§ Terra di Puglia

Itinerario di grandi civiltą




di Rita Massi



La particolare configurazione geografica della Puglia ha costituito un fattore rilevante nelle vicende storiche di questa regione: le lunghe coste, infatti, offrivano un facile approdo ai colonizzatori e agli invasori provenienti dal mare, mentre l'interno della regione, pianeggiante o poco ondulato, permetteva facili e rapidi spostamenti; la frequente scarsità di acque fu causa di soggezioni inevitabili per i gruppi etnici stanziati nella zona.
Tra il 500 e il 1000, confluiscono in Puglia gli interessi delle due maggiori strutture politiche medioevali, a nord l'Impero Franco-Germanico e a sud nella terra di Bari e nel Salento, l'Impero di Bisanzio, nonché quelli religiosi del patriarcato di Costantinopoli e del papato di Roma.
La particolare posizione della Puglia al centro di diverse forze politiche e religiose, favorirà, si, contrasti interni, ma permetterà anche un confronto di civiltà diverse, che andranno ad arricchire il già notevole patrimonio culturale della regione. Agli inizi del IV secolo, i Longobardi si insediarono nella Puglia occupando dapprima Benevento e spingendosi poi, con scorrerie improvvise, verso le fertili pianure del sud, utilizzando il sistema viario che faceva perno sulla Via Appia. Tra i Longobardi e i Bizantini, che vedevano direttamente minacciati i loro possedimenti nell'Italia Meridionale, si aprirono ben presto le ostilità, anche se di guerra vera e propria si può parlare solo intorno all'anno 591, quando il longobardo Arechi sentì l'urgenza di aprire ai suoi domini uno sbocco verso il mare, costituendo grave pericolo per i presidi bizantini marittimi. Dopo questo primo scontro, assistiamo ad un lungo periodo di pace durante il quale, grazie alla strategia militare del principe Rodoaldo, i Longobardi riuscirono a respingere, nel nord delle Puglie, l'invasione degli Slavi venuti via mare dall'Illirico; e i Bizantini predisposero più accortamente le loro guarnigioni difensive, pronte ad intervenire in soccorso dei territori minacciati dagli invasori.
Le ostilità contro i Bizantini ripresero intorno alla metà del VII secolo con Grimoaldo I che, dopo una spedizione punitiva antibizantina sul Gargano, diresse le sue truppe verso il nord d'Italia, dove ferveva la guerra civile per la successione al trono longobardo. Intanto il papa Vitaliano (657 - 672), preso atto che l'area del ducato romano era stretta in una morsa tra i possedimenti longobardi in Italia Settentrionale e quelli del ducato di Benevento a sud, allacciò trattative con l'imperatore d'Oriente Costante II per una spedizione antilongobarda nell'Italia Meridionale. La tradizione storiografica riguardo l'impresa di Costante si avvale di ipotesi disparate: sta di fatto che, dopo una serie di successi, l'imperatore d'Oriente fu costretto a ripiegare su Roma, e la Puglia vide i Longobardi estendere il proprio dominio al di là dell'Ofanto e i Bizantini occupare gran parte della Penisola Salentina con alcune delle città maggiori, quali Otranto, Gallipoli e Taranto.
Intorno al secolo VIII, i Longobardi registrano la massima espansione della loro potenza in Puglia forti del fatto che, per la loro lunga opera di penetrazione nella mentalità, nel costume e negli ordinamenti giuridici delle popolazioni indigene, con il preciso intento di allontanarle dalle influenze culturali d'Oriente, erano ormai accomunati per abitudini, interessi, cultura, religione (ricordo la conversione al cattolicesimo dei nordici avvenuta durante il governo del duca Romoaldo) ed ordinamenti giuridici con i pugliesi. La caduta del regno longobardo settentrionale, avvenuta per opera di Carlo Magno nel 774, non incise sugli avvenimenti interni riguardanti la Puglia: infatti, la decadenza dei Longobardi di Benevento prese l'avvio dall'accordo concluso tra Grimoaldo IV e Carlo Magno nell'812, accordo con il quale il principato di Benevento si riconosceva dipendente dal regno franco d'Italia.
