sulla collina, si ripete il miracolo delle splendide ville che abbiamo incontrato a Leuca: Mondo Nuovo, lo chiamano. E invece ha un sapore classico, così immerso nel verde com'è, così incantata com'è l'aria: si indovinano le spiagge serene che si aprono poco lontano, a Porto Selvaggio.
Più su, la costa lascia le rocce affioranti, e si trasforma in un gigantesco pianoro dalle dune varianti. Si preannuncia Porto Cesareo, antico borgo di pescatori in parte trasformato da strutture edilizie degli ultimi dieci o quindici anni. Ma non è andata del tutto persa la primitiva fisionomia urbanistica. Tranne qualche perfidia e alcuni tradimenti, le dune resistono all'uomo, imbrigliata da piante basse e torve, battute dal vento che viene dagli ovadi, i giacimenti di triglie massacrati dalle reti a strascico. Come tutti gli altri nuclei antichi delle coste salentine, Porto Cesareo è un agglomerato di case bianche, del bianco che sbalordì un viaggiatore per altri versi distratto, il Lenormant.
Nei dintorni, Sant'Isidoro: spelonche di pescatori sul mare (sembra stiano " dentro " il mare, quando si riflettono nelle acque) e alcune ville recenti, sparse sul costone.
Poi, a nord, cambiano il colore del cielo e della terra: oltre si va verso Taranto, città che fu una capitale di Magna Grecia. Il Salento come Messapia si ferma a Manduria, fra le mura e le tombe megalitiche. Le ciminiere del Siderurgico dicono che il mondo, di là, è tutto diverso: un mondo in tuta blu, E' l'altra faccia del mondo artigiano e contadino, in buona parte superstite, o immutato nella sostanza, del Salento.


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