Occupazione e questione urbana nel Mezzogiorno




Franco Compasso



Nessuno può negare i significativi e radicali mutamenti intervenuti nella struttura territoriale e sociale delle città e delle aree metropolitane nell'ultimo ventennio. Le radicali e convulse trasformazioni degli agglomerati urbani sono conseguenza dell'intensificarsi del processo di industrializzazione, della espulsione delle forze di lavoro dalle campagne e del loro inurbamento, e nelle modificazioni intervenute nelle condizioni dell'occupazione.
Il rapporto città-campagna è venuto ad alterarsi: lo sviluppo industriale ha favorito la concentrazione urbana e le aree metropolitane si caratterizzano, nella società moderna, come poli di attrazione di insediamenti produttivi. L'alta qualificazione polifunzionale delle città, i grandi servizi metropolitani in esse concentrati, i centri decisionali di programmazione, direzione e coordinamento dell'attività imprenditoriale tendono a concentrarsi all'interno o in prossimità delle grandi aree metropolitane. La città ha cambiato volto e struttura. Nello studio sulla regione metropolitana di New York, Raimond Vernan delinea il ventaglio delle " opportunità " in base alle quali si concentrano nelle aree urbane le attività produttive. La localizzazione nelle aree urbane di attività produttive nasce dall'esigenza di poter utilizzare una vasta e variegata gamma di servizi, di attrezzature, di mezzi di comunicazione.
Lo sviluppo tecnologico, l'ammodernamento dei servizi, le funzioni direzionali (ricerca, progettazione, finanziamento, analisi di mercato, rapporti commerciali) unificate hanno consolidato, in quest'ultimo ventennio, il rapporto tra attività produttiva e questione urbana. Il fenomeno è esteso in tutti i Paesi industrializzati, sicché la questione città rappresenta oggi per urbanisti, imprenditori, tecnici, politici il punto centrale del processo di sviluppo e ad essa si lega il problema dell'occupazione e dei mutati rapporti tra risorse e consumi pro-capite, tra sviluppo del prodotto extragricolo e domanda di case, beni servizi urbani,
Anche in Italia, la dinamica della popolazione urbana ha seguito il ritmo di sviluppo del processo di industrializzazione. Il divario Nord-Sud ha condizionato anche lo sviluppo demografico: anche se l'evoluzione della dinamica della popolazione meridionale è stata tenta, non si può ignorare il processo di accelerata urbanizzazione che ha toccato le città meridionali. Nel ventennio tra i due censimenti (1951-1971) le città meridionali con oltre 100 mila abitanti sono salite da 8 (Napoli, Palermo, Catania, Bari, Messina, Taranto, Cagliari, Reggio Calabria) a 14 ( Salerno, Foggia, Pescara, Siracusa, Sassari e Cosenza), mentre l'incidenza demografica delle aree urbane sul Mezzogiorno è salita dal 16% del 1951 al 23,4% del 1971. Osserva giustamente Salvatore Cafiero in un suo saggio (" Sviluppo industriale e questione urbana nel Mezzogiorno ") che " al censimento del 1971 l'intensità dei fenomeni di concentrazione demografica non appare nel Mezzogiorno molto minore che nel Nord ".
La concentrazione della popolazione nelle città, ed in particolare nelle grandi aree urbane, rappresenta un elemento nuovo e fondamentale della trasformazione della società e dell'evoluzione dei rapporti città-campagna, industria-agricoltura, cittadino-società. Sui contenuti di questi nuovi rapporti si è sviluppato il quinto " confronto a più voci " promosso dall'ISVEIMER con l'intervento del Prof. Jean Gottmann, docente dell'Università di Oxford e autorevole studioso di Geografia Economica.
Il Presidente dell'ISVEIMER Prof. Ferdinando Ventriglia ha colto l'occasione del " confronto " con Gottmann, per esporre una lucida analisi dell'evoluzione nell'occupazione in Italia e nel Mezzogiorno che ha avuto per effetto un enorme spostamento di popolazione dalla campagna alla città.
La relazione di Gottmann ha posto in evidenza i quattro importanti fattori e tendenze che giustificano, nella società industriale moderna, il rapporto tra concentrazione urbana ed occupazione. Il primo mutamento radicale è da ricercarsi nell'abbandono del vincolo che lega il lavoratore al luogo dì lavoro e al suo datore di lavoro. " Dopo due secoli l'urbanizzazione coincide con l'arretramento delle forme servili della occupazione ", osserva Gottmann, e la scomparsa di queste forme servili modifica anche le forme di utilizzazione del suolo nelle città.
La riduzione dei tempi di lavoro rappresenta una seconda tendenza all'evoluzione dell'occupazione in relazione all'uso del tempo libero e quindi alla corsa verso la città durante il giorno, la settimana, l'anno. Nei Paesi occidentali, la settimana di quaranta ore e di cinque giorni lavorativi ed altri riconoscimenti (dai congedi annuali alle festività legali, dal prolungarsi della scolarità all'avanzamento del ritiro dal lavoro per vecchiaia) hanno aumentato il tempo libero che il lavoratore può utilizzare. Le seconde case, le residenze stagionali in città di montagna o in riva al mare hanno allargato la possibilità di " urbanizzazione " delle grandi masse lavoratrici.
Il mondo del lavoro oggi è profondamente diverso dalla società paleocapitalista: il progresso tecnico, lo sviluppo degli impianti, la qualificazione professionale hanno ridotto lo sforzo fisico e il lavoro diventa sempre più " transattivo " nelle attività di servizio di tipo non più " terziario " ma " quaternario ". In un mondo che cambia, e si trasforma rapidamente, la mano d'opera è sottratta allo sforzo fisico per impiegare sempre più la sua competenza professionale, il continuo aggiornamento di conoscenze ed esperienze.

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