Banditi a Mezzogiorno




A. C. P.



Il fenomeno del brigantaggio nel Mezzogiorno dell'Italia unita fu una realtà complessa, non riconducibile semplicemente alla sollevazione spontanea dei contadini meridionali contro il nuovo ordine economico e politico introdotto con l'unificazione, né alla sola opera di sobillazione e di organizzazione delle bande da parte dei reazionari borbonici e clericali dentro o fuori il Regno d'Italia; ambedue gli aspetti furono presenti e si intrecciarono durante il decennio seguente l'unità in cui il brigantaggio infestò il Mezzogiorno continentale.
Alle origini della formazione delle bande sta la fame di terra dei contadini meridionali: a loro, malati di miseria cronica, espropriati da anni di "usurpazioni" dei demani collettivi da parte della borghesia agraria, la rivoluzione unitaria aveva fatto intravvedere la possibilità di un riscatto sociale, di pane e giustizia, più che di astratta libertà. Che avessero visto male, fu chiaro sin dalla avanzata garibaldina e dai seguenti mesi tra la fine del 1860 e l'inizio del 1861, quando le sommosse contadine che scoppiarono un pò dovunque, isolate e spontanee, nel Mezzogiorno vennero represse con sproporzionata severità, spesso nel sangue, dalla Guardia Nazionale. Erano i primi segni della incomprensione storica delle radici sociali profonde del malcontento contadino che doveva accompagnare, in misura diversa, tutta l'azione politica del nuovo regime nei confronti del meridione.
Sin dal primo manifestarsi del fenomeno il governo unitario mostrò di sottovalutare le cause sociali presenti nella genesi del brigantaggio: le indicazioni che pure da più parti venivano circa la necessità di soddisfare la richiesta di pane e lavoro delle masse contadine e di procedere alle quotizzazioni delle terre, quando anche trovarono una realizzazione legislativa, si persero poi nella lentezza e nella negligenza della realizzazione pratica.
Grande importanza, invece, il governo sembrò annettere all'opera svolta dal re Borbone e da Roma nella protezione e nella creazione di bande brigantesche. Il che era indubbiamente vero, anche se agitato strumentalmente in vista di una soluzione della questione romana. Non era tuttavia il fattore principale, e dove il governo taceva era in un corollario ben più importante della influenza clericale e borbonica sul brigantaggio, e cioè nel fatto che a seguito delle vaste, anche se non scoperte, discriminazioni che erano state fatte ai danni dei liberali più avanzati e del democratici all'interno delle Guardie Nazionali e delle Municipalità, questi organismi erano ora in gran parte inquinati da filoborbonici, nei cui confronti le diffidenze erano state assai minori. Non era quindi difficile trovare connivenze, tradimenti, fughe di notizie tra costoro e le bande che agivano, o affermavano di agire, in nome di Francesco II.
Fu agevole per le forze borboniche e clericali inserirsi nel distacco che già andava creandosi tra masse meridionali e governo unitario: le prime come garanti di un sistema che, se pure storicamente superato e incapace di reggersi senza un formidabile apparato repressivo, sembrava poter dare una qualche forma di sicurezza di fronte al trauma del nuovo assetto economico e politico instaurato con l'unificazione; le altre come puntello ideologico del regime borbonico stesso, e come portatrici di ben altre e maggiori sicurezze. Ambedue lavorarono alacremente per creare organizzazioni di protesta contadina armata e per mantenere viva l'idea dell'illegalità del regime unitario e della prossima restaurazione del vecchio ordine. Fin dall'inizio del 1861 il brigantaggio cominciò a manifestarsi in talune zone del Mezzogiorno continentale. Contadini "compromessi" durante le sommosse dell'autunno, salariati ridotti alla fame dai numerosi fallimenti che si ebbero in quel periodo, soldati borbonici sbandati, evasi dal carcere, si davano al brigantaggio nelle sue forme primitive di furti, vendette e vandalismi, ma già si costituivano collegamenti, si creavano bande con un capo, il più abile, il più autorevole, il più spietato.
A questo li spingevano i notabili legittimisti e i comitati clandestini borbonici; una impenetrabile copertura veniva loro fornita dalla solidarietà e dall'omertà dei contadini della zona in cui operavano; la giustificazione suprema di agire per una causa legittima, anche negli eccessi e nelle malvagità, veniva dall'ostilità della Chiesa verso il nuovo regime, concretata nelle "Istituzioni" che proclamavano l'illiceità religiosa delle più significative manifestazioni civili del nuovo Stato e che per il tramite del clero rimasto fedele al regime borbonico erano penetrate profondamente nella vita religiosa del Mezzogiorno.