A segnare la linea storica dell'insediamento longobardo in Puglia va ricordato il culto dell'Arcangelo Michele, portato dall'Oriente dai Bizantini, che si prestava ad una naturale trasposizione della mitologia dei germani, i quali vi identificarono il maggiore dio del loro Valhalla. Dedicato al culto micaelico, venne eretto, alla fine del VI secolo, in Montesantangelo sul Gargano, un santuario verso il quale i Longobardi furono sempre prodighi di aiuto e protezione.
La presenza dei gruppi germanici influenzò notevolmente il sostrato linguistico dei dialetti pugliesi; l'area longobarda in Puglia si distingue infatti nettamente, per precise specificazioni dialettali, dall'area bizantina; quindi, oltre ad un confine politico-amministrativo e militare, si delineò anche un confine linguistico.
L'insediamento dei Longobardi ebbe soprattutto carattere militare ed agricolo: essi introdussero nei territori conquistati le strutture di una società contadina dominata da una classe aristocratico-militare. Il diverso ordinamento portò ad una maggiore produzione agricola, seppure i lavoratori dei campi non videro mutata la loro umile condizione. Ad una analisi degli ordinamenti politico-amministrativi longobardi, vediamo come le suddette nuove leggi introducono i rapporti vassallatici nel ducato di Benevento, acuendo il processo di una trasformazione feudale già in atto.
I Longobardi, quindi, non travolsero con la loro presenza ogni forma di vita civile dei territori in cui si erano stanziati, ma vivificarono la civiltà pugliese e quella di gran parte del Mezzogiorno da loro occupato, introducendo alcuni elementi propri del costume, della lingua e della mentalità germanica, pur senza intaccare in toto il sostrato indigeno.
Agli inizi dell'anno 1000, la Puglia era divisa nel Ducato di Puglia e nel Ducato di Taranto. Sui due troni si erano avvicendati i discendenti del conte normanno Ruggero I, conquistatore della Sicilia, passato alla storia col titolo di "magnus comes". Nei primi decenni del secolo, la vita dei centri urbani pugliesi fu scossa da problemi locali e dalla lotta tra fazioni interne, alimentata quest'ultima dallo scarso interesse che i capi normanni rivolgevano ai loro possedimenti. Assistiamo, in questo periodo, ad una contraddittoria congiuntura storica: mentre si crea una battuta d'arresto nel processo di unione della vita pubblica ed amministrativa, si delineano i segni di una indiscutibile vitalità sociale e produttiva.
Nel 1114 Bari, che detiene il primato delle iniziative politiche nella Puglia, si ribella al governo normanno, dividendosi in due fazioni che alterneranno cruente rese di conti fino al 1119, quando il longobardo Grimoaldo si impadronirà della città facendosi riconoscere "solo signore di Bari".
E proprio durante la reggenza di Grimoaldo, che Bari agisce per la prima volta come signoria autonoma da ogni potere esterno bizantino o normanno, stipulando con Venezia un trattato commerciale di amicizia ed aiuto reciproci per le rispettive attività marittime in seno al Mediterraneo.
Nel 1130 il principe Ruggero II si fa incoronare, a Palermo, re di Sicilia, Calabria e Puglia, instaurando un periodo di potente monarchia normanna in tutto il Mezzogiorno. Ben presto le città pugliesi si rivoltano al nuovo re, appoggiate dal papa Innocenzo II, preoccupato dalla espansione normanna a sud, e dall'imperatore germanico Lotario. Le forze pontificie e quelle imperiali hanno la meglio ed i loro successi vengono celebrati a Bari con una solenne Messa nella Basilica di San Nicola. Alla regione pugliese è costata cara la sua irrequietezza: infatti, il Santuario di San Michele sul Gargano fu saccheggiato dalle truppe tedesche, e a Bari vennero barbaramente trucidati circa 500 musulmani. Ruggero, però, non desiste facilmente ed in pochi anni riesce a capovolgere la situazione: sottomette Bari dopo un breve assedio e poi, adoperando sia le armi che i trattati, tutta la Puglia. Il sovrano ora tenta di pacificare il suo regno, in particolare la ribelle Puglia, concedendo ai suoi sudditi le cosiddette "carte di franchigia", contenenti limitati privilegi, autonomie amministrative ed esenzioni fiscali. Una politica che ebbe esito felice: assistiamo ad una notevole prosperità economica, dovuta soprattutto agli scambi commerciali con Venezia, l'Oriente e l'Africa.
Questo periodo di benessere si sovverte in Puglia, ed in tutto il regno, alla morte di Ruggero. Gli succede il figlio Guglielmo I il Malo il quale, avvalendosi di abili e spietati ministri, instaura un rigido dominio che dovette tenere a bada più di una coalizione antinormanna. Infatti, appoggiata dalle truppe bizantine, la Puglia si ribella nuovamente al normanno. In questa occasione, Guglielmo mostra la più spietata durezza, radendo al suolo Bari. Gli abitanti sono costretti a rifugiarsi verso i centri agricoli dell'entroterra e solo alla morte del re, che avverrà dopo 10 anni, potranno ritornare sulla costa e ricostruire la loro città.
Alla morte del Malo, il nuovo governo, con a capo Guglielmo II, tutelato dalla madre Margherita di Navarra, adotta verso la turbolenta Puglia una politica interna distensiva ed un atteggiamento conciliante, concedendo alla città esenzioni ed immunità che favoriscono la ripresa dei ceti medi. Raggiunta la maggiore età, Guglielmo II continua la politica della madre rinnovando il trattato di alleanza con Venezia, concedendo alla regione pugliese consistenti sgravi fiscali, riconoscendo autonomie amministrative, frenando l'abuso dei funzionari regi e favorendo la costituzione di associazioni di mercanti e di marinai. Il regno di Guglielmo II può apparire come un periodo fortunato per la Puglia. In effetti si diffuse una certa floridezza, un'ampia tolleranza culturale e religiosa ed una notevole sicurezza interna. Per circa un ventennio non si ha notizia di alcuna congiura, tranne quella dei "Vendicosi" che agì intorno al 1186 ed ebbe un importante centro operativo all'interno della Puglia.
Deceduto Guglielmo II, assistiamo agli scontri tra il normanno Tancredi e l'imperatore svevo Enrico IV Durante la guerra, la morte coglie Tancredi nel 1194 ed il nuovo giovane sovrano Guglielmo III viene ben presto esiliato da Enrico IV Termina con lui la dominazione della dinastia normanna in Puglia e nel Mezzogiorno italiano.
Volendo giungere ad un giudizio complessivo sul periodo normanno, si deve constatare come l'espansione economica e sociale di questi secoli sia frutto, in massima parte, del lavoro e dello spirito di iniziativa uomini e ceti meridionali.
Alla fine del XII secolo, la Puglia che nell'alto Medio Evo era ai confini tra due mondi, si è ormai collocata definitivamente nell'Occidente latino. Questa evoluzione storica avvenne durante i periodi di crisi turbolente, nel corso delle quali le città rimanevano poco più che centri rustici abitati da gente che viveva per e sulla terra; dunque, città lontane da processi di urbanizzazione vera e propria, poiché legate a schemi amministrativi fondati su ritmi agrari; le campagne erano sfruttate più che altro per la costruzione di castelli senza considerare l'espansione demografico-rurale del territorio. il commercio marittimo venne notevolmente influenzato dalle potenze mercantili settentrionali che utilizzavano le città costiere pugliesi come base per i loro fruttuosi traffici con l'Oriente. Il dominio normanno si era prevalentemente occupato rinsaldare il proprio prestigio politico e finanziario, senza però spronare il progresso economico di quella parte d'Italia che ancora oggi risente di un'antica arretratezza nei confronti del Nord; è infatti in questi secoli che si viene a spezzare una continuità storica che permetterà il formarsi di due Italie.