Dal '61 sommosse contadine e azioni di brigantaggio si accompagnarono: dalle "reazioni" contadine avevano tratto origine le prime bande, poi, cresciute in numero e in aggressività, furono le bande stesse ad innescare nei paesi la miccia delle rivolte. Se le prime sommosse contadine erano state solo espressione caotica e tumultuosa delle aspirazioni della classe più disagiata del Mezzogiorno, forse anche venate di desiderio di rivalsa per anni di subordinazione, ma prive di una colorazione politica, l'attività delle bande fu più precisamente indirizzata contro lo Stato unitario, nei suoi simboli e nei suoi sostenitori. Eppure, anche quando le bande furono direttamente sostenute e aiutate dai borbonici, l'aspetto "politico" dell'attività brigantesca fu più sovrapposto che intimamente presente alla realtà del fenomeno. Le bande, anche quando crebbero per numero e organizzazione non ebbero mai la caratteristica di "braccio armato" di un qualche partito: un tentativo in questo senso fatto dall'avventuriero borbonico Borjes nei confronti della banda Crocco finì in modo molto negativo.
Le bande avevano grande agilità e rapidità di movimento anche perché la loro composizione era estremamente fluida: salariati giornalieri si univano alle bande del luogo per una singola impresa, poi tornavano alla loro occupazione. Un importante punto di forza dei briganti fu, almeno sino alla emanazione della legge Pica, il sostegno dello strato contadino intermedio, deluso dalla mancata quotizzazione delle terre. Tuttavia il brigantaggio fu sostanzialmente incapace di dare uno sbocco in qualche modo "politico" alla aspirazione alla terra che pure era presente nei diversi ceti contadini che lo appoggiavano. Anche le azioni rivolte contro i possidenti e i loro beni si risolvevano nel vandalismo, nella distruzione fine a sè stessa, nel furto, e mai nel tentativo di una redistribuzione più equa della proprietà e dei frutti della terra; tanto meno si può parlare di una attività organica in questo senso. A combattere il brigantaggio fu principalmente l'Esercito. Armata poco e male, infiltrata di elementi borbonici, frenata dalle limitazioni che la tendenza accentratrice del governo unitario aveva posto alla sua libertà d'azione, la Guardia Nazionale non era in grado di fronteggiare le mobilissime bande. Nel vuoto di provvedimenti paralleli di prevenzione sociale del fenomeno, fu la repressione da parte dell'Esercito la linea politica governativa che, nei fatti, passò. Già nel '61 se ne erano avuti esempi: con il lungo stato d'assedio che seguì la crisi d'Aspromonte la repressione si estese in maniera sistematica all'ambito di simpatia e di copertura che aveva permesso alle bande di agire con una efficienza maggiore delle forze governative e di resistere ai rovesci e alle sconfitte che pure erano state loro inflitte. 1 "manutengoli" borghesi e i contadini sostenitori dei briganti, fondati o meno che fossero i sospetti da cui erano gravati, vennero arrestati in massa, come pure i parenti dei ricercati. Le forze dislocate nel Mezzogiorno continentale erano ingenti e dotate di poteri illimitati, ma i risultati mancavano. Con lo stato d'assedio e il blocco della vita civile e politica che ne seguì, le bande ripresero vigore; erano grandi bande a cavallo, stabili, coordinate sul territorio, e impegnavano l'Esercito in vere e proprie azioni di guerriglia. Ormai colpivano indiscriminatamente tutti i possidenti, liberali e non. Cominciavano forse a risentire delle perdite subite, ma erano molto vitali e agguerrite. Andava però disgregandosi la rete protettiva, l'humus su cui si era retto il brigantaggio. La legge Pica, i cui pochi articoli resero norma gli eccessi e gli arbitri che si erano visti in precedenza, fece progressivamente terra bruciata attorno alle bande. La logica di colpire nel mucchio, con i tribunali militari, gli arresti in massa, le fucilazioni sommarie, se causò la persecuzione talvolta assurdamente iniqua di innocenti, riuscì a tagliare progressivamente i collegamenti tra le bande e il contesto che le aveva prodotte. I notabili borbonici abbandonarono uno strumento che ormai si rivolgeva anche contro di loro. I contadini erano spaventati e, oltretutto, i briganti avevano cominciato ad infierire indiscriminatamente. Una organizzazione più dinamica della Polizia e dell'Esercito fece il resto. Nel corso del 1864 furono sconfitte alcune grosse bande, centri di organizzazione di bande minori. In seguito, e fino al 1870, vi furono ancora azioni brigantesche di particolare vivacità in concomitanza con la Terza Guerra d'Indipendenza e con la spedizione garibaldina verso Roma. Le difficoltà, tuttavia, erano crescenti per le bande, soprattutto nei critici periodi invernali. Era venuto meno l'aspetto "di massa" del brigantaggio. All'inizio del 1870 la soppressione delle zone militari del Mezzogiorno concluse la repressione delle bande da parte dell'Esercito. Restavano, irrisolti i problemi di fame, miseria, disoccupazione del Meridione italiano, quegli stessi spettri che avevano spinto centinaia di uomini agli stenti della vita in montagna, alla morte affrontata ogni giorno, all'odio sordo e indiscriminato, nella convinzione che " - Ladri sono i galantuomini delle città, e primi i concittadini miei, e uccidendoli non fò loro che la giustizia che meritarono; se tutti i cafoni conoscessero il loro meglio non n'avrebbe a restare invita puruno - " (dichiarazione al processo del capobanda Donato Tortora)

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