Dopo la dinastia normanna, il Meridione vide l'avvento degli Svevi che, a differenza dei predecessori, portarono nel regno anche delle istanze imperiali. In questo periodo la Puglia non solo partecipò al grande sforzo unitario perseguito dagli Svevi, ma nel regno fu anche la testimone più diretta dell'isolamento dal moto di innovazioni economiche, politiche e sociali che aveva interessato, e continuava a coinvolgere, le regioni dell'Italia Settentrionale.
L'economia pugliese venne a mano a mano destinata e vincolata ad una produzione agricolo-pastorale, che mirava esclusivamente ad arricchire le casse del fisco regio; i piccoli e i grandi feudi, vennero, una volta dichiarata fedeltà alla Corona Sveva, soltanto sfruttati; le città costiere pugliesi, a danno dei loro traffici commerciali marittimi, videro favoriti gli interessi economici veneziani, pisani e genovesi; nell'economia interna vi fu il prevalere delle finanze toscane. Tuttavia alla regione venne una considerevole contropartita di prestigio dall'essere spesso sede Preferita delle esperienze monarchiche dei sovrani svevi che la indicarono quasi ad emblema del modello di sviluppo da essi perseguito.
Alla fine del 1100, dimostrandosi la Corona Sveva scarsamente autorevole in quanto oggetto delle lotte per la successione, si generò nel regno uno stato di estrema incertezza, destinato a durare a lungo. Infatti nel 1197, era successo al trono Federico, bambino di non ancora tre anni, che governò sotto la tutela prima della madre Costanza e dello zio Filippo di Svevia, poi del papa Innocenzo III. Si verificò allora un convulso succedersi di lotte condotte da feudatari protettori del Re fanciullo, Vescovi ed avventurieri che miravano alla spartizione o all'influenza sull'eredità sveva. Nel 1220, il giovane Federico riceveva a Roma la Corona del regno dal Pontefice Onorio III, ponendo così fine al periodo in cui era stato vacante il potere centrale.
Federico si accinse prontamente alla riorganizzazione del suo regno: emanò a Capua alcune Costituzioni; introdusse una legislazione atta a ricondurre all'obbedienza monarchica tutti i privilegi baronali e cittadini; ordinò l'abbattimento di tutte le rocche e le fortezze costruite nel periodo di anarchia del regno; pose sotto stretta sorveglianza la gestione delle terre e delle proprietà appartenenti alla Corona. Si venne così a costituire nel Meridione una nuova classe feudale di stretta osservanza monarchica, che ricavò dalla legislazione federiciàna garanzie di stabilità e di autorità.
Una fitta rete di funzionari centrali e periferici fu preposta alla vigilanza delle attività amministrative e giudiziarie del regno. Tutto il territorio fu diviso in undici Circoscrizioni con a capo un Giustiziario provinciale dipendente da uno dei due Capitani Generali.
La Puglia comprendeva tre circoscrizioni: Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto. In tutto il regno servizi, attività e generi* di prima necessità erano fortemente tassati e si ha notizia che in Puglia si riscuotevano diritti, come quelli sui mari, sulle stalle, sul sapone e sulla molitura della galla (sostanza usata in tintoria), da cui erano esenti le altre circoscrizioni.
Sempre in Puglia vennero istituiti, sotto stretta sorveglianza, nuovi mercati che si svolgevano a Lucera, a Bari e a Taranto. Federico mantenne la Puglia ad un livello di produttività fortemente agricolo, con tutte le conseguenze sociali, politiche e culturali che questo poteva avere a causa del mancato sviluppo di una borghesia imprenditoriale e di conseguenza del mancato inserimento della realtà meridionale nella più progredita vicenda settentrionale.
Federico diede grande lustro scenografico e propagandistico al suo regno: la sua Corte conduceva vita ostinatamente dispendiosa; fece costruire residenze di caccia, castelli lussuosi ed intere città. Nella Capitanata, dove Federico soggiornò a lungo, sorse (a Foggia) una fastosa residenza imperiale, di cui non ci restano che pochi ruderi ed il ricordo di numerose feste imperiali descritte nelle cronache dell'epoca. Sempre in Capitanata il sovrano scelse i boschi per le sue frequentissime battute di caccia; nelle residenze pugliesi troviamo le sue manifatture organizzate sul modello dei "tiraz" arabi, capaci di produrre armi ed oggetti di lusso; a Brindisi funzionava una delle zecche più importanti del regno; ed era in Puglia che l'Imperatore aveva le sue più importanti aziende agricole, le masserie e le stalle dove, nel 1239, fu compiuto un avanzatissimo esperimento di unificazione delle razze equine del regno.
La rendita di tutte queste imprese private del Sovrano non portò grandi benefici all'economia interna pugliese, che era destinata più che altro alla produzione agricola, poiché rendeva molto bene dal punto di vista fiscale.
Il calcolo fiscale di Federico si rivolse anche alle minoranze etnico-religiose: agli Ebrei vennero affidati i monopoli del tintoria e della lavorazione della seta; i Saraceni vennero trapiantati in una colonia agricolo-militare a Lucera intorno al 1277.
Al ritorno della Crociata in Terrasanta, intrapresa nel 1228, Federico trovò in rivolta molte città del suo regno, comprese quelle della fida Capitanata. Il malcontento nei confronti del Sovrano serpeggiava in tutte le province, e Federico adottò misure fortemente repressive: Foggia, Sansevero e Casalnuovo subirono delle rappresaglie e, nel 1234, il castello di Troia ed alcuni villaggi pugliesi furono distrutti.
L'ultimo quindicennio del regno federiciano fu quasi interamente occupato dalla lotta contro i Comuni e le Leghe guelfe, dallo sforzo per sedare le numerose rivolte delle province e dagli attentati alla vita dell'imperatore.
Alla morte di Federico, avvenuta nel 1250, il regno era in agitazione e gravato da spaventosi problemi economici, generati dalle enormi spese sostenute dal Sovrano nelle sue guerre incessanti.
Manfredi, un figlio illegittimo di Federico, salito al trono svevo, si preoccupò di vincere le rivolte antisveve in Puglia: Andria e Barletta furono piegate e le mura di Foggia distrutte. Nel 1252 giunse sulle coste del Gargano il principe Corrado, designato erede al trono nel testamento di Federico, con un programma di ristrutturazione feudale che mirava a riassoggettare tutte quelle province che si erano ribellate per le gravi pressioni fiscali.
A Lavello, nel 1254, il Sovrano moriva lasciando erede il figlio Corradino, sotto la tutela di Manfredi. Le città pugliesi resero omaggio al nuovo Sovrano, il quale diede inizio ad un periodo di fasti per la corona sveva.
Nel 1266 l'esercito francese di Carlo d'Angiò, chiamato in Italia dal Papa Urbano IV, sconfisse a Benevento le forze sveve: nella battaglia cadde anche Manfredi. L'ultimo tentativo di riorganizzare la monarchia sveva fu compiuto da Corradino; l'esito fu però fallimentare e lo stesso Corradino fu imprigionato e giustiziato a Napoli.
La monarchia sveva era abbattuta e Carlo d'Angiò non faticò ad assoggettare completamente quel Meridione d'Italia che dovrà vedere avvicendarsi ancora per molti secoli il dominio dello straniero.

Guglielmo I il Malo


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